“Perché?” mi ero domandato tante volte prima di partire. Perché
lanciarmi nell’impresa di camminare per centinaia di chilometri, sopportare il
caldo, la fatica, la pioggia, per arrivare a Santiago di Compostela, percorrere
anch’io quell’antico cammino come tanti prima di me? Cosa andavo cercando, cosa
mi aspettavo da una simile esperienza? Prima di partire erano domande che non
trovavano risposte. Durante il cammino erano domande inutili perché le risposte
arrivavano da sole.
Giunto di fronte alla penisola Calcidica, il re Serse fermò esercito e
flotta e si mise a pensare. Era il sovrano di un impero immenso che andava dal
mar Egeo all’India e non poteva tollerare che quelle
piccole e presuntuose città della Grecia, a cominciare da Atene, litigiose e
sempre in lotta tra loro, rimanessero impunite per l’affronto fatto ai Persiani
alcuni anni prima. Erano, infatti, accorse in aiuto delle colonie ioniche che
si erano ribellate al potere di suo padre Ciro, il re dei re. Oltre alla
punizione, Serse vagheggiava anche di espandere il suo potere sul Peloponneso e
su tutta la Grecia e là, forse, si sarebbe spalancata davanti a lui la
possibilità di conquistare le colonie greche dell’Italia meridionale e della
Sicilia. Un progetto ambizioso. La strategia era chiara, eppure Serse
indugiava.