sabato 8 novembre 2014

Viaggio in LIBIA, TUNISIA

Il teatro di Sabratha - Libia
Paesi attraversati: Libia, Tunisia
Itinerario: Tunisi, Jerba, Tripoli, Sabratha, Leptis Magna, Sebha, Idinen (la montagna degli spiriti), Ghat, Tradrat Acacus, Germa, I laghi salati
Periodo: aprile/maggio 1997
Durata: 2 settimane

Dopo la Siria racconto del viaggio in Libia, un altro paese sconvolto dalla guerra. E che non visiteremo più per anni, se mai potremo tornarci.


Nel 1997 il regime di Gheddafi teneva la situazione sotto duro controllo, l’atmosfera era cupa e tesa: i controlli sugli stranieri erano pressanti e a volte preoccupanti. La Libia a quei tempi era considerata uno “Stato canaglia” ed era sotto embargo dell’ONU in quanto accusata, di aver organizzato, nel 1988, l'attentato di Lockerbie sul volo della Pan Am che causò la morte di 270 persone. Quindi arrivare a Tripoli, dove nessun volo atterrava, fu una faticosa trasferta così concepita: Bologna, Roma, Tunisi, Jerba, Tripoli. Direzione contraria al ritorno. Una faticosa giornata di trasferimento anziché un’ora di volo.

Una bellissima incisione preistorica del Tradart Acacus, Libia






















Dicevo dei controlli: vietato fotografare ponti, tralicci dell’alta tensione, militari indivisa, caserme, uffici pubblici e bandiere (notare che qualsiasi straccio verde avrebbe potuto essere considerato la bandiera nazionale). Anzi, meglio proprio non fotografare, almeno al nord. Il primo giorno una compagna di viaggio fotografò qualcosa di sbagliato e due settimane dopo, al ritorno, alla frontiera venne fermata, perquisita e le vennero sequestrate tutte le pellicole che aveva. Anche per me fu dura e ansiogena la trattativa che alla frontiera fui costretto ad ingaggiare per poter “esportare” dal paese la mia attrezzatura fotografica.
Però, in cambio di questi disagi, ottenemmo un viaggio fantastico in un paese nel quale si compenetrano una natura straordinaria (forse il meglio del Sahara) e una archeologia altrettanto clamorosa. Sabratha e Leptis Magna sono, insieme con alcune altre città romane della Tunisia (Bulla Regia, Dougga, El Jem) esempi straordinari del livello che l’architettura raggiunse nel primo secolo D.C, quando l’imperatore Settimio Severo (nato a Leptis Magna) le conferì lo ius italicum, che la equiparava a qualsiasi altra città italiana.
Straordinario il museo a cielo aperto del Tradart Acacus, dove ancora si possono ammirare migliaia di pitture rupestri tra le più belle e famose di tutto il Sahara.
Una grande fetta della storia delle spedizioni alla scoperta dell’Africa sahariana, fin dal tempo dei Romani, presero il via dalla Libia.


















Nel 19 A.C. Lucio Cornelio Balbo, partito da Sabratha, condusse un esercito nel Sahara raggiungendo prima l'oasi di
Ghadames, per poi occupare i più importanti centri della regione, come Adri e  Al Biraq e la capitale dei Garamanti, Germa. Quindi investì il centro berbero di  Ghat, a soli ottanta chilometri a nord di Djanet. Le orme di Cornelio Balbo, secondo Henri Lhote, che studiò a fondo questi territori a metà del secolo scorso, furono seguite nel 70 D.C. anche da un’altra legione romana, quella del legato Valerio Festo, che si spinse nel profondo Sud giungendo al fiume Niger. Insomma fin dai tempi dei Romani la Libia era vista come la propaggine nord di un immenso territorio che arrivava fino ai regni dei Neri. Anche se su queste regioni, nelle carte geografiche, si riportò per secoli l’indicazione “Hic sunt leones”.
Negli anni 1850-55 anche il grande esploratore Henrich Barthes partì da Tripoli puntando a sud e, poco a nord di Ghat, scalando senza guida la Montagna del Diavolo, nel gruppo dell’Indìnen, che i Tuareg temevano ritenendola abitata dagli spiriti. Rischiò la morte per sete e disidratazione. Dopo essersi perso, fu ritrovato il giorno dopo per puro caso.

Gente di Ghat, Libia

Il periodo del nostro viaggio non fu dei migliori, la primavera, quando il rischio di tempeste di sabbia è elevato. Infatti ne beccammo una tremenda che durò un giorno e una notte e ci lasciò per alcuni giorni un cielo grigio e opaco, con grande danno per i panorami e le foto.
Il paese poteva offrire anche spiagge attraenti e, allora, ancora libere da stabilimenti balneari e lottizzazioni e, quindi, splendidamente deserte. Diversamente dal solito, questo lo considerammo uno svantaggio e, dopo le fatiche del viaggio, fu molto gradito un po’ di relax negli agi mediterranei di Jerba, in Tunisia. Ma poi le rimpiangemmo di fronte alla cialtroneria di questi resort affollati e rumorosi.
Oggi mi domando: chissà se e quando si potrà ritornare in questo meravigliosa paese?

Cosa non mi perderei di questo viaggio:

Tripoli: La città presentava dal punto di vista urbanistico tre mondi diversi: la città vecchia, la Medina (mercato), un tempo circondata da mura e costruita su un promontorio che si protende verso il mare, la città coloniale italiana che si trova a ridosso della prima e la città moderna costruita dopo l’indipendenza.
La Medina fu la zona più interessante da visitare in quanto il limitato afflusso di turisti stranieri le concedeva ancora un’aria autentica e un mercato che offriva prodotti per la gente del posto e proposti da venditori gentili e non assillanti. Molto belle e frequenti le moschee, le più affascinanti: la moschea Gurgi e Ahamed Pasha Karmanli.
Altrettanto interessante si mostrò la città italiana, un esempio mirabile di architettura coloniale moderna che pose Tripoli alla pari delle altri capitali coloniali africane del Mediterraneo, come Tunisi e Algeri. All’inizio del 1912, tre mesi dopo lo sbarco degli Italiani in Libia, arrivava nel paese la prima missione con lo scopo di elaborare progetti delle opere marittime e civili della più grandi cittadine libiche (a cominciare da Tripoli e Bengasi) dove si sarebbe concentrata la maggior parte degli Italiani in colonia. Cominciava così l’opera di ristrutturazione di edifici di rilevanza storica da sottoporre a tutela, di valorizzazione e conservazione della medina e la messa a punto di un nuovo piano regolatore per la costruzione di strade monumentali e nuovi quartieri. Il processo di trasformazione andò avanti fino agli anni ’30 mettendo in campo i migliori architetti italiani del periodo.

Sabratha e Leptis Magna: scavate e ristrutturate negli anni ’20 dagli Italiani, mostrano origini fenicie prima di diventare empori cartaginesi e quindi città romane proconsolari. Con la Tripolitania terminava l’Africa romana e iniziavano le regioni orientali, legate più all’Egitto che all’Italia e influenzate dalla cultura greca e siriana. Dalle loro rovine emergono queste differenze, in bilico tra diverse influenze, quando all’austerità degli impianti di origine si sovrappongono le ricchezze decorative e l’opulenza delle costruzioni imperiali. Ricordiamo che la stirpe degli imperatori Severi era originaria di Leptis Magna. Soprattutto affioravano dalla sabbia resti spettacolari (a volte, sembra, un po’ troppo ricostruiti dai nostri archeologi per la gloria del regime fascista che esaltava l’origine romana della stirpe italica) e monumenti grandiosi:
- a Sabratha: il teatro e il foro, oltreché un bel museo con spettacolari mosaici
- a Leptis Magna: l’arco dei Severi, le terme di Adriano, il mercato, il teatro, il foro e le basilica dei Severi, il ninfeo e la via colonnata.
Soprattutto stupiva la qualità e la quantità dei resti, non solo scavi, ma monumenti in ottimo stato di conservazione.

Ghat: mi apparve come la classica oasi sahariana con le case in banco, già allora sempre più rimpiazzate da case moderne, le strade sabbiose, la medina, la moschea e il grande palmeto. Nonostante sia in pieno deserto e non piova quasi mai, negli anni ’60 un violento acquazzone quasi “liquefece” le sue case di fango e paglia. Era una stazione di passaggio lungo la pista che attraversava il Sahara e conduceva in Mali e questa storia, nel dedalo delle sue viuzze, permetteva di respirare ancora lo spirito nomade dell’oasi che un tempo era attraversata dalle carovane del deserto. Ma soprattutto era ed è la porta per entrare nel Tradart Acacus che sorge a est della città. L’ingresso al massiccio è un pertugio che consente la sola andata, poiché obbliga all’attraversamento di una grande duna affrontabile solo in discesa. Oltrepassata quella, per ritornare a Ghat occorre compiere un largo giro di quasi duecento chilometri.

Un museo all'aria aperta chiamato Fezzan (Tradart Acacus): si trattò del clou del viaggio, il motivo per il quale ci sottoponemmo volentieri al faticoso avvicinamento ad un paese pur così vicino all’Italia.
Il massiccio dell’Acacus presenta dalla parte di Ghat una scarpata alta circa 600 metri, poi declina dolcemente verso est fino a scomparire sotto le sabbie dell’erg Murzuq. Ed fu attraverso una “fessura” di questa scarpata che entrammo nel massiccio con i fuoristrada, inoltrandoci lungo valli aride e aspre, tra labirinti di arenarie frastagliate dalle forme così strane da rimanere sbalorditi. Ed è qui che l’erosione prodotta dalle piogge nei secoli ha creato cavità e ripari occupati nel neolitico dai pastori che li decorarono con migliaia di pitture che oggi testimoniano quanto le condizioni climatiche di allora fossero distanti dall’attuale aridità. Le pitture – ne ho viste tante e posso testimoniare che sono tra le più belle di tutto il Sahara – mostrano dettagli e organizzazione scenografica eccezionali: bovidi, gruppi pastorali, scene di villaggio, giraffe, guerrieri in battaglia, elefanti. Stupefacente, nulla da aggiungere se non che si tratta di un patrimonio di inestimabile valore in forte degrado per l’incuria e la cialtroneria umana che lascia in giro immondizia e bagna le pitture perché i colori bagnati risplendono di più (per le foto). 
Già allora il degrado era evidente. Per ulteriori info: http://it.wikipedia.org/wiki/Tadrart_Acacus. In questo scenario meraviglioso trascorremmo cinque giorni di duro deserto, piste e pozzi quasi inesistenti, necessità di guide espertissime, autosufficienza completa per quel che riguarda acqua, cibo e funzionamento dei fuoristrada: queste le condizioni inalienabili per affrontare questa parte del viaggio.

Germa (Garama): erano povere le tracce rimaste a ricordare l’antica capitale dei Garamanti, alleati di Roma, ma il panorama che si godeva dall’alto dello sperone sul quale fu costruita era affascinate.

I laghi salati: nella solitudine e nel mare di sabbia dell’erg Ubari si trovano undici laghi salati, archetipi del lago del deserto: acque blu nelle quali si specchiano le alte dune che li circondano, rive sabbiose ricoperte da canne verdissime all’ombra di una cornice di palme. Cosa pretendere di più? 
Noi visitammo i laghi Mandara e Umm-el-Mah, nel quale alcuni di noi fecero il bagno. Le acque sono salatissime e, montandomi la testa, avevo la sensazione di poterci camminare sopra. Una esperienza che ho provato solo nel Mar Morto. All’uscita dal bagno per fortuna avevamo un po’ di acqua dolce per una veloce doccia, perché avevo la sensazione spiacevolissima che la pelle, coperta di sale, si stracciasse ad ogni movimento.


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