domenica 25 gennaio 2015

Viaggio in MAURITANIA, MALI (Viaggio ATM)

Verso Chinguetti (Mauritania)
Paesi attraversati: Mauritania, Mali
Itinerario: 
in Mauritania: Nouakchott, capo Timirist e i pescatori Imraguen, Atar, oasi di Chinguetti, oasi di Ouadane, Tidjikja, oasi di Thichitt, oasi di Oualata, Nema, rovine di Koumbi Saleh;
in Mali: Nara, Bamako;
Periodo: febbraio-marzo 1988
Durata: 3 settimane
Ne parlo nel libro: Il gatto buddhista 

Fino al febbraio del 1976 la Mauritania rimase coinvolta nel conflitto che impegnava anche Marocco e Algeria nella disputa sul controllo del Sahara Occidentale e quando arrivammo noi (il primo viaggio dopo la fine della guerra) le conseguenze del conflitto erano ancora evidenti. Fu un viaggio molto duro: due notti in albergo in tutto (una all’inizio a Nouakchott in Mauritania e una alla fine a Bamako in Mali) con in mezzo 20 giorni di deserto: piste quasi inesistenti, acqua di pozzo e quasi totale autonomia per cibo e carburate. Tale autonomia di cibo venne garantita soprattutto dal trasferimento dall’Italia di un paio di valigiotte stipate di mortadelle, grana, prosciutto (tutto sottovuoto). Rido ancora al ricordo della facce stralunate dei doganieri al nostro arrivo all’aeroporto di Nouakchott.

Il nostro viaggio attraversò tutto il paese dall’oceano Atlantico fino a Bamako in Mali, costeggiando l’Auker, un oceano di sabbia inattraversabile che nella preistoria era un enorme lago. Sulle antiche rive, che oggi si ergono qualche a centinaio di metri sopra l’antico bacino, furono costruite all’inizio dello scorso millennio alcune oasi che nei secoli divennero importanti centri commerciali, luoghi di culto e di cultura islamica, anche a supporto delle carovane che attraversavano il continente.

Ai bordi dell'Auker (Mauritania)
Nei secoli, prima dello sbarco dei portoghesi (1434), si susseguirono imperi di cultura sudanese che assunsero una elevata importanza storica ed economica: l’impero del Mali, l’impero Sonrai e del Ghana. Insomma, un paese che non è solo uno scatolone di sabbia, ma ha avuto uno storia importante di cui affiorano di tanto in tanto vecchie vestigia: l’antico centro commerciale di Aoudaghost (VIII secolo) o la supposta capitale dell’impero del Ghana (Kumbi Saleh) o , infine, site Monod, riportato alla luce da Theodore Monod, l’ultimo grande esploratore sahariano.
In aggiunta l’aspra bellezza che la Muaritania mi offrì, non dimentico il vero, profondo battesimo della solitudine (rubo la definizione a Paul Bowles) e il silenzio più assoluto, perso in aree desertiche e quasi disabitate.

La pesca degli Imraguem (Mauritania)
Ricordo anche le indimenticabili abbuffate di pesce, soprattutto aragoste, a pranzo e a cena per tre giorni di seguito fino a non poterne più. Ci sottoponemmo alla singolare dieta dei crostacei per risparmiare altri cibi della nostra scorta che ci sarebbero stati utili, nelle settimane successive, durante la traversata del deserto senza disporre di accettabili alternative di rifornimento. Per tre giorni risalimmo la costa dell’Atlantico a nord della capitale, e finché eravamo sul mare approfittavamo del lavoro dei pescatori Imraguen che forniva soprattutto magnifiche aragoste. Sì, si tratta dei famosi pescatori che si fanno aiutare dai delfini per pescare. Purtroppo il periodo nel quale praticano questo incredibile sistema di pesca va da ottobre a gennaio, quindi per noi fuori tempo. Peccato.
Alla fine della traversata arrivammo in Mali, altro paese splendido, ma il deserto era finito. Ormai eravamo nella la brousse, altra gente, molto diversa, un altro viaggio. Quello era finito.

La grande paura

La costa ovest del paese è una delle poche aree al mondo nelle quali le dune del deserto - il Sahara - raggiungono direttamente l’oceano. E questo impedisce di mantenere una pista percorribile lungo la costa che è tutta sabbia e, in assenza di questa, gli spostamenti in auto sono possibili solo dove le dune finiscono e iniziano le onde, nella sottile striscia di battigia che la marea lascia scoperta ad intervalli regolari. Fu una delle più divertenti esperienze della mia vita: viaggiare leggeri a ottanta all’ora, lambire dune di sabbia alte cento metri da una parte e le onde dell’oceano dall’altra, in mezzo agli spruzzi d’acqua salata. Un’esperienza esaltante ma pericolosa, se non si conoscono alla perfezione gli orari delle maree o se, per sfortuna, si incappa in un tratto di sabbia molle nella quale le ruote finiscano per affondare. Come capitò a noi.

La grande paura (Mauritania)
All’inizio uno dei fuoristrada, sprofondato nella sabbia della battigia, si rivelò quasi una fonte di divertimento. Solo Nanì, la nostra guida ingaggiata per i giorni futuri di navigazione nel deserto, era terrorizzato da tutta quell’acqua. Ma lo si poteva capire, veniva dall’oasi di Oualata e non aveva mai visto il mare. Per tutti noi invece sembrava un gioco e l’occasione per scattare decine di foto. Ma dopo una mezz’ora l’allegria volse in preoccupazione, perché la marea aveva invertito il suo flusso e gli autisti, nonostante gli sforzi, non riuscivano a tirare fuori l’auto dalla sabbia. L’acqua cominciò a risalire velocemente, le onde raggiunsero ben presto l’auto e cominciarono a scavare intorno alle ruote, mettendo a rischio la sua stabilità. Ci furono momenti di panico, perché rischiavamo di perdere uno dei nostri mezzi di trasporto e di mandare all’aria il viaggio intero. Era tanta la preoccupazione che, ricordo, alcuni di noi, rassegnati al peggio, levarono borse e macchine fotografiche dall’auto, cercando di salvare i beni più preziosi. Alla fine, per tirarci fuori dai guai, utilizzammo le placche antisabbia che con grande fatica riuscimmo a piazzare, quasi tuffandoci, sotto le ruote, quando ormai l’acqua stava per entrare nell’abitacolo.
Se esiste un Dio del mare, quel giorno doveva essere libero da impegni ed ebbe tempo e compassione per quel gruppo d’insoliti marinai che lottavano per salvare dai flutti un fuoristrada. Non una barca, un fuoristrada. Per fortuna le ruote sulle placche di ferro fecero presa e con uno scatto liberatorio l’auto balzò fuori dall’acqua.
L’avevamo scampata, anche se non ritrovammo più in mezzo alle onde una delle due placche. Poco male, pensammo in quel momento, ma in seguito la rimpiangemmo nei numerosi e sfibranti insabbiamenti che ci bloccarono lungo le piste. Bagnato ma felice, mentre rimettevo in auto le mie cose, come un naufrago consapevole dello scampato pericolo, guardavo torvo il mare agitato che aveva cercato di ingoiare la nostra auto.
Lasciato l’oceano Nanì riprese consapevolezza di sé e fiducia nel proprio ruolo e ad un accampamento di nomadi comprò un montone per la nostra cena. Ormai eravamo lontani dal mare e dalle aragoste, per sua fortuna.

Le navi del deserto

Nave arenata sulla spiaggi (Mauritania)
No, non sto parlando dei dromedari, le cosiddette “navi del deserto”, parlo di navi vere che giacciono inermi sulla sabbia, come balene “spiaggiate”. E non si tratta di vecchi galeoni di legno, ma di grandi navi di ferro, quindi costruite nel secolo scorso. Sono state sbattute sulla spiaggia dalle burrasche o si sono arenate a poche decine di metri dal bagnasciuga. Di varie forme e dimensioni, hanno in comune la ruggine che le sta lentamente consumando. Alcune si trovano a centinaia di metri dalle onde, segno della velocità con cui il deserto avanza verso il mare. Sorprendente, da domandarsi come siano potute arrivare fino a lì, senza trovare una risposta, se non nella forza  della natura.

Chinguetti, la settima città dell’Islam

Raggiungere Chinguetti, l’antico centro carovaniero, era per me un sogno che finalmente si realizzava. Finalmente giungevo nella favolosa oasi che purtroppo da tempo aveva cominciato a soccombere, sommersa dalla sabbia e arsa da una mancanza d’acqua sempre più drammatica. Ma la lotta per la sopravvivenza le conferiva una bellezza aspra, quasi tragica, che accresceva ai miei occhi il suo fascino e la sua importanza storica.
L'antica moschea di Chinguetti (Mauritania)

Chinguetti fu fondata tra l’XI e il XII secolo e rappresenta ancora oggi un esempio mirabile d’insediamento a supporto delle grandi vie commerciali del Sahara, per molti secoli luogo di contatti culturali, sociali ed economici. Nel tempo, oltre che centro commerciale, diventò anche culla della cultura islamica. Ha preservato nei secoli un tessuto urbano elaborato, costituito da case a patio, strade strette e un’architettura in cui compaiono di frequente pietre scolpite con raffinatezza. E costituisce anche un esempio eccellente di adattamento alle condizioni climatiche del deserto.

Al nostro arrivo scoprimmo che Chinguetti era divisa in due da un oued [1]
sempre in secca, la città nuova e quella vecchia. Ai bordi della città vecchia conoscemmo Mohamed, gestore di una locanda con un patio occupato da un’ampia tenda beduina che lo riparava dal sole, contornata da un’ininterrotta serie di divani. Avevamo le nostre tende e Mohamed aveva camere da affittare. Ma noi scegliemmo la grande tenda beduina come ‘accampamento’, perché era più comoda delle tende e più fresca delle camere. E soprattutto ci permetteva di ‘fare campo’ con i nostri autisti come eravamo abituare a fare tutte le sere, anche se ci trovavamo tra le vecchie case dell’oasi invece che tra le dune. Su un lato del patio c’era il piccolo bar di Mohamed, molto spartano, dove lo scarno arredamento, il bancone, i pochi sgabelli, la mensola su cui teneva bibite, bottiglie e lattine, erano coperti di sabbia. Non ce la prendemmo con lui per la scarsa pulizia. In Mauritania soffia sempre il vento e a Chinguetti, immersa nella sabbia, non é possibile salvare nulla dalla polvere. Sopra la mensola delle bibite ce n’era un’altra, più piccola, che raccoglieva una trentina di libri. Incuriosito mi avvicinai al bancone per osservarli meglio. Erano manoscritti.
Se c’è un oggetto a me sacro, più sacro di tutto ciò che una religione qualsiasi può considerare sacro, è uno scritto redatto prima dell’invenzione della stampa, che sia un papiro egiziano o una tavoletta di Ebla[2] o, naturalmente, un manoscritto. Perché vi percepisco la tensione e lo sforzo di letterati, contabili, scribi e amanuensi tesi a trasmettere conoscenza e sapere agli altri o almeno a quelli che avevano il privilegio di saper leggere. E riesco a cogliervi anche la pazienza e la dedizione, l’impegno e il lungo tempo necessari alla stesura. Quindi colloco un manoscritto fra quanto di più alto l’uomo abbia dato prova di saper creare per elevare se stesso dalla barbarie nel lungo cammino verso la civiltà, per altro non ancora concluso. E vedere quei tesori buttati là sulla mensola, impolverati e coperti dalla sabbia che il vento del deserto continuava a soffiare sull’oasi, era per me una vera sofferenza. Fui tentato di odiare Mohamed per la sua incuria e insensibilità. Ma poi dovetti assolverlo. Cosa poteva fare in quelle condizioni per i suoi manoscritti?
Trascorsi una notte agitata pensando ai manoscritti impolverati e accatastati sopra la mensola di Mohamed, sognai orrendi insetti che banchettavano con la pelle delle rilegature.
Il mattino seguente Mohamed e i suoi parenti furono ospitali con noi e ce li mostrarono ad uno ad uno, con un’attenzione e una cura che la sera precedente non sarei stato disposto a concedere loro. E noi potemmo ammirarli e fotografarli. Forse non erano molto antichi, ma di sicuro erano bellissimi, con qualche miniatura, colori ancora vivaci e molti fogli rovinati. E qualche altro che purtroppo, staccatosi dalla rilegatura, cadeva sulla sabbia.

Le biblioteche del deserto

Un manoscritto di Mohamed -Chinguetti
(Mauritania)
La Mauritania, come detto,  fu per secoli un centro di diffusione culturale e religiosa. La propagazione del sapere fu sempre una missione importante per gli antichi abitanti. Nelle città carovaniere, come Chinguetti o come, molto più lontana, Tombouctou,[3] sorsero moschee, scuole coraniche e si diffuse un’intensa attività editoriale di testi e di copie di testi che coprivano molti campi del sapere: religione, diritto, astronomia, medicina, botanica. Nacquero così molte biblioteche in ogni città, solo a Chinguetti sembra che ce ne fossero ventiquattro. E molte di esse erano itineranti e viaggiavano lungo le vie carovaniere. Perché, non dimentichiamolo, le popolazioni che abitavano il territorio erano nomadi e quindi i manoscritti seguivano i proprietari nelle sacche appese alle selle dei cammelli. E ciò andò avanti nel tempo fino a quando l’aridità e la successiva desertificazione non vinsero su tutto, le città persero d’importanza, il traffico carovaniero lentamente andò scomparendo e ilvasto patrimonio culturale cominciò a disperdersi. Era ed è un patrimonio delicato. Sabbia, usura e parassiti compirono nel tempo la loro opera distruttrice rovinando molti manoscritti.
Forse durante la nostra presenza a Chinguetti qualche biblioteca del deserto esisteva ancora, ma noi non ne avemmo notizia, anche perché l’allarme per la scomparsa dei manoscritti non era ancora stato lanciato a livello internazionale. Il che accadde qualche tempo dopo.
Oggi la lotta per la loro salvezza è iniziata e se ne stanno recuperando molti, tuttavia un immenso danno è ormai stato compiuto senza possibilità di recupero. Ma per fortuna, nonostante le perdite, il patrimonio sembra ancora consistente: trentamila, quarantamila?
Nell’attività di salvataggio delle opere – stiamo parlando di beni privati – c’è anche da superare la fondata e giustificata diffidenza dei proprietari che, dopo aver eventualmente accettato di concentrare i loro manoscritti in una biblioteca, temono di vederli partire verso Parigi o Londra per non ritornare più. Noi Occidentali abbiamo molto da farci perdonare per i furti di beni e opere d’arte ai danni dei paesi poveri, basta visitare il Louvre o il British o qualche museo americano. E per dare un’idea del valore delle opere in discussione, basta considerare che tra i manoscritti più preziosi si annovera un testo di teologia dell’anno 480 dell’Egira[4], che per il nostro calendario significa 1.087, circa.

Altre antiche oasi (ai bordi dell’Auker)

Se Cinguetti è la più famosa e importante, non posso non nominare le altre oasi che si incontrano andando verso est, come perle di una luna collana. Ouadane, famosa in tutto il Sahara come antico centro carovaniero e mercato dell’oro. Oggi offre le imponenti rovine  della città vecchia, della moschea, il “fortino”, gli orti  (tutto dell’XI secolo?), il palmeto e, per arrivarci, forse la pista sahariana più bella di tutte.  Durissima la pista (16 km in mezza giornata di lotta con le dune) per Tidjikja, antico villaggio oggi centro di una certa importanza. Grandiosi i passaggi per raggiungerla. Persa nel Sahara a tre giorni di pista da Tidjikja, incontrammo Tichitt (XIII secolo?) il più bell’esempio di architettura in pietra del Sahara mauro, inserita in un ambiente superbo di colori contrastanti, la falesia incombente, il sole abbacinante, le palme da dattero verdissime che si stagliano contro le curve sinuose delle dune... Infine Oualata, la cui notorietà e prosperità rimasero enormi fino al XVI secolo, quando fu oscurata dalla fama e dall’importanza nascenti della non lontana Tombouctou. Sorprende ancora per le sue case costruite su piani diversi attorno a un patio, dall’aspetto imponente e severo, e soprattutto decorate con originali disegni bianchi, ocra, indaco eseguiti con le dita direttamente sull’intonaco dei muri.

Oasi di Tichitt (Mauritania)

Insabbiarsi

In cosa consiste, esattamente, un’insabbiatura nel deserto? E’ interessante saperlo. In questo viaggio non le ho contate, ma, considerati i giorni di pura sabbia (almeno 8) e considerando una media prudente di insabbiature giornaliere (5) viene fuori un numero significativo. Allora, cos’è una insabbiatura? Innanzi tutto va detto che il “manico”, cioè l’autista, è determinante. C’è chi capisce quando bisogna sgonfiare le gomme (e quanto) e chi meno, c’è chi capisce che conviene passare di là e non di qua, chi sa leggere bene il colore della sabbia (determinante), la sua consistenza, le pendenze e chi poco. E quindi a parità di deserto c’è l’autista che si insabbia 3 volte quando un altro si insabbia 10. Va detto che non tutte le insabbiature sono uguali, da alcune si esce agevolmente, da altre no. Ne descrivo una pesante, la peggiore che può capitare.
Duro insabbiamento (Mauritania)
Mentre si sta procedendo molto lentamente, in 4x4, cercando le zone con il fondo più solido (difficile da capire), le ruote cominciano ad affondare e la macchina rallenta. L’autista prova a “resistere”, sterzando leggermente da una parte e dall’altra. In questo modo il pneumatico “prende” un po’ sul lato (più alto) della traccia che lo stesso pneumatico sta lasciando sulla sabbia. Con molta fortuna qualche volta (poche) funziona. Se non basta, la macchina affonda in un attimo. Occorre fermarsi immediatamente, perché se la ruote scavano troppo, la macchina si posa sugli ammortizzatori (la parte più bassa della macchina stessa dopo il battistrada) e le ruote con servono più a nulla. Allora la vicenda si fa dura. A questo punto si scende, si scava (anche con le mani) davanti ad ogni ruota per fare posto alle placche antisabbia (dopo averle tolte dal portapacchi al quale sono imbullonate). Sistemate le placche davanti alle ruote (o, se proprio si è alla canna del gas, anche dietro e, nel caso, si fa retromarcia) solo l’autista sale in macchia e prova a ripartire. L’auto arranca, sale sulle placche e riparte, ma, finite le placche stesse (lunghe un paio di metri) possono accadere due cose:
A – le ruote trovano la stessa situazione precedente e la macchina, alla fine delle placche, affonda di nuovo nella sabbia. In questo caso si recuperano le placche e si ricomincia. Per quante volte? Fino a quando non si incontra un fondo che regga l’auto. Fino a cinque volte l’ho sperimentato di persona.
B – il terreno regge abbastanza e la macchina non affonda; in questo caso è vietato fermarsi a raccogliere gli altri passeggeri, ovviamente, altrimenti la successiva ripartenza è a rischio di nuovo, immediato insabbiamento (come sulla neve); l’autista non può fermarsi e prosegue fino a quando non trova un po’ di fondo che tenga. Fino ad alcune centinaia di metri l’ho sperimentato di persona. A questo punto ai passeggeri rimasti indietro rimane “solo” da disseppellire le quattro placche antisabbia rimaste lì e, arrancando a piedi sulla sabbia, portarle alla macchina. Direi che il peso di ognuna supera tranquillamente i 10-15 chili.
Se si è sfortunati questa operazione può durare anche una mezz’oretta o magari di più.
Il grande Nanì, la nostra guida, cercava sempre di diminuire questi rischi. Come? Quando era indeciso sui passaggi da proporre all’autista, chiedeva di fermarsi, scendeva e si metteva a trotterellare davanti alla macchina scegliendo per noi i passaggi meno rischiosi. Poteva andare avanti anche per qualche chilometro. L'autista doveva solo andargli dietro. Questa è professionalità. Grazie Nanì, spero che tu stia bene.

I pozzi

Abbeverata (Mauritania)
Nello sconfinato deserto mauro non si incontra quasi mai nessuno, ma quando si arriva a un pozzo, la possibilità di incontrare qualche famiglia nomade aumenta. Arrivano con greggi di capre, mandrie di mucche assetate e di dromedari e danno inizio l’abbeverata. Si tratta di un’operazione lunga, dato che l’acqua bisogna tirala su da qualche decina di metri di profondità. Ma poco importa, il tempo non è un problema, anzi. C'è bisogno di  tempo per salutarsi, chiacchierare, scambiarsi informazioni e idee. Qualcuno prepara il te, cerimonia alla quale anche noi venivamo sempre invitati. 



[1] Il uadi o wadi o oued è il letto di un torrente, simile a un canyon, in cui scorre (o scorreva) un corso d’acqua a carattere non permanente. E’ tipico delle regioni desertiche.
[2] A Ebla, antica città della Siria settentrionale, furono scoperti nel 1975 gli archivi reali, contenenti migliaia di tavolette d'argilla e frammenti di tavoletta con iscrizioni cuneiformi risalenti al periodo tra il 2500 e il 2200 a.C.
[3] Nel secolo XVII Tombouctou conobbe il suo massimo splendore. Allora fu costruita la moschea di Djnghereber che ospitava un’alta aristocrazia religiosa di giuristi e letterati, mentre l’università di Sankoré contava migliaia di studenti.
[4] Più che rappresentare una "fuga", l'Egira di Maometto sancì la nascita del primo nucleo di uno Stato islamico. È in considerazione di ciò che il 622, l'anno in cui questo trasferimento ebbe luogo, venne poi prescelto come inizio del calendario islamico. (Wikipedia)

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