giovedì 10 gennaio 2019

Viaggio in Costa Rica

Colibrì nel P.N. Corcovado, Costa Rica
Paese attraversato: Costarica
Itinerario: San Josè de Costa Rica, Vulcano Poas, Playa Guiones, Caño Negro Wildlife Refuge, Vulcano Tenorio, Vulcano Arenal, Riserva nat. Los Angeles, Parco Naz. Chirripò, Heredia, Sarchì, Zarcero, Golfito, Parco Naz. Corcovado, San Josè de Costa Rica
Periodo: dicembre 2002-gennaio 2003
Durata: 3 settimane
Ne parlo nel libro: Il confine immaginario

Per qualificare questo piccolo paese del centro America, che da oltre 50 anni ha scommesso sulla conservazione dell’ambiente, basta questo: nel 1949 decise di abolire l’esercito riservando le risorse risparmiate all’educazione e alla tutela del territorio. 

I dati non sono omogenei, ma dicono che le aree protette del paese vanno da 20 al 30%. Una lungimiranza strategica encomiabile. Il mio paese ideale. Ovviamente la rapacità umana depredò per secoli il patrimonio forestale del Costa Rica, un po’ per il legame prezioso che se ne ricavava e un po’ per fare spazio all’agricoltura e all’allevamento, ma nell’ultima parte del secolo scorso le cose sono cambiate e, ai tempi del nostro viaggio, se ne vedevano i primi effetti. Il paese dimostrava che con la protezione della natura, un suo sfruttamento intelligente e un turismo altrettanto intelligente (ecolodge, agriturismi, gestione cooperativa in molti casi, pochi villaggi turistici tipo Club Méditerranèè) si può vivere tranquillamente e, per di più, in un luogo tra i meno inquinati al mondo. 

Il National Geographic ha recentemente pubblicato questa notizia: nel primo semestre 2017 il piccolo stato dell'America Centrale ha prodotto il 99,35% della sua elettricità grazie a idroelettrico, geotermia, eolico, biomasse e solare. Alcuni esempi di economia ecosostenibile: la stragrande maggioranza dei tronchetti della felicità venduti nel mondo, ad esempio, sono coltivati in Costa Rica, come pure le farfalle che vengono allevate qui e spedite in larva in ogni parte del mondo (Italia compresa).

Branco di pizote (nasua dal naso bianco) che mendica cibo, Costa Rica
Un paese nel quale potrebbe avere senso ritirarsi per una vita più “leggera” e pulita. Idea non peregrina: basta guardare quante proposte di sistemazione in loco arrivano dalle rete cliccando su Google “Costa Rica”. Qualche ora di macchina può condurre alla costa atlantica (più umida e piovosa) o a quella pacifica (più calda o soleggiata), in entrambi i casi verso spiagge infinite contornate dalle palme e a un mare bellissimo. Al largo non mancano le barriere coralline. Per fortuna (è la mia personale opinione) tutto questo sembrava allora non bastare per rendere il Costa Rica una destinazione famosa e richiesta, forse perché al turista medio la natura interessa solo in cartolina o nei filmati del National Geographic e le spiagge incontaminate, senza discoteche, bar e ristoranti e giochi per i bambini, attirano poco. Ma per noi questo fu un motivo in più per andare. Spero sia ancora così.

PS: in Costa Rica si va solo se si ama e si è interessati alla natura nelle sue più belle manifestazioni, in tutti gli altri casi si vada da un’altra parte

El Contacto. Una dura esperienza. Non mi era mai capitato di entrare in una banca convinto di entrare in un museo. Fu quello che mi accadde a San Josè, la capitale, quando andammo a visitare il Museo de Oro Precolombino, installato sotto il Banco Central che ne era il proprietario. Per accedervi si doveva attraversare un ingresso che museo e banca condividevano, quindi scendere nel sottosuolo come se si entrasse in un caveau e infine sottoporsi a controlli tanto minuziosi che ritenni eccessivi anche per una banca. 
La spiegazione arrivò quando entrai nella più spettacolare esposizione di manufatti in oro di origine precolombiana che avessi mai visto. 
Il museo era moderno, luminoso e faceva della visita un percorso entusiasmante attraverso la cultura e l’arte delle civiltà che precedettero l’arrivo degli Europei nel nuovo mondo. Sbalordivano la quantità e la qualità dei pezzi in oro e altri metalli preziosi esposti: monili, pettorali, bracciali, copricapo, oggetti ornamentali e di uso comune. 
Erano stati creati da popoli che vivevano in profonda armonia con la natura e questo spiegava la presenza dei tanti pezzi che rappresentavano animali. Avevo di fronte agli occhi tutta la fauna della regione, dagli uccelli ai mammiferi, dai pesci ai serpenti. Seguendo un percorso storico e temporale l’esposizione partiva dai primi secoli dell’era cristiana fino all’arrivo degli spagnoli, periodo a cui appartenevano gli oggetti più belli.
Giunto alla fine della visita varcai la soglia dell’ultima sala. Subito pensai di avere sbagliato percorso e di essere finito per errore in un magazzino o in una sala destinata ad utilizzi futuri, perché era spoglia e poco illuminata, come se fosse in allestimento. C’era solo una vetrina addossata alla parete accanto all’uscita. Andai ad osservare e vi trovai esposti specchietti, perline colorate e ciondoli, le cianfrusaglie che i conquistatori donavano ai nativi in cambio dei tesori che mi avevano appena incantato. Ancora convinto di avere sbagliato percorso, alzai gli occhi al cartello che riportava il titolo della sala e vi lessi il numero successivo a quello dell’ultima che avevo visitato. Nessun errore quindi, il percorso era giusto. Come gli altri, anche quel cartello, oltre al numero della sala, riportava il tema a cui si riferivano le opere esposte ed il periodo storico. Ed il tema della sala, l’ultima del museo, era agghiacciante: el contacto, il contatto. 
Era il modo più nobile e dignitoso per sputare in faccia agli Europei per i loro passati misfatti. Nessuna lacrimevole autocommiserazione sulle infamie subite, solo quella sala squallida e vuota, a parte le perline. Al visitatore il compito di porre a confronto quelle miserie con la sublime bellezza e lo splendore delle sale precedenti. Dopo di ché ci fu il contatto con i conquistatori, il morbo letale. 
Me ne andai dal museo in silenzio.

Centro di salvataggio “Las Pumas”: Era triste guardare gli animali richiusi nei recinti. I recinti quasi non si vedevano, nascosti come erano dall’esuberanza delle foresta, tuttavia gli animali non erano liberi.


Giaguaro al centro di salvataggio "las Pumas", Costa Rica
Ma la tristezza passava quando consideravamo che i recinti non erano quelli di uno zoo (altrimenti mica ci saremmo andati!): erano quelli del centro di recupero di animali feriti o rimasti orfani di “Las Pumas” vicino a Cañas. Un ricovero, quindi, un ospedale per animali bisognosi che, quando possibile, venivano poi rimessi in libertà. Un centro che vale la pena visitare. Nel centro ho potuto guardare negli occhi bellissimi felini che in vita mia non avevo mai visto: giaguari, margay e tigrilli (questi ultimi sono grossi gatti selvatici). Anche gli uccelli ospitati erano numerosi. Mi ricordo che mentre guardavo un tigrillo accoccolato su un ramo, pensavo come potesse un animale tanto piccolo e dolce terrorizzare la vita e i sogni di Antonio Josè, il protagonista del “Vecchio che leggeva romanzi d’amore” di Sepùlveda. Andandomene augurai lunga vita al Centro di salvataggio “La Pumas” che, oltre al suo nobile scopo, ci diede la possibilità di vedere animali così rari ed elusivi che altrove molto difficilmente saremmo riusciti a vedere. Per entrambi i motivi contribuimmo al mantenimento del centro con una discreta sommetta.

Ho visto il quetzal! Tanto entusiasmo per l'unità monetaria del Guatemala, in corso dal 1925? Ma no! L’entusiasmo è per l’omonimo spettacolare uccello che è il simbolo del Guatemala, il quetzal appunto. Che in Guatemala qualche anno prima avevamo cercato invano, visto che lo si dava ormai per estinto. Ma in Costa Rica qualche esemplare era possibile ancora vederlo. Bisognava arrampicarsi su Cerro de la Muerte (sic!) a 3.000 metri nel parco nazionale di Chirripò. Un po’ scomodo, ma ne valse assolutamente la pena: cercare il quetzal, vederlo conoscendo il carico storico ed emotivo che si porta dietro questo uccello simbolo fu una grande emozione.

Quetzal nel P. N. Chirripò, Costa Rica
Nell'antica cultura maya le piume della coda del quetzal erano utilizzate come moneta. Da qui la denominazione della moneta nazionale guatemalteca quando l’uccello viveva ancora nelle foreste di quel paese. E capisco anche il loro rammarico per averlo perduto.
Quetzalcoatl era uno degli dei più importanti nel pantheon azteco. Secondo alcuni significa letteralmente serpente con piume di quetzal (guarda un po’) e questo rimanda a qualcosa di divino o prezioso. Che sia vero o no, si spiega il mio entusiasmo per essere riuscito infine a vedere questo meraviglioso uccello. Ma vederlo e fotografarlo non fu la stessa cosa. Gli alberi della foresta erano molto alti, il quetzal si nascondeva tra i rami e le foto erano difficili. Per questo, per la prima volta nella vita di questo blog, carico anche una foto del quetzal non mia, presa da Internet, che cito e ringrazio. Le mie le trovate nella sezione delle foto del viaggio in Costa Rica.

Caño Negro Wildlife Refuge. Riserva naturale poco frequentata, al confine col Nicaragua, ma splendida. Il rio Frio scende dalle montagne, la attraversa e va a sfociare nel grande Lago de Nicaragua nell’omonimo paese. Navigando sul fiume eravamo circondati dalla foresta pluviale, con retorica si potrebbe dire impenetrabile. Sembrava di vivere nelle pagine di Cuore di tenebra di Joseph Conrad e di risalire il fiume Congo.
Caimano al Wildlife Refuge Caño Negro, Costa Rica
In realtà il rio Frio scorreva attraverso grandi tenute coltivate che lasciavano alla foresta solo pochi chilometri attorno al fiume. Tuttavia questo era sufficiente a mantenere una fauna straordinaria, tutta a portata di barca. A parte i grandi felini di cui dubitavo le presenza, ma che dicono esserci: avvoltoi, aironi di ogni specie, molte varietà di martin pescatori, cormorani, aninghe… e poi bradipi tridattili, caimani, basilischi.

Iguana verde sull'albero delle iguane , Costa Rica
L’albero delle iguane. Dalle parti di Muellen c’era un ponte che scavalcava un piccolo fiume contornato di alberi altissimi. Le loro chiome arrivano all’altezza del ponte e sui rami a pochi metri dalle spallette del ponte sonnecchiavano e prendevano il sole decine di iguane verdi. Sembravano i frutti dell’albero nonostante le loro dimensioni (più di un metro di lunghezza). 
Erano abituate all’uomo al punto che si avventuravano sulla strada e tra i tavoli del bar lì accanto. Erano assolutamente rispettate e quindi loro non temevano l’uomo. Tutti si fermavano per godere dello spettacolo raro e straordinario. Molto divertente

Ara Macao nel P.N. Corcovado, Costa Rica
Corcovado Nat. Park. Il parco più bello, il più vasto e remoto del paese. Difficile da raggiungere. Un’intera penisola protesa nel Pacifico quasi ai confini con Panama. Un’immensa foresta ancora pressoché integra, allora quasi priva si possibili sistemazioni che non fossero un paio di campi tendati posti sui confini. Per poter entrare un po’ all’interno partivamo dal campeggio in barca per sbarcare presso una stazione dei ranger dopo una mezz’ora di navigazione lungo la costa. Il caldo non aiutava, qualsiasi sentiero era un’arrampicava, ma per un amante della natura, un esperienza fantastica. Il Corcovado è il regno del giaguaro e del puma, ma solo i ranger più fortunati potevano vantare qualche avvistamento sporadico e, soprattutto, notturno. Noi quindi non avevamo speranze e allora ringraziai gli “avvistamenti” avuti nel centro di salvataggio di Las Pumas. Ma non mancammo di vedere i rari ara macao e i tucani, ancora più rari. E poi una famigliola di agouti, un buffo roditore, una specie di incrocio maggiorato tra un coniglio, un topo e uno scoiattolo, diversi cedo cappuccino, una scimmia con la testa e le spalle completamente bianche. Infine molte specie di uccelli e le enormi e meravigliose farfalle morpho (apertura alare: 15/20 centimetri). Insomma un parco indimenticabile tra i più belli che abbia mai visitato.

La “arribada” (l’arrivo). L’arrivo del 1995 sulla spiaggia Ostional viene ricordata come la più numerosa della storia. Di cosa si tratta? Dello sbarco di decine di migliaia di tartarughe Olive Ridley che (specialmente in estate) convergono qui (e in pochi altri luoghi al mondo) per deporre le loro uova. Date un occhiata al filmato per avere un’idea che mi spinge a dire che l’evento da solo vale il viaggio https://youtu.be/B9Y_R2GvAaI.
Sapevamo che non era il periodo giusto, ma tentare non nuoce. Levataccia alle 2 del mattino, camminata faticosa (ma bellissima) di 4 ore sulla spiaggia per arrivare all’alba, il momento più proficuo. Non ci andò bene, purtroppo, non arrivò una sola tartaruga. Potemmo però renderci conto delle dimensioni del fenomeno osservando il tappeto di gusci di uova che copriva la spiaggia per chilometri. Alle uova infatti (oltre agli abitanti locali che depredano i nidi) si interessano anche gli avvoltoi urubù e gli sciacalli che scavano i nidi e consumano le uova sul posto.

Rientro dal week-end contromano. Immaginate di andare da Milano a Bologna sull’Autostrada del Sole. Nella vostra direzione c’è traffico intenso ma scorrevole. Sono le 7 si sera e averte di fronte un tramonto bellissimo. Si viaggia a 80 km/ora. Nell’altra direzione pochissime le macchine. Arrivati a Modena, il traffico nella vostra careggiata si intensifica molto e in quella contraria pure: ora anche nell’altra careggiata si viaggia in colonna a 80 all’ora. Ma, improvvisamente, notate che di là non si vedono i fari delle auto, ma le luci posteriori. Non è possibile, dall’altra parte del guard-rail stanno andando contromano, nella stessa vostra direzione! Mi prese un colpo, ma prima che potessi aprire bocca, Luis, l’autista spiegò l’arcano (stavamo rientrando a San Josè): “E’ domenica sera, la gente rientra in massa dal week-end, quasi nessuno va nella direzione opposta. Quindi in questi casi usiamo anche l’altra careggiata per rientrare nella capitale invertendo nelle ore di maggior traffico, come adesso, il senso di marcia: entrambe le careggiate dell’autostrada in questo momento conducono a San Josè”. A me sembrò un’idea geniale. Che ne pensate?

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