venerdì 9 maggio 2014

RACCONTO: Buen Camino!


(Tratto dal mio libro: IL CONFINE IMMAGINARIO)

(per concessione dell'editore POLARIS)


“Perché?” mi ero domandato tante volte prima di partire. Perché lanciarmi nell’impresa di camminare per centinaia di chilometri, sopportare il caldo, la fatica, la pioggia, per arrivare a Santiago di Compostela, percorrere anch’io quell’antico cammino come tanti prima di me? Cosa andavo cercando, cosa mi aspettavo da una simile esperienza? Prima di partire erano domande che non trovavano risposte. Durante il cammino erano domande inutili perché le risposte arrivavano da sole.


La lentezza del viaggio, nulla da fare per ore e per giorni se non andare, camminare e intanto pensare, pensare… Ecco! Potevo sperimentare la calma e la dilatazione del tempo, avrei potuto essere io il protagonista della Scoperta della lentezza -  lo stupendo romanzo Sten Nadolny - perché di fronte al cartello “Ponferrada km 45” potevo augurarmi “tra due giorni ci sarò”, senza il rammarico di sapere che in auto sarei potuto arrivare in mezz’ora. Questa era la risposta. 
Potevo scorgere in lontananza per due lunghi giorni le stesse montagne coperte di neve tardiva, senza angoscia per la mia lentezza, godendo anzi della loro lunga compagnia. 
Potevo sentire i miei sensi più attenti e più acuti per il lento procedere, il silenzio sembrava sollecitare la mia mente che, senza distrazioni, se ne andava libera per l’universo. E l’universo ero io. Avevo molto tempo da dedicare a me stesso, alle storie della mia vita, per riscoprire a volte vicende lasciate in disparte per colpa, mentivo a me stesso, della vita di tutti i giorni. Durante il cammino ero solo e non potevo impedirmi di ascoltarmi e di guardarmi dentro, come sembrava facessero anche gli altri che camminavano accanto a me. Anche loro mostravano lo stesso impegno e la stessa determinazione dei pellegrini immobili incontrati lungo il cammino, monumenti in bronzo alti due metri, che campeggiano al passo di San Rocco e a La Faba. E anche del pellegrino scolpito nel legno di un seggio del coro della cattedrale di Amiens, piccolo nelle dimensioni, ma grande nello sforzo e nello slancio verso la meta. Tutti con la barba incolta, un cappellaccio in testa, il bastone e la borsa a tracolla.
Lentamente costruivo dentro di me, giorno dopo giorno, una sicurezza e una fiducia incrollabile nelle mie possibilità. Giorno dopo giorno il cammino che avevo ancora davanti mi preoccupava sempre meno, avrei potuto continuare ancora per settimane. E devo dire che il naufragare mi era dolce in quel mare. Affinavo la capacità di ascoltare il mio corpo, i suoi allarmi e le sue esigenze, di rinforzare la pazienza e la determinazione. Prima di partire avevo temuto di dovere sopportare la noia, invece scoprivo che la lentezza non è per forza noiosa, anzi. Ad ogni passo c’erano sorprese davanti a me e tali erano perché ero attento, aperto al mondo. Forme forse banali che però, almeno in quei momenti, ero disponibile a vedere: una piccola chiesa romanica, una cicogna su un tetto di una casa, il saluto o la parola di incoraggiamento di un compagno di viaggio.
Tutto questo prima di partire mi era ignoto e per questo non trovavo risposte. Sul cammino invece mi bastava guardare i prati coperti di fiori o ricordare la mia infanzia di fronte al volo serale delle rondini, tanto numerose quante non ne ho mai più viste da allora, per capire. Potevo entrare da solo in una chiesa vecchia di mille anni, solitaria ai margini di un paese ormai in abbandono, per capire. Io che a stento saluto il vicino di casa, potevo augurare “buen camino” cento volte al giorno a pellegrini sconosciuti, che forse avrei rivisto più avanti o forse mai più in tutta la vita, felice di sentirmi rispondere cento volte “buen camino”. E molti non parlavano nemmeno lo spagnolo, perché erano giapponesi, tedeschi o neozelandesi, ma “buen camino” era l’augurio che ci univa tutti, perché tutti eravamo diretti alla stessa meta, ognuno con i suoi tempi ed i suoi problemi.

E “buen camino” voglio augurare a quanti hanno camminato accanto a me verso Santiago, compagni di un lungo viaggio.
Buen camino a te, Carlos, fermato lungo il sentiero da un grave malore. Mi ha parlato di te la ragazza che ti ha assistito e confortato mentre aspettavi l’arrivo dei soccorsi. Ti ha chiesto perché stavi sopportando una tale fatica, a quasi 70 anni, e tu hai risposto: “Lo faccio per mio figlio”. E quando lei ti ha sollecitato a cercarlo per avvertirlo dei tuoi problemi, hai risposto piangendo: “ è morto due mesi fa, in un incidente”.  Buen camino per la strada che ti resta ancora da percorrere, Carlos.
Buen camino a te, sconosciuto pellegrino che marciavi, unico e solo, nella direzione opposta a quella di tutti gli altri. Il volto bruciato dal sole, le scarpe logore dicevano che eri in viaggio da molto tempo e, arrivato a Santiago, stavi ritornando sui tuoi passi, spinto da chissà quale forza. Il tuo sorriso aperto ha dato a me, appena partito, più forza e determinazione.
Buen camino a voi, e certo ne avrete bisogno nel lungo viaggio che in autunno inizierete per rispettare leggi che la natura vi impone, rondini che a stormi avete salutato le mie fredde partenze mattutine, quando il sole non era ancora sorto e ancora nessuno, tra gli uomini e gli altri uccelli, mi aveva ancora augurato “buen camino”. E anche a voi splendide cicogne che dai vostri nidi, aggrappati ai campanili delle chiese, guardavate con commiserazione il mio lento e faticoso procedere. Avessi potuto rubarvi anche un solo battito d’ali!
Buen camino, uomine e donne, pellegrini e no, che ho incontrato nelle chiese alle messe serali del pellegrino. Al vostro fianco ho ascoltato, in tutte le lingue, parole e letture che non udivo da tempo e per un momento mi sono sentito davvero in comunione con voi ed ero sincero quando vi stringevo la mano augurandovi “la pace sia con te”.
E Buen camino anche a voi, variopinti ciclisti che siete entrati in massa nella chiesetta di O Cebreiro, felici per aver scalato i miseri 1.300 metri del passo. A voi non interessava ascoltare il respiro millenario delle pietre che raccontano ai più attenti le speranze e le pene dei pellegrini che varcarono la soglia prima di noi.  Dal 1072 si racconta la leggenda di un contadino dei dintorni che entrò nella chiesa durante una tempesta per ascoltare la messa. Il prete, poco motivato al suo uffizio, come voi, non apprezzò lo sforzo, anzi lo dileggiò. E nello stesso momento l’ostia consacrata si tramutò in carne e il vino in sangue. Il calice del miracolo è ancora lì nella chiesa, esposto di fianco all’altare anche per voi.  Un’altra leggenda narra che Isabella la Cattolica, ritornando da un pellegrinaggio nel 1488, tentò di trasferire il calice in un luogo più sicuro. Ma i cavalli che lo trasportavano, arrivati a Pereje, a pochi chilometri da O Cebreiro, si rifiutarono di proseguire. Voi eravate interessati solo alla foto ricordo che avete scattato davanti all’altare, ad uno ad uno, con i vostri costumi tappezzati di scritte colorate, incuranti dei pellegrini che ritornavano verso l’uscita con gli occhi bassi e le lacrime agli occhi. Molti di loro avevano acceso un cero di fronte al Cristo sospeso sull’altare, forse per chiedere una grazia per un parente o un amico o forse per ringraziare di essere arrivati fin lì.
Buen camino a voi, medici e infermieri del centro medico di Arzùa, per avermi soccorso e curato quando stavo male. Buen camino perché più che del mio corpo, certo malmesso, vi siete presi cura della mia paura e della mia angoscia senza chiedermi spiegazioni e senza domandarmi il senso della prova che stavo affrontando.
Buen camino a voi atleti pellegrini che avete confuso il pellegrinaggio con una gara. Vi ho visto faticare e spingere con forza sulle gambe, quasi con rabbia, per arrivare a Santiago, arrivare prima, arrivare subito. Per fare presto avete tralasciato di soffermarvi un momento nelle spettacolari chiese che Barbadelo, Melide e altri piccoli paesi tenevano aperte anche per voi, perché dedicaste un po’ di tempo a voi stessi più che all’impresa. Dicono che il premio per chi raggiunge Santiago stia nel viaggio più che nell’arrivo alla meta. Se questo è vero, come io credo, voi quel premio non l’avrete. 
Buen camino a voi Foncebadòn, Manjarìn, minuscoli paesi di montagna che il cammino di Santiago sta lentamente salvando dall’oblio, forse. Le vostre case abbandonate, diroccate e senza tetto, e i vostri muri che mostravano malinconici cartelli 'si vende' scoloriti dalla pioggia, mi hanno procurato le fitte più dolorose del viaggio.
Buen camino agli hospitaleros di Villafranca del Bierzo per avermi offerto il conforto di una colazione calda e di una chiacchierata amichevole e a quelli di La Faba per avermi fatto ascoltare l’Ave Maria di Schubert mentre da solo visitavo la loro antica chiesa.
Buen camino a te John, scozzese di Aberdeen, che senti la nostalgia dei tuoi figli che lavorano e vivono a Shangai. Che il tuo cammino futuro sia meno faticoso e più leggero di quello di Santiago e ti porti da loro. E anche a te Marcel che sei partito addirittura da Marsiglia e, arrivato a Cacabelos, dopo più di mille chilometri eri ancora in lotta con le vesciche ai piedi. Eppure continuavi.
Buen camino all’ignoto pellegrino che alla periferia di Melide ha camminato di fianco ad una sequela di roboanti cartelli che riportano centinaia di nomi spagnoli, lunghissimi e nobili, di cavalieri e dame dell’ordine di San Giacomo di Compostela. Ha voluto richiamare i passanti all’umiltà e alla moderazione e su uno dei cartelli ha scritto vanitas vanitatis. Il verso originale e completo reciterebbe vanitas vanitatum et omnia vanitas [1], ma il messaggio era chiaro.
Buen camino, pellegrini che avete lasciato un fiore, una scarpa sfondata, una poesia, una foto o una preghiera ai piedi della Cruz de Fierro, anche se la tradizione vorrebbe che, per chiedere protezione per il viaggio, il pellegrino posi un sasso ai piedi della croce e nulla di più.  Le vostre offerte, che le intemperie disgregano e il vento sparpaglia intorno, fanno assomigliare il luogo più ad una piccola discarica che ad uno dei punti più spirituali del cammino. Tuttavia ho capito la vostra buona fede. E a voi che avete lasciato un sasso sull’altare dell’eremo di pietra che sorge solitario dietro il caseggiato di Mongarde, nonostante un cartello raccomandi di non porre sassi sull’altare. O a voi che sempre con i sassi avete formato frecce, croci e conchiglie [2] lungo il sentiero, quasi a ricordare a voi stessi e agli altri la giusta direzione verso Santiago. Avete voluto lasciare un segno sul cammino. Vi auguro che il Cammino abbia lasciato un segno su di voi.
Buen camino anche alle centinaia di persone (come chiamarle pellegrini?) che si assiepavano nella cattedrale di Santiago durante la messa della domenica, con l’unico scopo di osservare, fotografare e filmare il botafumeiro [3] in azione. In attesa dell’evento i religiosi quasi rassegnati vi richiamavano inutilmente con il microfono ad un comportamento più consono ad un luogo di culto, ma le chiacchiere, il pianto dei bambini ed i click delle macchine fotografiche sommergevano anche i loro richiami. Avrei voluto essere Gesù Cristo per cacciarvi dalla cattedrale, come lui duemila anni fa cacciò i mercanti e i cambiavalute dal tempio.

E buen camino anche a me che, giunto infine di fronte alla cattedrale, ho potuto sussurrare con le lacrime agli occhi: “Ce l’ho fatta”.  Per sentirmi subito dopo un po’ più solo, come orfano di qualcosa come un pellegrino arrivato alla meta.

Santiago de Compostela, giugno 2010

(Tratto dal libro: Il confine immaginario)



[1] Vanità delle vanità e tutto (è) vanità
[2] Sono i simboli del Cammino, quasi sempre di colore giallo, che indicano lungo tutto il percorso la direzione per Santiago
[3] Il botafumeiro è il grande incensiere che pende dal soffitto della Cattedrale. Viene fatto oscillare dal personale addetto (i tiraboleiros) che lo issano fino a venti metri d'altezza nella croce della navata centrale e quindi, con un sistema di corde e carrucole, gli imprimono un moto pendolare fino a fargli sfiorare il soffitto delle navate laterali.

Nessun commento:

Posta un commento