lunedì 18 marzo 2019

Viaggio a CUBA ai tempi di Fidel

Danze e colori, L'Avana, Cuba
Paese attraversato: Cuba
Itinerario: Havana, Cienfuegos, Trinidad, Camaguey, Las Tunas, Bayamo, Santiago de Cuba, Holguin, Yaguajay, Remedios, Santa Clara, Havana
Periodo: dicembre 2003 – gennaio 2004
Durata: 2 settimane

Ovviamente volevo visitare Cuba finché Fidel era vivo. Avevo seguito per tutta la vita e con grande interesse la storia e l’evoluzione dell’esperimento politico e sociale della piccola isola che tanto preoccupava gli americani. Era alta la simpatia per la piccola nazione che sfidava l’impero USA a 90 miglia da Miami dopo aver abbattuto il corrotto regime di Battista che negli ultimi decenni aveva ridotto l’isola a casino e bordello degli Stati Uniti e ricettacolo della sua malavita. Il nostra viaggio non prevedeva soste allo splendido mare che pure rimane una delle attrazione più belle del paese, lo scopo era un altro.

"Resolver", Cuba
Fu un’esperienza che mise a dura prova la mia emotività, le mie convinzioni e la mia storia. Cuba era il paese dove gli ideali rivoluzionari, che in fondo mi appartenevano, avevano vinto, ma gli esiti che si manifestavano davanti ai miei occhi denunciavano una realtà difficile da accettare. La realtà di Cuba contraddiceva i miei ideali di libertà e democrazia anche se era migliore della realtà e delle condizioni di vita di alcuni paesi vicini (Haiti, Santo Domingo…), destino al quale certamente anche Cuba senza la rivoluzione sarebbe stata condannata. E Allora? A Cuba l’istruzione e la sanità erano a un buon livello, ma i negozi erano vuoti, simili a quelli dei paesi dell’Europa dell’est prima della caduta del muro di Berlino. I negozi dei prodotti base riservati ai cubani (forni, ad esempio) non avevano praticamente nulla da vendere, ma code infinite di gente in attesa. “Resolvèr”, risolvere, era il motto di Fidel, darsi da fare, e i cubani si davano da fare in tutti modi: cercavano di contattare i turisti per affittare stanze (case particulares), offrire pasti (aragoste clamorose!), trasporti (risciò, mototaxi, auto), proporsi come guide, offrire parcheggi, lavaggi auto o intrattenimento (orchestre). Ho visto, per esempio, alcuni dipingere un’auto a mano, con pennelli e barattolo di vernice verde. Se non è arrangiarsi questo… Attaccavano bottone, ma non erano asfissianti allegri e sempre sorridenti.

Cuba
Di sicuro un errore enorme Fidel Castro l’aveva fatto e si vedeva: non aveva, come poi si è dimostrato, creato la sua successione, non aveva preparato il passaggio dalla durezza della rivoluzione (certo aggravata dall’embargo americano e dalla perdita degli aiuti sovietici dopo la caduta del muro) all’apertura verso una società più aperta e meno dominata dalla stato. Tutto questo possibilmente accompagnato da meno corruzione e soprusi da parte del potere.
Cuba un paese sul quale avrei tanto da dire. Mi basta promettere a me stesso di ritornare per vedere come procede il dopo-Castro.

Fermo immagine. Immaginiamo che ad un tratto la storia si fermi o, meglio, cambi bruscamente direzione: quel giorno cambia il mondo intero. Fu quello che accadde a L’Avana all’alba della rivoluzione. Due sono gli aspetti che mi apparvero evidenti a seguito di questo “fermo immagine”: la auto che circolavano nelle vie e i palazzi.
Le auto, come sapevo da anni, erano tutte degli anni ’30, ’40 e ’50, molte malmesse, ma altrettante tenute a accudite con attenzione. Erano un “regalo” che i fuggitivi, cubani e stranieri, che scappavano di fronte all’arrivo dei rivoluzionari aveva fatto a quelli che restavano. Sembrava di essere tornati indietro di cinquanta anni. Sembrava di essere in un film.
I palazzi de l’Avana Centro (’800 e ’900) mostravano una architettura fantastica (molto liberty), prova dell’antica ricchezza della città, ma versavano in pessime condizioni per la carenza dei mezzi necessari per la manutenzione.


Il Malecòn, L'Avana, Cuba
Particolarmente dolorosa era la vista del Malecòn (il fastoso lungomare che si affaccia sull’oceano) che mostrava facciate sontuose di palazzi ormai cadenti e fatiscenti. Tuttavia la mancanza di mezzi, che aveva impedito la manutenzione di quella zona della città, non aveva consentito nemmeno di deturparla con la costruzione di quella architettura squallida prodotta dallo “sviluppo” capitalistico che negli anni 1960-1990 ha devastato le città di tutto il mondo. L’Italia ne è un ottimo esempio. L’Avana Centro era ancora là, è ancora là, in originale, in attesa della ristrutturazione quando ci saranno i soldi necessari, ma salva, perché ormai credo che la cultura attuale non consenta più simili devastazioni. Già allora si capiva cosa potrà essere l’Avana quando questo avverrà: bastava camminare per l’Avana Vecchia, quella del ’500-’600: solo palazzi, chiese e piazze originali di quei secoli senza costruzioni successive. Sembrava un set cinematografico.

Case de la trova e musica cubana. Nelle strade di ogni città si spandevano le note allegre della musica cubana suonata da una delle tante orchestre eistenti. Non so quanto possa rendere il mestiere di orchestrale a Cuba, ma di sicuro, come all’Avana o a Santiago, le orchestre erano tante e si potevano ascoltare ovunque. 


Orchestra di musica cubana, Trinidad, Cuba
Nel XIX secolo nasceva nella parte orientale di Cuba, specialmente a Santiago, il movimento della Trova. Un gruppo di musicisti itineranti, chiamati trovadores, cominciò a spostarsi all'interno dell'isola, passando la vita a cantare e suonare la chitarra. Ovviamente ricordavano i trovatori europei che abbiamo studiato a scuola e che durante i secoli centrali dell'alto medioevo (1100–1230) componevano ed eseguivano testi poetici e lirici in lingua d’oc, parlata, in differenti varietà regionali, in quasi tutta la Francia a sud della Loira. Arrivarono anche in Italia (in Toscana e in Sicilia soprattutto) e furono i primi artisti ad abbandonare il latino per passare al volgare, l’antenato dell’italiano.
A Cuba i luoghi deputati ad accogliere questi musicisti erano, e sono ancora, le Case de la Trova ("case della poesia musicale"). Ce ne sono in ogni città: si entra, si beve qualcosa. Si mangia anche, e si ascolta la musica che è sempre di alto livello. Qui si organizzano concerti (gratuiti) di musica tradizionale, soprattutto per i cubani, ma tutti sono benvenuti. Guantanamera è la più conosciuta canzone tipica della Trova.

Buena Vista Social Club. Ricordiamo il bellissimo film omonimo di Wim Wenders del 1999: è la storia di un gruppo di musica cubana fondato all'Avana nel 1996. Il nome è lo stesso dell'omonimo locale che si trovava nel quartiere Buenavista dell'Avana dove era in voga la musica popolare cubana negli anni ’40. Per riprodurre gli stili musicali dell'epoca furono reclutati una dozzina di musicisti dell'epoca, di cui molti si erano ritirati dalle scene da tempo. Fra essi Compay Segundo, Pino Leyva, Ibraym Ferrer e altri vecchi musicisti. Il gruppo così formato viaggiò in lungo e in largo negli Stati Uniti per esibirsi di fronte a un pubblico entusiasta.


Musica  nelle Case de la Trova, Cuba
Ovviamente l’occasione di assistere a uno concerto dell’orchestra, ormai ridiventata famosa, non potevamo perderla. Tra l’altro si teneva nel bellissimo e storico Hotel National de Cuba a l’Avana. I musicisti ovviamente erano tutti vecchissimi, Compay Segundo era morto da pochi mesi quasi novantenne, Pino Leyva invece era sul palco, ancora in gamba nonostante i suoi 86. Erano bravi, bravi, bravi e fu una serata indimenticabile.

Guerrillero Heroico. La storia di questa foto è incredibile. La scattò casualmente Alberto Díaz Gutiérrez (L'Avana, 14 settembre 1928 - Parigi, 25 maggio 2001) meglio conosciuto come Alberto Korda, fotografo cubano, divenuto famoso proprio per questa foto del “Che” che intitolò Guerillero Heroico, una delle immagini più riprodotte di Ernesto Che Guevara e una delle foto più diffuse in assoluto. La racconta uno scrittore e giornalista cubano suo amico. 
Il "Guerrilero Heroico",
la foto più diffusa della storia
 di Albeto Korda
Korda non si aspettava certo un simile destino per la sua foto quando la scattò, il 15 marzo del 1960, ai funerali per caduti di un attentato nel porto dell’Avana. La scattò all’insaputa del “Che” che era sul palco della commemorazione accanto a Fidel, Sartre e Simone de Beauvoir e altre autorità. Alberto Korda realizzò della famosa immagine due scatti (uno orizzontale e uno verticale). Come si vede dall'originale l'immagine fu  "ritagliata" dal fotogramma orizzontale.
Nel 1967 Giangiacomo Feltrinelli, interessato a Guevara, impegnato nella guerriglia in Bolivia, chiese a Korda la foto. Il fotografo gliela regalò.
Qualche mese dopo il "Che" fu assassinato nella foresta boliviana e Feltrinelli fece subito pubblicare la foto su un manifesto e sulla copertina del libro Diario in Bolivia nel 1968. Il seguito lo conosciamo: magliette, manifesti, copertine di libri, bandiere, murales, gadgets di ogni tipo... Povero “Che”.

Anche a Cuba le animitas. Nel luogo dove capita una morte crudele o ingiusta - una mala muerte - nasce in America Latina un'animita. Sorta per misericordia e pietà della gente, un'animita è un cenotafio popolare che serve ad onorare l’anima di un defunto. Dove il morto terminò incolpevole la vita terrena, là sorge una piccola casa o un tempietto, costruiti dai congiunti ad immagine delle case e delle chiese dei vivi. A volte sorgono veri e propri mausolei. Vi abbondano bandiere, croci e candele che mani pietose cercano di mettere al riparo dal vento e dalla pioggia.
Nelle animitas messaggi e scritte trasmettono le suppliche e le richieste di aiuto all’anima del defunto che la mala muerte ha elevato al cielo e al privilegio di poter intercedere presso Dio in favore dei devoti che lo onorano. Ex voto di ogni forma e dimensione, piccoli doni, rosari, corone e targhe di legno, marmo, metallo e plastica si moltiplicano nel tempo attorno ai luoghi venerati, per ringraziare il defunto delle grazie ricevute. Tanti sono i fiori che adornano le animitas, rinnovati di continuo da fedeli, parenti e amici.
La gente di fronte alle animitas parla con il defunto, lo prega, piange, sistema i fiori e le candele. Le animitas si possono trovare in ogni luogo: in un cimitero, ai lati della strada, nella pianura assolata o su una collina. Ovunque.
Senza ancora conoscere il fenomeno, che avrei approfondito in Argentina, rimasi sconcertato di fronte alla tomba della signora Amelia Goyri, nel cimitero Cristòbal Colòn di L’Avana, per i fiori, le targhe di ringraziamento e la piccola folla di persone raccolte di fronte ad essa, come fosse il giorno del suo funerale. Invece la signora morì di parto nel 1901 e quando un po’ di tempo dopo venne riesumata, narra la leggenda che il suo corpo fu rinvenuto incorrotto ed il figlioletto, che era stato sepolto ai suoi piedi, venne ritrovato tra le sue braccia. Era avvenuto il miracolo e la signora Goyri entrò per sempre nel culto popolare. Una morte ingiusta l’aveva elevata di rango e non era più una dei tanti morti che riposano insieme a lei nell’immenso cimitero. Oggi, secondo la tradizione, ogni anno migliaia di pellegrini bussano sulla tomba per chiedere grazie e camminano a ritroso quando se ne vanno, come faceva il marito, disperato per la sua morte, che usciva in questo modo dal cimitero, non potendo staccare gli occhi dalla tomba dell’amata. Le animitas, un fenomeno toccante e tipico della religiosità molto profonda e un po’ superstiziosa del sudamerica.

 ¡Correcto, compañero! Pochi conoscono la storia di Gerardo, Ramon, Antonio, Fernando e René, i cinque cubani condannati negli Stati Uniti a pene sconcertanti - da quindici anni per René a due ergastoli e quindici anni per Gerardo - e noi non eravamo tra quei pochi quando sbarcammo all'Avana. Los cinco heroes.  La loro vicenda iniziò nel 1998 con l’arresto in Florida. Per l’accusa, cioè per la Casa Bianca e la potente lobby cubano-americana di Miami, erano e sono infiltrati inviati da Cuba negli Stati Uniti per scopi terroristici. Spionaggio e associazione a delinquere i reati di cui sono accusati.
Quando arrivammo a Cuba la tensione per la loro liberazione era alta e sembrava crescere ogni giorno di più. “Volveràn!” promettevano manifesti affissi da ogni parte, “Volveràn!” urlavano enormi scritte dai muri della città, “Volveràn!” si auguravano ai bordi delle strade teneri mosaici di sassetti multicolori. “Torneranno.” Ma allora non erano ancora tornati.[1]
Nella Plaza de la Catedral dell’Avana discutevamo tra noi della sorte dei cinque di fronte a un manifesto che ne reclamava la liberazione e anch’io esprimevo la mia opinione.
“Correcto, compañero!” mormorò una voce alle mie spalle. Era la voce di un vecchio venditore di sigari che evidentemente era d’accordo con me. Il basco verde, con la stella rossa stampata davanti, lasciava scendere sulle spalle una cascata di capelli grigi. La barba incolta e bianca gli copriva il viso bruciato dal sole e segnato da mille rughe. Indossava una giacca militare verde e fumava un sigaro avana di dimensioni esagerate. Sembrava emergere da una delle vecchie foto in bianco e nero dei Barbudos[2] esposte al Museo de la Revoluciòn della capitale. Un po’ ingiallite, ma ancora capaci di trasmettere l’allegria e la determinazione dei giovani rivoluzionari cubani armati di machete e fucili, coscienti della loro forza e sicuri di avere la Ragione e la Storia dalla loro parte. Beh, si sa, ‘gli eroi son tutti giovani e belli’. Vendeva sigari il vecchio rivoluzionario cubano, forse uno di quelli che erano arrivati dalla Florida con Castro, avevano combattuto le truppe di Batista sulle sierras ed erano entrati vittoriosi all’Avana nel 1959. Oppure avevano accompagnato Che Guevara in Africa per suscitare anche là la scintilla della rivolta. Il venditore di sigari era di sicuro un eroe di una tappa della Rivoluzione, ma un eroe un po’ sgualcito e dall’aspetto dimesso, con un tono di voce che sembrava volerci comunicare che la pensava come noi, ma sommessamente e senza farlo sapere in giro.
Avevamo incontrato altri vecchi compañeros per le strade della capitale, facili da riconoscere dall’abbigliamento, e tutti, come il venditore di sigari, ci erano apparsi un po’ soli, con gli occhi tristi, persi in un passato che forse non ritrovavano nel mondo che avevano intorno. Un mondo imprevisto, sconcertante, chissà, certo diverso da quello che avevano sognato in gioventù sulle montagne. Mi apparivano nella stessa condizione materiale e psicologica dei reduci del Vietnam: isolati, quasi invisibili a un’America che prima li aveva mandati in guerra e poi li aveva dimenticati. Anche se questo non giustifica un simile destino, va detto che i veterani del Vietnam la guerra l’avevano perduta, ma i compañeros l’avevano vinta. Erano occhi spenti, rassegnati che mi colpivano profondamente, soprattutto quando li confrontavo con gli occhi di Camilo che sorridevano smaglianti da ogni foto, ogni manifesto e ogni mural. Ed erano tante le sue icone sparse nell’isola, forse addirittura più numerose di quelle di Fidel o del Che.


Vecchio rivoluzionario, Cuba
I vecchi rivoluzionari mi sembravano tristi. Alcuni vendevano sigari, altri lasciavano scorrere il tempo seduti sulle panchine delle piazze, uno vendeva cimeli della Rivoluzione tra i quali scovammo un commovente album di figurine che ne ripercorreva la storia dagli albori fino alla vittoria finale. Alcuni mostravano di aver perso la guerra con l’alcool, altri sembravano prendere la vita con leggerezza, con la bandana a fiori in testa, l’orecchino al lobo e l’immancabile, incolta barba bianca. Rispettati dalla gente, ma ormai superati testimoni di una stagione passata e irripetibile, figure inadeguate al presente e antitetiche a quelle degli eroi vittoriosi. Sembravano sentirsi colpevoli per il fallimento di molti ideali rivoluzionari. Come dare loro torto? Ricordavo che qualche giorno prima, in un ristorante, uno dei tanti disperati della capitale aveva compiuto una velocissima sortita verso il nostro tavolo, fuggendo dopo aver rubato i resti del pranzo dal piatto di Laura. Appena in tempo per sfuggire all’arrivo del cameriere. Ricordavo che davanti ai pochi fornai popolari esistenti c’erano tristi code di persone che andavano alla caccia di una pagnotta di pane. Ricordavo che all’uscita da ogni città vedevo decine di persone in attesa di un passaggio da parte delle uniche auto in circolazione, quelle dei turisti.
“E’ per questo che abbiamo fatto la rivoluzione?” sembravano chiedersi gli occhi tristi del venditore di sigari… che dopo un ultimo sorriso si allontanò a passi lenti ripetendo a se stesso, persuaso: “¡Volveràn!”

Revolucion, presente! Nella vita dei cubani la rivoluzione era sempre, immagino sia ancora, presente. Cartelli, manifesti e grandi murales scandivano le loro giornate ricordando frasi, motti, incitamenti e inni alla vittoria della rivoluzione, le date, i luoghi e le tappe della lotta vittoriosa.
 
Ritratto del "Che"  a misura di palazzo, L'Avana, Cuba

Non mancavano ovviamente i ritratti degli eroi: Fidel Castro, “Che” Guevara e Camilo Cienfuegos soprattutto. Ogni via, quasi ogni muro delle città erano presidiati da un ritratto sorridente. Si chiama propaganda, lo so, a volte sono l’espressione classica dei regimi autoritari, ma lasciavano un segno dentro di me, soprattutto per la lingua (lo spagnolo) che mi sembra inventata apposta per accompagnare i movimenti rivoluzionari.

Hemingway, il bevitore. I gruppi di turisti in visita a l’Avana non mancano mai il giro dei bar frequentati da personaggi famosi del passato, Hemingway in testa. Si fa la fila per entrare alla Bodeguita del Medio o al Floridita dove addirittura c’è una sua statua a dimensione naturale che lo immortala appoggiato al banco, un po’ alticcio. Trappole per turisti gonzi.

Ritratto di Camilo Cienfuegos, Cuba
Una flor para Camilo (Camilo Cienfuegos). Fuori da Cuba pochi conoscono Camilo Cienfuegos,[3] tutto il mondo ha seguito la storia di Castro e intere generazioni di giovani, anche nate molti anni dopo la sua morte, si sono infiammate per Guevara. Camilo invece è rimasto quasi sconosciuto all’estero, ma non ai Cubani che lo ricordano con amore e venerazione. In tutte le immagini i suoi occhi apparivano ridenti e spensierati, forse perché non ebbero il tempo di vedere cadere al vento le speranze, perché morì pochi mesi dopo la fine della Rivoluzione vittoriosa. Secondo la versione ufficiale precipitò nell’oceano Atlantico con un piccolo aereo mentre rientrava all’Avana da Camaguey il 28 ottobre 1959, lasciando dietro la propria morte un alone di dubbi e di misteri che ancora oggi non si sono sciolti. Nonostante la sua prematura scomparsa, o forse proprio per questa, rimane uno degli eroi più amati a Cuba, l’unico dei grandi rivoluzionari ad essere nato all’Avana. Non c’è municipio dell’isola che non gli abbia dedicato una scuola, un museo o qualcos’altro. 
E ogni anno il 28 ottobre i Cubani lanciano un fiore in mare, una flor para Camilo. Lo ricordano così, non hanno bisogno di visitare il suo monumento a Yaguaiay, eretto nel luogo della sua battaglia più aspra che lo consegnò alla gloria eterna. E infatti eravamo soli nella visita del mausoleo, nessun cubano ci accompagnava, proprio perché solo gli stranieri non conoscono Camilo. La nostra presenza commosse il vecchio custode che ci ringraziò con le lacrime agli occhi dopo aver scoperto il nostro interesse per il suo eroe.
Lo stesso giorno passammo anche da Santa Clara, dove invece il monumento e il mausoleo del Che erano affollati di visitatori, schiere di turisti e vacanzieri che la sera avrebbero ballato a piedi nudi sulle spiagge di Varadero[4].





[1] ¡Volvieron! , ‘sono tornati!’, titolava “Granma”, l’organo ufficiale del Partito Comunista di Cuba nell’edizione unica del 18 dicembre 2014, un grido di sollievo dopo i tanti ¡Volveràn!
René González fu liberato il 7 di ottobre del 2011, dopo aver scontato la sua condanna  a tredici anni più altri tre anni di libertà condizionata negli Stati Uniti. Fernando González  fu liberato il 27 febbraio del 2014. I restanti tre membri del gruppo furono liberati il 17 dicembre 2014, in uno scambio di prigionieri con Cuba con un ufficiale dello spionaggio statunitense; la liberazione coincise con la liberazione “umanitaria” da parte di Cuba dell’americano Alan Gross, nonostante i governi abbiano sostenuto che detta liberazione non era in relazione con quella dei prigionieri cubani. (Wikipedia)
[2] Barbudos erano chiamati i rivoluzionari cubani a causa della lunga barba che portavano.
[3] Camilo Cienfuegos Gorriarán è stato uno dei capi e degli artefici, insieme con Fidel, Raul Castro ed Ernesto Guevara della rivoluzione cubana.
[4] Varadero è una delle più rinomate località turistiche di Cuba.


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