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Verso Chinguetti (Mauritania) |
Itinerario:
in Mauritania: Nouakchott, capo Timirist e i pescatori Imraguen, Atar, oasi di
Chinguetti, oasi di Ouadane, Tidjikja, oasi di Thichitt, oasi di Oualata, Nema,
rovine di Koumbi Saleh;
in Mali: Nara, Bamako;
Periodo: febbraio-marzo 1988
Durata: 3 settimane
Ne parlo nel libro: Il gatto buddhista
Fino al febbraio del 1976 la Mauritania rimase coinvolta nel conflitto che impegnava anche Marocco e Algeria nella disputa sul controllo del Sahara Occidentale e quando arrivammo noi (il primo viaggio dopo la fine della guerra) le conseguenze del conflitto erano ancora evidenti. Fu un viaggio molto duro: due notti in albergo in tutto (una all’inizio a Nouakchott in Mauritania e una alla fine a Bamako in Mali) con in mezzo 20 giorni di deserto: piste quasi inesistenti, acqua di pozzo e quasi totale autonomia per cibo e carburate. Tale autonomia di cibo venne garantita soprattutto dal trasferimento dall’Italia di un paio di valigiotte stipate di mortadelle, grana, prosciutto (tutto sottovuoto). Rido ancora al ricordo della facce stralunate dei doganieri al nostro arrivo all’aeroporto di Nouakchott.
Il nostro viaggio attraversò tutto il paese dall’oceano Atlantico fino a Bamako in Mali, costeggiando l’Auker, un oceano di sabbia inattraversabile che nella preistoria era un enorme lago. Sulle antiche rive, che oggi si ergono qualche a centinaio di metri sopra l’antico bacino, furono costruite all’inizio dello scorso millennio alcune oasi che nei secoli divennero importanti centri commerciali, luoghi di culto e di cultura islamica, anche a supporto delle carovane che attraversavano il continente.
Fino al febbraio del 1976 la Mauritania rimase coinvolta nel conflitto che impegnava anche Marocco e Algeria nella disputa sul controllo del Sahara Occidentale e quando arrivammo noi (il primo viaggio dopo la fine della guerra) le conseguenze del conflitto erano ancora evidenti. Fu un viaggio molto duro: due notti in albergo in tutto (una all’inizio a Nouakchott in Mauritania e una alla fine a Bamako in Mali) con in mezzo 20 giorni di deserto: piste quasi inesistenti, acqua di pozzo e quasi totale autonomia per cibo e carburate. Tale autonomia di cibo venne garantita soprattutto dal trasferimento dall’Italia di un paio di valigiotte stipate di mortadelle, grana, prosciutto (tutto sottovuoto). Rido ancora al ricordo della facce stralunate dei doganieri al nostro arrivo all’aeroporto di Nouakchott.
Il nostro viaggio attraversò tutto il paese dall’oceano Atlantico fino a Bamako in Mali, costeggiando l’Auker, un oceano di sabbia inattraversabile che nella preistoria era un enorme lago. Sulle antiche rive, che oggi si ergono qualche a centinaio di metri sopra l’antico bacino, furono costruite all’inizio dello scorso millennio alcune oasi che nei secoli divennero importanti centri commerciali, luoghi di culto e di cultura islamica, anche a supporto delle carovane che attraversavano il continente.
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Ai bordi dell'Auker (Mauritania) |
In aggiunta l’aspra bellezza che la Muaritania mi
offrì, non dimentico il vero, profondo battesimo
della solitudine (rubo la definizione a Paul Bowles) e il silenzio più
assoluto, perso in aree desertiche e quasi disabitate.
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La pesca degli Imraguem (Mauritania) |
Alla
fine della traversata arrivammo in Mali, altro paese splendido, ma il deserto
era finito. Ormai eravamo nella la brousse,
altra gente, molto diversa, un altro viaggio. Quello era finito.
La
grande paura
La costa
ovest del paese è una delle poche aree al mondo nelle quali le dune del deserto
- il Sahara - raggiungono direttamente l’oceano. E questo impedisce di
mantenere una pista percorribile lungo la costa che è tutta sabbia e, in
assenza di questa, gli spostamenti in auto sono possibili solo dove le dune
finiscono e iniziano le onde, nella sottile striscia di battigia che la marea
lascia scoperta ad intervalli regolari. Fu una delle più divertenti esperienze
della mia vita: viaggiare leggeri a ottanta all’ora, lambire dune di sabbia
alte cento metri da una parte e le onde dell’oceano dall’altra, in mezzo agli
spruzzi d’acqua salata. Un’esperienza esaltante ma pericolosa, se non si
conoscono alla perfezione gli orari delle maree o se, per sfortuna, si incappa
in un tratto di sabbia molle nella quale le ruote finiscano per affondare. Come
capitò a noi.
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La grande paura (Mauritania) |
Se
esiste un Dio del mare, quel giorno doveva essere libero da impegni ed ebbe
tempo e compassione per quel gruppo d’insoliti marinai che lottavano per
salvare dai flutti un fuoristrada. Non una barca, un fuoristrada. Per fortuna
le ruote sulle placche di ferro fecero presa e con uno scatto liberatorio
l’auto balzò fuori dall’acqua.
L’avevamo
scampata, anche se non ritrovammo più in mezzo alle onde una delle due placche.
Poco male, pensammo in quel momento, ma in seguito la rimpiangemmo nei numerosi
e sfibranti insabbiamenti che ci bloccarono lungo le piste. Bagnato ma felice,
mentre rimettevo in auto le mie cose, come un naufrago consapevole dello
scampato pericolo, guardavo torvo il mare agitato che aveva cercato di ingoiare
la nostra auto.
Lasciato
l’oceano Nanì riprese consapevolezza di sé e fiducia nel proprio ruolo e ad un
accampamento di nomadi comprò un montone per la nostra cena. Ormai eravamo
lontani dal mare e dalle aragoste, per sua fortuna.
Le navi
del deserto
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Nave arenata sulla spiaggi (Mauritania) |
Chinguetti,
la settima città dell’Islam
Raggiungere
Chinguetti, l’antico centro carovaniero, era per me un sogno che finalmente si
realizzava. Finalmente giungevo nella favolosa oasi che purtroppo da tempo
aveva cominciato a soccombere, sommersa dalla sabbia e arsa da una mancanza
d’acqua sempre più drammatica. Ma la lotta per la sopravvivenza le conferiva
una bellezza aspra, quasi tragica, che accresceva ai miei occhi il suo fascino
e la sua importanza storica.
Chinguetti
fu fondata tra l’XI e il XII secolo e rappresenta ancora oggi un esempio
mirabile d’insediamento a supporto delle grandi vie commerciali del Sahara, per
molti secoli luogo di contatti culturali, sociali ed economici. Nel tempo,
oltre che centro commerciale, diventò anche culla della cultura islamica. Ha
preservato nei secoli un tessuto urbano elaborato, costituito da case a patio, strade strette e
un’architettura in cui compaiono di frequente pietre scolpite con raffinatezza.
E costituisce anche un esempio eccellente di adattamento alle condizioni
climatiche del deserto.
Al
nostro arrivo scoprimmo che Chinguetti era divisa in due da un oued [1]
sempre in secca, la città nuova e quella vecchia. Ai bordi della città vecchia
conoscemmo Mohamed, gestore di una locanda con un patio occupato da un’ampia tenda beduina che lo riparava dal sole,
contornata da un’ininterrotta serie di divani. Avevamo le nostre tende e
Mohamed aveva camere da affittare. Ma noi scegliemmo la grande tenda beduina
come ‘accampamento’, perché era più comoda delle tende e più fresca delle
camere. E soprattutto ci permetteva di ‘fare campo’ con i nostri autisti come
eravamo abituare a fare tutte le sere, anche se ci trovavamo tra le vecchie
case dell’oasi invece che tra le dune. Su un lato del patio c’era il piccolo bar di Mohamed, molto spartano, dove lo
scarno arredamento, il bancone, i pochi sgabelli, la mensola su cui teneva
bibite, bottiglie e lattine, erano coperti di sabbia. Non ce la prendemmo con
lui per la scarsa pulizia. In Mauritania soffia sempre il vento e a Chinguetti,
immersa nella sabbia, non é possibile salvare nulla dalla polvere. Sopra la
mensola delle bibite ce n’era un’altra, più piccola, che raccoglieva una
trentina di libri. Incuriosito mi avvicinai al bancone per osservarli meglio.
Erano manoscritti.
Se c’è
un oggetto a me sacro, più sacro di tutto ciò che una religione qualsiasi può
considerare sacro, è uno scritto redatto prima dell’invenzione della stampa,
che sia un papiro egiziano o una tavoletta di Ebla[2]
o, naturalmente, un manoscritto. Perché vi percepisco la tensione e lo sforzo
di letterati, contabili, scribi e amanuensi tesi a trasmettere conoscenza e
sapere agli altri o almeno a quelli che avevano il privilegio di saper leggere.
E riesco a cogliervi anche la pazienza e la dedizione, l’impegno e il lungo
tempo necessari alla stesura. Quindi colloco un manoscritto fra quanto di più
alto l’uomo abbia dato prova di saper creare per elevare se stesso dalla
barbarie nel lungo cammino verso la civiltà, per altro non ancora concluso. E vedere
quei tesori buttati là sulla mensola, impolverati e coperti dalla sabbia che il
vento del deserto continuava a soffiare sull’oasi, era per me una vera
sofferenza. Fui tentato di odiare Mohamed per la sua incuria e insensibilità.
Ma poi dovetti assolverlo. Cosa poteva fare in quelle condizioni per i suoi
manoscritti?
Trascorsi
una notte agitata pensando ai manoscritti impolverati e accatastati sopra la
mensola di Mohamed, sognai orrendi insetti che banchettavano con la pelle delle
rilegature.
Il
mattino seguente Mohamed e i suoi parenti furono ospitali con noi e ce li
mostrarono ad uno ad uno, con un’attenzione e una cura che la sera precedente
non sarei stato disposto a concedere loro. E noi potemmo ammirarli e
fotografarli. Forse non erano molto antichi, ma di sicuro erano bellissimi, con
qualche miniatura, colori ancora vivaci e molti fogli rovinati. E qualche altro
che purtroppo, staccatosi dalla rilegatura, cadeva sulla sabbia.
Le
biblioteche del deserto
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Un manoscritto di Mohamed -Chinguetti (Mauritania) |
Forse durante la nostra
presenza a Chinguetti qualche biblioteca del deserto esisteva ancora, ma noi
non ne avemmo notizia, anche perché l’allarme per la scomparsa dei manoscritti
non era ancora stato lanciato a livello internazionale. Il che accadde qualche
tempo dopo.
Oggi la lotta per la loro
salvezza è iniziata e se ne stanno recuperando molti, tuttavia un immenso danno
è ormai stato compiuto senza possibilità di recupero. Ma per fortuna,
nonostante le perdite, il patrimonio sembra ancora consistente: trentamila,
quarantamila?
Nell’attività di
salvataggio delle opere – stiamo parlando di beni privati – c’è anche da
superare la fondata e giustificata diffidenza dei proprietari che, dopo aver
eventualmente accettato di concentrare i loro manoscritti in una biblioteca,
temono di vederli partire verso Parigi o Londra per non ritornare più. Noi
Occidentali abbiamo molto da farci perdonare per i furti di beni e opere d’arte
ai danni dei paesi poveri, basta visitare il Louvre o il British o qualche
museo americano. E per dare un’idea del valore delle opere in discussione,
basta considerare che tra i manoscritti più preziosi si annovera un testo di teologia dell’anno 480 dell’Egira[4],
che per il nostro calendario significa 1.087, circa.
Altre
antiche oasi (ai bordi dell’Auker)
Se Cinguetti è la più famosa e importante, non
posso non nominare le altre oasi che si incontrano andando verso est, come
perle di una luna collana. Ouadane, famosa in tutto il Sahara
come antico centro carovaniero e mercato dell’oro. Oggi offre le imponenti rovine della città vecchia, della moschea, il
“fortino”, gli orti (tutto dell’XI
secolo?), il palmeto e, per arrivarci, forse la pista sahariana più bella di
tutte. Durissima la pista (16 km in
mezza giornata di lotta con le dune) per Tidjikja, antico villaggio oggi
centro di una certa importanza. Grandiosi i passaggi per raggiungerla. Persa
nel Sahara a tre giorni di pista da Tidjikja, incontrammo Tichitt (XIII
secolo?) il più bell’esempio di architettura in pietra del Sahara mauro, inserita
in un ambiente superbo di colori contrastanti, la falesia incombente, il sole
abbacinante, le palme da dattero verdissime che si stagliano contro le curve
sinuose delle dune... Infine Oualata, la cui notorietà e prosperità
rimasero enormi fino al XVI secolo, quando fu oscurata dalla fama e
dall’importanza nascenti della non lontana Tombouctou. Sorprende ancora per le
sue case costruite su piani diversi attorno a un patio, dall’aspetto imponente
e severo, e soprattutto decorate con originali disegni bianchi, ocra, indaco
eseguiti con le dita direttamente sull’intonaco dei muri.
Insabbiarsi
In cosa
consiste, esattamente, un’insabbiatura nel deserto? E’ interessante saperlo. In
questo viaggio non le ho contate, ma, considerati i giorni di pura sabbia (almeno
8) e considerando una media prudente di insabbiature giornaliere (5) viene
fuori un numero significativo. Allora, cos’è una insabbiatura? Innanzi tutto va
detto che il “manico”, cioè l’autista, è determinante. C’è chi capisce quando
bisogna sgonfiare le gomme (e quanto) e chi meno, c’è chi capisce che conviene
passare di là e non di qua, chi sa leggere bene il colore della sabbia
(determinante), la sua consistenza, le pendenze e chi poco. E quindi a parità
di deserto c’è l’autista che si insabbia 3 volte quando un altro si insabbia
10. Va detto che non tutte le insabbiature sono uguali, da alcune si esce
agevolmente, da altre no. Ne descrivo una pesante, la peggiore che può
capitare.
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Duro insabbiamento (Mauritania) |
A – le
ruote trovano la stessa situazione precedente e la macchina, alla fine delle
placche, affonda di nuovo nella sabbia. In questo caso si recuperano le placche
e si ricomincia. Per quante volte? Fino a quando non si incontra un fondo che
regga l’auto. Fino a cinque volte l’ho sperimentato di persona.
B – il
terreno regge abbastanza e la macchina non affonda; in questo caso è vietato fermarsi a raccogliere gli altri passeggeri, ovviamente,
altrimenti la successiva ripartenza è a rischio di nuovo, immediato insabbiamento (come sulla neve);
l’autista non può fermarsi e prosegue fino a quando non trova un po’ di fondo
che tenga. Fino ad alcune centinaia di metri l’ho sperimentato di persona. A
questo punto ai passeggeri rimasti indietro rimane “solo” da disseppellire le quattro placche antisabbia
rimaste lì e, arrancando a piedi sulla sabbia, portarle alla macchina. Direi
che il peso di ognuna supera tranquillamente i 10-15 chili.
Se si è
sfortunati questa operazione può durare anche una mezz’oretta o magari di più.
Il grande
Nanì, la nostra guida, cercava sempre di diminuire questi rischi. Come? Quando era
indeciso sui passaggi da proporre all’autista, chiedeva di fermarsi, scendeva e
si metteva a trotterellare davanti alla macchina scegliendo per noi i passaggi
meno rischiosi. Poteva andare avanti anche per qualche chilometro. L'autista doveva solo andargli dietro. Questa è professionalità. Grazie Nanì, spero che tu
stia bene.
I pozzi
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Abbeverata (Mauritania) |
[1]
Il uadi o wadi o oued è il letto
di un torrente, simile a un canyon, in cui scorre (o scorreva) un corso d’acqua
a carattere non permanente. E’ tipico delle regioni desertiche.
[2]
A Ebla, antica città della Siria settentrionale,
furono scoperti nel 1975
gli archivi reali, contenenti migliaia di tavolette d'argilla e frammenti di
tavoletta con iscrizioni
cuneiformi
risalenti al periodo tra il 2500 e il 2200 a.C.
[3]
Nel secolo XVII Tombouctou conobbe
il suo massimo splendore. Allora fu costruita la moschea di Djnghereber che
ospitava un’alta aristocrazia religiosa di giuristi e letterati, mentre
l’università di Sankoré contava migliaia di studenti.
[4]
Più che rappresentare una "fuga", l'Egira di Maometto sancì la nascita del primo nucleo di uno Stato
islamico. È in considerazione di ciò che il 622, l'anno in cui questo
trasferimento ebbe luogo, venne poi prescelto come inizio del calendario islamico. (Wikipedia)
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