Itinerario: Tunisi, Jerba, Tripoli, Sabratha, Leptis Magna, Sebha,
Idinen (la montagna degli spiriti), Ghat, Tradrat Acacus, Germa, I laghi salati
Periodo: aprile/maggio
1997
Durata: 2 settimane
Dopo la Siria racconto del viaggio in Libia, un altro paese sconvolto dalla guerra. E che non visiteremo più per anni, se mai potremo tornarci.
Nel
1997 il regime di Gheddafi teneva la situazione sotto duro controllo, l’atmosfera
era cupa e tesa: i controlli sugli stranieri erano pressanti e a volte
preoccupanti. La Libia a
quei tempi era considerata
uno “Stato canaglia” ed era sotto embargo dell’ONU in quanto accusata, di aver organizzato, nel 1988, l'attentato di Lockerbie sul
volo della Pan Am che causò la morte di 270 persone. Quindi arrivare
a Tripoli, dove nessun volo atterrava, fu una faticosa trasferta così concepita:
Bologna, Roma, Tunisi, Jerba, Tripoli. Direzione contraria al ritorno. Una faticosa giornata di trasferimento anziché un’ora di volo.
Una bellissima incisione preistorica del Tradart Acacus, Libia |
Però,
in cambio di questi disagi, ottenemmo un viaggio fantastico in un paese nel
quale si compenetrano una natura straordinaria (forse il meglio del Sahara) e
una archeologia altrettanto clamorosa. Sabratha e Leptis Magna sono, insieme
con alcune altre città romane della Tunisia (Bulla Regia, Dougga, El Jem) esempi
straordinari del livello che l’architettura raggiunse nel primo secolo D.C, quando
l’imperatore Settimio Severo (nato a Leptis Magna) le conferì lo ius italicum, che la equiparava a qualsiasi
altra città italiana.
Straordinario
il museo a cielo aperto del Tradart Acacus, dove ancora si possono ammirare
migliaia di pitture rupestri tra le più belle e famose di tutto il Sahara.
Una
grande fetta della storia delle spedizioni alla scoperta dell’Africa sahariana,
fin dal tempo dei Romani, presero il via dalla Libia.
Negli
anni 1850-55 anche il grande esploratore Henrich Barthes partì da Tripoli
puntando a sud e, poco a nord di Ghat, scalando senza guida la Montagna del Diavolo, nel gruppo dell’Indìnen,
che i Tuareg temevano ritenendola abitata dagli spiriti. Rischiò la morte per
sete e disidratazione. Dopo essersi perso, fu ritrovato il giorno dopo per puro
caso.
Gente di Ghat, Libia |
Il
periodo del nostro viaggio non fu dei migliori, la primavera, quando il rischio
di tempeste di sabbia è elevato. Infatti ne beccammo una tremenda che durò un
giorno e una notte e ci lasciò per alcuni giorni un cielo grigio e opaco, con grande
danno per i panorami e le foto.
Il
paese poteva offrire anche spiagge attraenti e, allora, ancora libere da
stabilimenti balneari e lottizzazioni e, quindi, splendidamente deserte. Diversamente
dal solito, questo lo considerammo uno svantaggio e, dopo le fatiche del
viaggio, fu molto gradito un po’ di relax negli agi mediterranei di
Jerba, in Tunisia. Ma poi le rimpiangemmo di fronte alla cialtroneria di questi
resort affollati e rumorosi.
Oggi
mi domando: chissà se e quando si potrà ritornare in questo meravigliosa
paese?
Cosa non mi perderei di
questo viaggio:
Tripoli: La
città presentava dal punto di vista urbanistico tre mondi diversi: la città
vecchia, la Medina (mercato), un tempo
circondata da mura e costruita su un promontorio che si protende verso il mare,
la città coloniale italiana che si trova a ridosso della prima e la città
moderna costruita dopo l’indipendenza.
La Medina fu la zona più interessante da
visitare in quanto il limitato afflusso di turisti stranieri le concedeva ancora
un’aria autentica e un mercato che offriva prodotti per la gente del posto e
proposti da venditori gentili e non assillanti. Molto belle e frequenti le
moschee, le più affascinanti: la moschea Gurgi e Ahamed Pasha
Karmanli.
Altrettanto interessante si mostrò la
città italiana, un esempio mirabile di architettura coloniale moderna che pose
Tripoli alla pari delle altri capitali coloniali africane del Mediterraneo,
come Tunisi e Algeri. All’inizio del 1912, tre mesi dopo lo sbarco degli
Italiani in Libia, arrivava nel paese la prima missione con lo scopo di
elaborare progetti delle opere marittime e civili della più grandi cittadine
libiche (a cominciare da Tripoli e Bengasi) dove si sarebbe concentrata la
maggior parte degli Italiani in colonia. Cominciava così l’opera di
ristrutturazione di edifici di rilevanza storica da sottoporre a tutela, di
valorizzazione e conservazione della medina
e la messa a punto di un nuovo piano regolatore per la costruzione di strade
monumentali e nuovi quartieri. Il processo di trasformazione andò avanti fino
agli anni ’30 mettendo in campo i migliori architetti italiani del periodo.
Sabratha e Leptis Magna: scavate e ristrutturate negli anni ’20 dagli Italiani, mostrano origini
fenicie prima di diventare empori cartaginesi e quindi città romane
proconsolari. Con la Tripolitania terminava l’Africa romana e iniziavano le
regioni orientali, legate più all’Egitto che all’Italia e influenzate dalla
cultura greca e siriana. Dalle loro rovine emergono queste differenze, in
bilico tra diverse influenze, quando all’austerità degli impianti di origine si
sovrappongono le ricchezze decorative e l’opulenza delle costruzioni imperiali.
Ricordiamo che la stirpe degli imperatori Severi era originaria di Leptis
Magna. Soprattutto affioravano dalla sabbia resti spettacolari (a volte,
sembra, un po’ troppo ricostruiti dai nostri archeologi per la gloria del
regime fascista che esaltava l’origine romana della stirpe italica) e monumenti
grandiosi:
- a Sabratha: il teatro e il foro, oltreché un bel
museo con spettacolari mosaici
- a Leptis Magna: l’arco dei Severi, le terme
di Adriano, il mercato, il teatro, il foro e le basilica dei Severi, il ninfeo
e la via colonnata.
Soprattutto stupiva la qualità e la quantità dei
resti, non solo scavi, ma monumenti in ottimo stato di conservazione.
Ghat: mi apparve come la classica oasi sahariana con le case
in banco, già allora sempre più rimpiazzate da case moderne, le strade
sabbiose, la medina, la moschea e il
grande palmeto. Nonostante sia in pieno deserto e non piova quasi mai, negli
anni ’60 un violento acquazzone quasi “liquefece” le sue case di fango e
paglia. Era una stazione di passaggio lungo la pista che attraversava il Sahara
e conduceva in Mali e questa storia, nel dedalo delle sue viuzze, permetteva di
respirare ancora lo spirito nomade dell’oasi che un tempo era attraversata dalle
carovane del deserto. Ma soprattutto era ed è la porta per entrare nel Tradart
Acacus che sorge a est della città. L’ingresso al massiccio è un pertugio che consente
la sola andata, poiché obbliga all’attraversamento di una grande duna
affrontabile solo in discesa. Oltrepassata quella, per ritornare a Ghat occorre
compiere un largo giro di quasi duecento chilometri.
Un museo all'aria aperta chiamato Fezzan (Tradart Acacus): si trattò del clou del viaggio, il motivo per il quale ci sottoponemmo volentieri
al faticoso avvicinamento ad un paese pur così vicino all’Italia.
Il massiccio dell’Acacus presenta dalla parte
di Ghat una scarpata alta circa 600 metri, poi declina dolcemente verso est
fino a scomparire sotto le sabbie dell’erg
Murzuq. Ed fu attraverso una “fessura” di questa scarpata che entrammo nel
massiccio con i fuoristrada, inoltrandoci lungo valli aride e aspre, tra
labirinti di arenarie frastagliate dalle forme così strane da rimanere
sbalorditi. Ed è qui che l’erosione prodotta dalle piogge nei secoli ha creato
cavità e ripari occupati nel neolitico dai pastori che li decorarono con
migliaia di pitture che oggi testimoniano quanto le condizioni climatiche di
allora fossero distanti dall’attuale aridità. Le pitture – ne ho viste tante e
posso testimoniare che sono tra le più belle di tutto il Sahara – mostrano
dettagli e organizzazione scenografica eccezionali: bovidi, gruppi pastorali, scene
di villaggio, giraffe, guerrieri in battaglia, elefanti. Stupefacente, nulla da
aggiungere se non che si tratta di un patrimonio di inestimabile valore in
forte degrado per l’incuria e la cialtroneria umana che lascia in giro
immondizia e bagna le pitture perché i colori bagnati risplendono di più (per
le foto).
Già allora il degrado era evidente. Per ulteriori info: http://it.wikipedia.org/wiki/Tadrart_Acacus. In questo scenario meraviglioso trascorremmo cinque giorni di duro deserto, piste e pozzi quasi inesistenti, necessità di guide espertissime, autosufficienza completa per quel che riguarda acqua, cibo e funzionamento dei fuoristrada: queste le condizioni inalienabili per affrontare questa parte del viaggio.
Già allora il degrado era evidente. Per ulteriori info: http://it.wikipedia.org/wiki/Tadrart_Acacus. In questo scenario meraviglioso trascorremmo cinque giorni di duro deserto, piste e pozzi quasi inesistenti, necessità di guide espertissime, autosufficienza completa per quel che riguarda acqua, cibo e funzionamento dei fuoristrada: queste le condizioni inalienabili per affrontare questa parte del viaggio.
Germa (Garama): erano povere le tracce rimaste a ricordare l’antica
capitale dei Garamanti, alleati di Roma, ma il panorama che si godeva dall’alto
dello sperone sul quale fu costruita era affascinate.
I laghi salati: nella solitudine e nel mare di sabbia dell’erg Ubari si trovano undici laghi salati,
archetipi del lago del deserto: acque blu nelle quali si specchiano le alte dune
che li circondano, rive sabbiose ricoperte da canne verdissime all’ombra di una
cornice di palme. Cosa pretendere di più?
Noi visitammo i laghi Mandara e Umm-el-Mah, nel quale alcuni di noi fecero il bagno. Le acque sono salatissime e, montandomi la testa, avevo la sensazione di poterci camminare sopra. Una esperienza che ho provato solo nel Mar Morto. All’uscita dal bagno per fortuna avevamo un po’ di acqua dolce per una veloce doccia, perché avevo la sensazione spiacevolissima che la pelle, coperta di sale, si stracciasse ad ogni movimento.
Noi visitammo i laghi Mandara e Umm-el-Mah, nel quale alcuni di noi fecero il bagno. Le acque sono salatissime e, montandomi la testa, avevo la sensazione di poterci camminare sopra. Una esperienza che ho provato solo nel Mar Morto. All’uscita dal bagno per fortuna avevamo un po’ di acqua dolce per una veloce doccia, perché avevo la sensazione spiacevolissima che la pelle, coperta di sale, si stracciasse ad ogni movimento.
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