Itinerario: San José del Cabo, La Paz, Loreto,
Mulegé, Santa Rosalìa, deserto di Vizcaìno, Guerrero
Negro, Bahìa de los Angeles, Cataviña, San Ignacio, Todos Santos, Cabo San
Lucas, San José del Cabo
Periodo: gennaio-febbraio
2015
Durata: 3 settimane
In questo viaggio ho scoperto di essere ancora in
grado di sorprendermi. E’ un segno di vivacità, dico bene? Pensavo che la Baja
California (Bassa California) fosse principalmente un paese dove gli Americani
ricchi vanno a fare pesca d’altura sui loro yacht esagerati e il resto del
mondo ci andasse per ammirare le balene. Me l’ero immaginata come un’appendice
della California americana, dove si avesse difficoltà perfino a parlare spagnolo.
E invece no.
Intanto la Bassa California non è il sud dell’omonimo
stato americano. La Baja California è
uno stato (anzi due) del Messico: la Baja California e la Baja California Sur (sud).
Scusate la precisazione quasi offensiva, ma non avete idea di quante persone equivocano.
Siamo in Messico e non ci si salva dai controlli legati
al traffico della droga. E questi controlli li fa l’esercito, armato fino ai
denti. Non vi stupite, ne subirete parecchi. Vi sarà chiesto di uscire dalla
macchina e di aprire sportelli e bauli. Perquisiranno le valige, aprendo un po’
tutto, i vani dell’auto, le borse fino ad arrivare alle vostre tasche e al
vostro portafogli. Nel nostro caso tuttavia i controlli sono sempre stati
tranquilli. Ho visto però anche il controllo di un’auto che si era spinto fino
allo smontaggio del paraurti. Che non vi venga in mente di chiedere un selfie a un militare. Hai visto mai…
Siamo in Messico dunque, in uno stato abbastanza povero
che però sta a poco a poco progredendo, mantenendo profonde sacche di povertà,
ma nello stesso tempo ammodernandosi e, forse, avendo colto, almeno in parte,
la grande importanza di salvaguardare l’immenso patrimonio naturale che la
natura gli ha regalato.
Per quel che riguarda il periodo del viaggio, non ci sono
dubbi: l’inverno è la stagione migliore. Temperature ottime di giorno e di
notte, poca pioggia, cieli blu. In estate invece fa molto caldo (sopra i 40°), c’è
molta umidità e piove anche. E poi in inverno ci sono le balene…Vale la
pena di entrare un po’ nei dettagli sul periodo migliore per andare, dando per scontato che
lo scopo principale siano le balene. Il massimo della loro concentrazione è più
o meno a febbraio, ma fino a marzo sono ben presenti, anche se in calo. Se la
stagione è buona comincia la fioritura dei cactus verso la fine di febbraio che
mi dicono essere stratosferica. Per questo, cioè per mettere insieme i due
eventi, forse si può rischiare di andare all’inizio di marzo. Mah… a vostro
rischio e pericolo.
Scenari della Baja California, Messico |
Il nostro viaggio è durato tre settimane, mentre alcuni
tour operator lo propongono in una decina di giorni correndo di qua e di là.
Orrore! Il paese è bellissimo e si sta molto bene, prendete il viaggio anche come una
vacanza e godetevi quel che la Baja ha da offrire, che è unico al mondo. Con
calma, sarà indimenticabile. Spero di avervi trasmesso la mia idea di fondo: in
Baja California si va se si ama la natura. Per qualsiasi altro interesse
(mare e spiagge, ad esempio) è preferibile andare da qualsiasi altra parte.
La naturaleza: qui mare e terra si
incontrano creando ovunque scenari splendidi: montagne, scogliere, isole, baie
e spiagge immense, bianche e prive di frequentatori (a parte qualche
camperista), se escludiamo la costa del sud, tra Cabo San Lucas e San Josè. Ci
sono alcuni tratti di costa tra Loreto e Santa Rosalìa (ad esempio la Bahìa de la Concepciòn) addirittura commoventi. Ma siamo sull’oceano Pacifico e quindi
praticamente nessuno fa il bagno: l’acqua è freddina e dicono che sia
pericoloso per via delle correnti. La penisola ha un’origine vulcanica ed è
quindi aspra, severa e presenta ampie aree desertiche, ma non siamo nel pur
meraviglioso Sahara. Qui per deserto intendiamo montagne e valli rocciose,
colonizzate da ogni sorta di pianta grassa, dai tappeti di piantine alte un
centimetro di un fucsia sfolgorante che invadono le valli, ai cactus alti 20
metri. Il mio amico Paolo, che ama e coltiva nella sua serra piante grasse di
piccola taglia, qui andrebbe fuori di testa. Cactus Cirius, Ocotillo, Cholla… sono quelli che mi ricordo.
Fiori di cactus, Baja California, Messico |
Nonostante l’aridità dell’ambiente esistono dei fiumi, non molto grandi, ma esistono. E in riva ai fiumi e nelle loro anse sorgono palmeti rigogliosi e verdissimi, che tuttavia cominciano a mostrare gli effetti della carenza d’acqua che il riscaldamento globale genera, accelerata nella aree del sud dagli alberghi di lusso sempre più numerosi che assorbono troppo acqua. E dalle parti di Cabo San Lucas e San Josè, purtroppo, l’acqua si spreca anche per mantenere improbabiliprati all’inglese e - udite! udite! - i sacri green dei campi da golf.
Anche la fauna è all’altezza della flora, soprattutto per
quel che riguarda gli uccelli. Come per le piante bisognerebbe possedere un po’
di conoscenze per poterli riconoscere, anche se la maggioranza sono abbastanza
noti: falchi, avvoltoti, quelli dalla testa rossa che asciugano al sole le ali
in cima ai cactus (immagine classica del paese) e poi i Roadrunner (sì, l’antipatico Beep Beep in lotta con Willy Coyote) e
abbiamo avvistato anche un coyote (chissà se era proprio Willy?). A Guerrero
Negro hanno alzato pali di legno con in cima una piattaforma per permettere ai
falchi pescatori (che qui chiamano àquila
pescadora) di fare il nido. Il risultato è che ci sono quasi più pali con
un nido di falco in cima che pali della luce. Poi c’è la rappresentanza al
completo degli uccelli marini: aironi, cormorani, pellicani (compreso quello
americano bianco, molto raro) e le fregate, che io avevo visto solo altre due
volte in tutta la vita. Nella Baja invece sono molto comuni. E poi tutti i
limicoli, le anatre e una infinità di passeri. Insomma per il birdwatching sembra
di essere in paradiso.
La balena grigia (ballena gris): come tutte le balene,
la balena grigia un tempo era un animale terrestre. Poi si è trasferita in
mare, ma pare l’abbia fatto per ultima tra tutte le cugine. Quindi qualche
traccia “terrestre” potrebbe essere ancora presente nelle sue abitudini. Questo
spiegherebbe l’abitudine di avvicinarsi tanto alle coste e all’uomo, come
nessun’altra balena fa. E’ un’ipotesi affascinante e a me piace pensare che sia
assolutamente vera. Era la convinzione che avevo mentre ne osservavo decine e
decine attorno alla barca nella laguna di Guerrero Negro. Altre notizie su
questo bellissimo animale potete trovarle qui:
http://it.wikipedia.org/wiki/Eschrichtius_robustus.
Ovviamente qui l’aspetto più affascinante e commovente del cosiddetto Whale Whatching sta nell’incontro ravvicinato del terzo tipo, nel contatto fisico con una balena di 15 metri di lunghezza. Naturalmente questa esperienza me l’avevano raccontata altri che l’avevano vissuta, ma ovviamente un conto è viverla, un altro è ascoltarla da altri.
Si avvicinavano, soprattutto i cuccioli (quattro metri!) fino a puntare il muso sul fianco della barca, si giravano di lato per poterci vedere, perché in posizione normale le balene non riescono a vedere in alto. Si immergevano, passavano sotto la barca facendoci traballare, si alzavano al di sopra della superficie del mare, come a volerci dire qualcosa. E l’impressione di guardare una balena negli occhi mi rimarrà nel cuore per sempre. Il numero della balene grigie alla laguna di Guerrero Negro nel periodo di punta è impressionante. Il 3 febbraio, giorno della nostra escursione, erano 2.022 (di cui 802 cuccioli!) in una laguna grande, ma non immensa. E questo significava guardarsi intorni per vedere decine di balene nello stesso momento. Il conteggio pare molto preciso, gli addetti danno un margine di errore del 2-3 % al massimo. Come le contano? Semplice: per entrare e uscire dalla laguna ci sono pochi e stretti passaggi (sorta di canali). Le balene entrano ed escono attraverso questi canali nuotando in superficie. Si vedono bene e si distinguono (maschi, femmine e cuccioli). Basta contarle. Tot entrate – tot uscite = tot presenti in laguna.
Ovviamente qui l’aspetto più affascinante e commovente del cosiddetto Whale Whatching sta nell’incontro ravvicinato del terzo tipo, nel contatto fisico con una balena di 15 metri di lunghezza. Naturalmente questa esperienza me l’avevano raccontata altri che l’avevano vissuta, ma ovviamente un conto è viverla, un altro è ascoltarla da altri.
Si avvicinavano, soprattutto i cuccioli (quattro metri!) fino a puntare il muso sul fianco della barca, si giravano di lato per poterci vedere, perché in posizione normale le balene non riescono a vedere in alto. Si immergevano, passavano sotto la barca facendoci traballare, si alzavano al di sopra della superficie del mare, come a volerci dire qualcosa. E l’impressione di guardare una balena negli occhi mi rimarrà nel cuore per sempre. Il numero della balene grigie alla laguna di Guerrero Negro nel periodo di punta è impressionante. Il 3 febbraio, giorno della nostra escursione, erano 2.022 (di cui 802 cuccioli!) in una laguna grande, ma non immensa. E questo significava guardarsi intorni per vedere decine di balene nello stesso momento. Il conteggio pare molto preciso, gli addetti danno un margine di errore del 2-3 % al massimo. Come le contano? Semplice: per entrare e uscire dalla laguna ci sono pochi e stretti passaggi (sorta di canali). Le balene entrano ed escono attraverso questi canali nuotando in superficie. Si vedono bene e si distinguono (maschi, femmine e cuccioli). Basta contarle. Tot entrate – tot uscite = tot presenti in laguna.
La laguna si chiama Oyo
de lievre (occhio di lepre), anche se alcuni la chiamano Scammon’s lagoon, dal nome del criminale
che nell’800 scoprì questo luogo dove le balene vanno a riprodursi e diede inizio a un massacro che le portò al limite dell’estinzione. Ora che l’avete
conosciuto, dimenticate questo nome infame.
Non ho dubbi, l’esperienza del contatto con le balene grigie va ripetuta alla laguna di San Ignacio, come abbiamo fatto noi. Le balene sono le stesse, anche se meno numerose (centinaia invece che migliaia), ma l’ambiente è più vario, ci sono molti uccelli sull’acqua e ci sono i delfini. Pensate che abbinata: balene e delfini insieme. Ho foto con gli uni e le altre nello stesso fotogramma.
Lo squalo balena (tiburòn ballena): lo squalo balena (tiburòn ballena) è un pesce, il più
grande pesce del mondo. E per grande si intende che raggiunge mediamente i
12-14 metri di lunghezza. E’ uno squalo, ma come dice il nome si comporta come
una balena. E infatti si nutre di plancton
e questo fa di lui un pesce lento e pacioccone, non pericoloso per nessuno.
Qualche notizia in più la trovate su: http://it.wikipedia.org/wiki/Rhincodon_typus.
Squalo balena nella baia di Loreto, Baja California, Messico |
E’ un animale bellissimo, punteggiato di pois
bianchi su fondo grigio-azzurro. Non sapevo che ne vivesse una colonia proprio di
fronte a La Paz, a un paio di km dalla spiaggia. Quindi non potevo esimermi: ho
fatto il bagno con loro! Ancora non ho ben assimilato questa esperienza unica,
so solo che ho nuotato con gli squali balena per un paio di ore. Nuotano sempre
in superficie e quindi li avevo a un metro dalla mia mano, avrei potuto toccarli
(vietatissimo!). Impressionante fare snorkeling
sopra uno squalo balena (se ne percepisce con un po’ di batticuore la
dimensione spropositata rispetto all’uomo, soprattutto in un ambiante a noi
ostile come l’acqua) o davanti alla sua bocca che si apre e si chiude (un uomo
ci può entrare tranquillamente tutto intero). Un’emozione da brividi per chi,
come me, ha più volte attraversato il mondo per incontrare in natura gli
animali più affascinanti: tigri e leoni, ghepardi e leopardi, grizzly e balene,
orche e pinguini, solo per citare i più appariscenti. Purtroppo, non avendo una
macchina subacquea, non ho potuto documentare l’evento, ma non importa,
fidatevi delle mie parole.
Guerrero Negro: Guerrero
Negro merita una menzione particolare, anche se i viaggiatori che vi arrivano
di solito si fermato solo mezza giornata per incontrare le balene e se ne vanno.
La cittadina, come detto, invece, merita di più, perché giace al centro di un’immensa
salina, la più grande del mondo, che produce il 7% del sale industriale del
pianeta. Servono permessi e gli orari sono ballerini, ma merita assolutamente
una visita durante la quale si possono percorrere chilometri di piste di sale
che si snodano in mezzo a bacini enormi dove l’evaporazione prepara il sale che
verrà raccolto a tempo debito. Enormi macchinari (ruspe, scavatrici e carri
smisurati, costruiti apposta per la miniera), alti come palazzi di 3 piani,
manovrano e si riflettono in specchi d’acqua, insieme con il sole e il cielo, fino all’orizzonte. Uno spettacolo aspro, ma affascinante. Montagne di sale
alte centinaia di metri aspettano di essere imbarcate su piattaforme giganti
per partire verso la destinazione finale. La miniera è stata comprata nel 1973 dal
Governo Messicano e dalla Mitsubishi. La compagnia si è distinta non solo per
lo sviluppo che ha dato a più di mille dipendenti e alla comunità, ma anche per
l’attenzione dedicata allo sviluppo ecologico della regione. I lavori si
collocano in un’area di straordinaria bellezza, un patrimonio fondamentale
della biosfera, un ambiente dove non solo migrano le balene ogni anno, ma anche
migliaia di uccelli. Questi si possono osservare comodamente percorrendo l’antico
molo, un terrapieno che si inoltra nelle le lagune che circondano la città
per undici km. Ma c’è ancora una meraviglia che consiglia di fermarsi un po’
più a lungo a Guerrero Negro. Poco a nord della città, tra le lagune e il mare,
il vento ha creato infatti nel tempo un mare di dune bianche alte 20 o 30 metri
che formano un piccolo, ma affascinante Sahara.
Missioni: un aspetto affascinante della Baja è costituito dalle missioni (circa una trentina) che hanno alle loro spalle una storia ambigua: costruite dai Gesuiti e dai Domenicani per portare la salvezza spirituale ai nativi, seminarono invece la morte introducendo le malattie europee che fecero strage di loro e molte furono abbandonate quando la popolazione scese al di sotto del numero necessario per mantenere le fattorie costruite attorno ad esse. Un’altra pagina vergognosa degli Europei nel mondo. Molte sono oggi solo un ricordo o un mucchio di rovine, ma alcune sono state restaurate e mantenute ancora in uso. E questi bellissimi edifici, a volte persi in mezzo al nulla, costituiscono affascinanti mete per belle escursioni, oltre che una parte integrante del complesso passato della Baja California.
Non vanno quindi trascurati e, in genere, non è
necessario disporre di un fuoristrada (tranne pochi casi) anche se a volte le
strade potrebbero rivelarsi in pessime condizioni o addirittura impraticabili.
Ricordo le più belle e imperdibili:
· Misión “Nuestra Señora” di Loreto (1728): la prima
missione costruita dai Gesuiti in Baja California, un monumento imponente
utilizzato ancora oggi.
· Misión “San Borja” (1759): si trova in posizione
isolata, a 35 km a est di Rosarito. Sono 35 km di fuoristrada duro (anche con le ridotte) che richiedono circa un paio di ore solo in andata. Tuttavia questa
missione merita senz’altro una visita per gli scenari spettacolari che offre
la valle che si deve risalire per raggiungerla, dove si possono trovare tutte
le specie di cactus del mondo. Una famiglia discendente dagli abitanti che
vivevano in questa zona prima della conquista spagnola la mantiene aperta alle
visite.
· Misiòn di “San Ignacio Kadakaamán” (1786):
spettacolare la sua facciata del XVIII secolo, sulla piazza centrale di San Ignacio.
· Misión “San Francisco Javier” di Viggé-Biaundó (1699):
visitando questa missione (40 km a ovest di Loreto) remota e splendidamente
conservata farete un viaggio a ritroso nel tempo. Lungo la strada si possono
ammirare panorami magnifici. Lussureggianti campi la circondano e antichi
ulivi, di cui il decano vanta 300 anni di età, di dimensioni impressionanti. La
strada è asfaltata.
· Misión “Santa Rosalía” di Mulegé (1705): missione
affascinante anche per la sua posizione su una collina da cui si gode un bel
panorama sul palmeto e il fiume che attraversa la cittadina. Commovente
l’antico cimitero misionero che le
sorge accanto.
Il carnevale di La
Paz: non era nulla di eccezionale, ma riportava alla mente i vecchi Luna
Park di antica memoria, con giochi inverosimili accanto a quelli più moderni.
C’era di tutto: strozzapalloni, zucchero filato, pesca, giochi forza, giostre, giochi del tappo e
qualsiasi passatempo attinente vi possa venire in mente. Ma soprattutto mi colpivano
gli occhi sgranati dei più piccoli e la loro gioiosa sorpresa di fronte a tante meraviglie. Un’innocenza genuina
che penso fosse anche mia alla loro età. E poi si vendeva ogni sorta di cibo,
dolce e salato. Insomma un tuffo nel passato.
La lotteria
messicana: al carnevale di La Paz ho potuto anche assistere per la prima
volta alla loteria mexicana, un sorta di tombola. Il gioco,
molto diffuso in Messico, è considerato un gioco d’azzardo che consta di 54
carte (figure, non numeri!) e un numero indefinito di cartelle chiamate
“tavole” che riportano 16 di dette carte mescolate in modo aleatorio. Quando
si estrae una carta dal mazzo la si annuncia e i giocatori la debbono
“marcare”, se ce l’hanno. Si usa di tutto come marcatori, molto frequenti i
tappi delle bottiglie. Vince chi per primo forma sulla sua tavola l’allineamento
che si è stabilito all’inizio del gioco (questa la differenza con la nostra
tombola) e grida “Loterìa”. Anche in Baja non è un gioco per giovani. I
giocatori avevano più di 50 anni ed erano quasi tutte donne. Impressionante la
velocità con cui il banditore chiamava le carte (una al secondo) e che tutti
riuscivano a seguire senza errori, anche chi aveva davanti agli occhi 4 o 5
tavole: “el diablo”, “la luna”, “el pajaro”, “el mar”, “el sol”, “el valiente”
(il coraggioso),ecc. ecc.
Gustave Eiffel a
Santa Rosalìa: nel 1868 vennero scoperti nella regione di Santa Rosalía dei
giacimenti di rame. Nel 1885 si insediò la compagnia francese El Boleo S.A.
grazie ad una concessione del governo messicano. Da quel momento iniziò la storia
della città di Santa Rosalía. Nel 1954 la compagnia cessò le operazioni di
estrazione del minerale ritenuto esaurito; tre anni più tardi il governo
messicano iniziò nuovamente l'estrazione del rame sino all'anno 1972, quando i
giacimenti furono realmente esauriti. Da allora tutto è rimasto com’era nella
grande fabbrica costruita per la prima lavorazione del minerale e le sue
dimensioni danno un’idea di cosa voglia dire città-fabbrica o fabbrica-città,
più di Torino negli anni 50 e 60. Aggirandomi tra i macchinari, i tralicci,
i ponti, le impalcature (tutto di ferro) che la ruggine sta lentamente
mangiandosi, avevo la sensazione di vivere in un romanzo di Dickens, tanto
bestiale mi immaginavo fosse l’esistenza dei lavoratori in quella polvere e in
quel rumore.
Ma che c’entra Eiffel con tutto questo? Occorre andare in centro per capirlo, nella
chiesa di Santa Barbara, abbastanza anonima e all’apparenza normale. Ma se si
guarda bene si scopre che le sue pareti sono di ferro. Tutta la chiesa è di ferro,
compreso il campanile. La compagnia El Boleo era francese e quindi la
città-fabbrica di Santa Rosalía seguì tutti gli influssi architettonici
franco-coloniali dell'epoca. E la chiesa di Santa Barbara fu disegnata da
Gustave Eiffel che la mostrò all'esposizione internazionale di Parigi. Dopo
l’esposizione la chiesa fu smontata, spedita a pezzi e rimontata a Santa
Rosalìa.
Hotel California:
ricordate il famosissimo brano degli Eagles che ci ha fatto sognare? C’è un
nesso con l’omonimo, famosissimo hotel di Todos Santos, icona imprescindibile di
una cittadina nata all’inizio del '700 con l’arrivo dei Gesuiti, poi abbandonata
prima della fine dello stesso secolo, logorata dalla resistenza dei nativi e
dalle epidemie. Poi risorta nel ’800 con alterne fortune legate alla
coltivazione della canna da zucchero.
Nella seconda metà dell’800 fu costruito il primo albergo nello stesso luogo di quello attuale, L’albergo fu comprato nel 1950 da una famiglia di origine cinese. Apparizioni di fantasmi e oscure vicende familiari accompagnarono la storia dell’albergo in quel periodo. Dopo la II guerra mondiale, a seguito del crollo del prezzo della zucchero, l’albergo passò per diverse mani fino a quando, alla fine degli anni ’90, fu chiuso e messo in vendita un’ultima volta. Già si chiamava Hotel California.
Nel 2001 un canadese, John Stewart, visitò Todos Santos e anche l’albergo. Fu un colpo di fulmine! Lo comprò, vi si trasferì e restaurò l’edificio, la reception, le 11 camere di cui disponeva e l’emporio annesso. Aprì anche un ristorante. Il nuovo proprietario volle che riflettesse la cultura e la storia del luogo più che diventare un albergo americanizzato. Così andò in giro per il Messico a cercare arte decorativa autentica con la quale adornò la sua creatura. Riaprì l’hotel nel 2012.
Nella seconda metà dell’800 fu costruito il primo albergo nello stesso luogo di quello attuale, L’albergo fu comprato nel 1950 da una famiglia di origine cinese. Apparizioni di fantasmi e oscure vicende familiari accompagnarono la storia dell’albergo in quel periodo. Dopo la II guerra mondiale, a seguito del crollo del prezzo della zucchero, l’albergo passò per diverse mani fino a quando, alla fine degli anni ’90, fu chiuso e messo in vendita un’ultima volta. Già si chiamava Hotel California.
Nel 2001 un canadese, John Stewart, visitò Todos Santos e anche l’albergo. Fu un colpo di fulmine! Lo comprò, vi si trasferì e restaurò l’edificio, la reception, le 11 camere di cui disponeva e l’emporio annesso. Aprì anche un ristorante. Il nuovo proprietario volle che riflettesse la cultura e la storia del luogo più che diventare un albergo americanizzato. Così andò in giro per il Messico a cercare arte decorativa autentica con la quale adornò la sua creatura. Riaprì l’hotel nel 2012.
L'Hotel California a Todos Santos, Baja California, Messico |
Todos Santos dagli anni 70 è diventata meta di diversi
artisti messicani e stranieri che trovano nella sua pace, nella sua storia e
nel suo clima l’ambiente per loro ideale. E gli Eagles? E il loro brano omonimo? Il testo
della canzone descrive l'Hotel California come una struttura di gran lusso dove you can check out any time you like
but you can never leave ("puoi
lasciare libera la stanza quando vuoi ma non puoi andartene mai").
Apparentemente la canzone narra la storia di un viaggiatore stanco che rimane
intrappolato in un albergo terrificante, che all'inizio sembra invitante e
accogliente, ma poi si rileva una trappola da cui non si può scappare. Fa
riferimenti anche a temi esoterici e satanici che in parte riportano
alle vecchie storie capitate nell’hotel. E’ per questo che si pensa che gli
Eagles possano avere tratto ispirazione dall’Hotel California di Todos Santos, il quale per questo è diventato una meta imperdibile per tanti ex figli dei fiori - californiani e non solo - sognatori e hippies fuori tempo massimo. A me piace
pensare che questo sia vero e per questo non ho mancato di fermarmi all’hotel
California, nel cuore le note e le parole del brano degli Eagles. Con me nel
ristorante, circondato da bellissime opere d’arte, c’erano molti turisti, ma
anche qualche “reduce” con i capelli lunghi (e radi) e l’Harley Davidson
parcheggiata davanti all’ingresso.
E il mito dell’Hotel California continua. E non può che
mantenersi vivo se ogni anno vi si organizza “Il festival della musica”,
sponsorizzato proprio dall’Hotel California. E sapete chi l’organizza? Peter
Buck, chitarrista dei REM, che dopo lo scioglimento del gruppo ha deciso di non
voler smettere di suonare.
Ammetto che anch’io forse andavo cercando fantasmi, suoni e storie affascinanti da ascoltare con mente e cuore disponibili. Altri forse all’hotel California cercano solo un posto dove fermarsi. Ma anche in questo caso quello che incontreranno non lo dimenticheranno mai più, come è capitato a me. Un hotel che è già una leggenda, in un Messico che non conoscevo.
Ammetto che anch’io forse andavo cercando fantasmi, suoni e storie affascinanti da ascoltare con mente e cuore disponibili. Altri forse all’hotel California cercano solo un posto dove fermarsi. Ma anche in questo caso quello che incontreranno non lo dimenticheranno mai più, come è capitato a me. Un hotel che è già una leggenda, in un Messico che non conoscevo.
Ah… dimenticavo. Cambia qualcosa se scopriamo che gli
Eagles a Todos Santos non ci sono mai stati? Non c’è uno straccio di prova che
confermi la loro presenza qui (ricordi, testimonianze, registri dell’albergo…) e
che il loro brano abbia mai fatto riferimenti al magico hotel California. Tutto
è solo mito, dunque, che poi è quello che conta.
Il comma 22 bancario:
dal 2002 finalmente non vado più in viaggio con i dollari, ma solo con gli euro. Ne avevamo ancora qualche centinaio in casa e questa volta, approfittando
dell’alto valore del momento, abbiamo deciso di portarli con noi per eventuali
necessità. Dovendo cambiare, poiché io comunque preferisco cambiare Euro, sono
andato in una banca di Guerrero Negro per cambiare, appunto, Euro. Mi hanno detto:
“Desculpe, Señor, nuestra banca cambia solo Dolares.” Con un “vaffa” nel cuore
ho tirato fuori i dollari e ho cambiato quelli. Dopo alcuni giorni siamo arrivati
a Loreto con la necessità di cambiare di nuovo. Sono andato in banca e, per non rivivere
la stessa, irritante scena, ho proposto subito i dollari. Ma un impiegato mi ha detto: “Desculpe,
Señor, nuestra banca cambia solo Euros.” Fate voi.
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