Itinerario:
in Canada
Nord-Ovest: Vancouver, Whitehorse, luoghi della corsa all’oro, Dawson
City, Top of the World Highway, Vancouver Island, Banff N.P., Rocky Mountains e
Icefields Parkway, Jasper N.P.
in Alaska: Top
of the World Highway, Alaska Highway
Periodo: Luglio-Agosto
2008
Durata: 1 mese
Ne parlo nel libro: Il gatto buddhista
Ne parlo nel libro: Il gatto buddhista
Un
tuffo nella spettacolare natura del grande nord, paragonabile, pur con le ovvie
differenze, a quella della mia amata Africa. In questa parte del Canada
(Alberta, British Columbia e Yukon), soprattutto nei territori dello grande
fiume Yukon, si può ammirare, immaginare la natura che fino a qualche secolo fa
potevamo trovare anche in Europa: impatto umano molto ridotto, immense foreste
quasi incontaminate, una fauna spettacolare. Ho visto orsi, una lince (se è
poco!), orche marine, balene, volpi, coyotes, pecore delle Montagne Rocciose
(bighorn), wapiti (sottospecie del cervo nobile), aquile, procioni, scoiattoli
a non finire.
Lo
sconfinamento in Alaska (dove ero già stato) servì per chiudere un circuito
senza ritornare da Dawson City sulla stessa strada dell’andata e poi (lo
confesso) per percorrere una famosa strada “estrema”: la Top of the World
Highway (vedi più avanti)
Macchinario in uso nelle miniere d'oro, museo di Keno (Canada) |
Il mio Yukon Explorer's Passport |
Orche. Ci sono giornate
che non si dimenticano, per un amante della natura come me sono quelle dei
grandi incontri con animali che alimentano la nostra fantasia e in condizioni
di privilegio. In questo caso il 6 agosto 2008 ebbi l’incontro ravvicinato con
le orche che stazionano nelle acque tra il continente e Vancouver Island. Se ne
contano circa una novantina ed è facile incontrarle, ma non sicuro. Conosco infatti
persone che hanno navigato per ore in questo canale senza vederle. Ma a noi
andò bene, anche per merito della pilota della nostra barca (Jo Anne) che
conoscendo i loro comportamenti alla perfezione era in grado di seguirle
(questo è facile) e di anticiparne le apparizioni in superficie (e questo è
difficile) tanto che riuscivamo sempre a giungere al punto giusto con qualche
minuto di anticipo sulle altre barche che cercavano le orche come noi.
Nuotavano a piccoli gruppi (di solito famiglie: un maschio, una femmina e un
piccolo) e si comportavano come tutte le orche tuffandosi e riemergendo, balzando
dall’acqua con grandi sbuffi. Il tutto a una decina di metri dalla nostra barca.
Orche di fronte alla Vancouver Island (Canada) |
Uno spettacolo emozionante che si protrasse per un paio d’ore. Ricordo anche
con infinito affetto la presenza a bordo di Sidney, un buonissimo terranova che
mi tenni vicino durante la navigazione di andata e di ritorno dalla zona degli
incontri con le orche e che mi aiutò a controllare l’ansia per il mio grande
nemico: il mal di mare.
Orsi neri canadesi.
Anche gli orsi non erano difficili da incontrare, facendosi dare una mano,
comunque, da un po’ di fortuna. Non era necessario andare per parchi, anzi. Era
più facile incontrali lungo le strade nei dintorni dei paesi, perché dove c’è
l’uomo c’è cibo di facile accesso. In agosto i boschi si riempiono di bacche e di
frutti di bosco di ogni tipo di cui gli orsi sono ghiotti e di cui hanno
bisogno per mettere su grasso per il letargo. Facile quindi incontrarli mentre
banchettano, soprattutto femmine con i cuccioli. Diciamo relativamente facile:
ne incontrammo in tutto, a qualche metro di distanza da noi, una decina (compresi
quattro piccoli). Lo considero tuttora una conto molto fortunato, stiamo
parlando di orsi, orsi neri canadesi per la precisione, non di gatti.
Orso nero del Canada sulle Rocky Moutains (Canada) |
Non sono gli
enormi grizzly dell’Alaska, tuttavia
anche questi sono di dimensioni ragguardevoli e un incontro con uno di loro, a
piedi, è altamente sconsigliabile. Per questo trovammo i sentieri più isolati,
e forse più belli, sulle Rocky Mountains interdetti a causa della loro
presenza.
Dawson City e i pionieri. La vecchia
capitale delle Yukon fu fondata alla fine dell’Ottocento partendo da un
iniziale insediamento di cercatori d’oro, scoperto alcuni anni prima nelle
valli circostanti. In pochi anni l’arrivo di un fiume di cercatori fece
crescere la popolazione della città fino a trentamila anime, ma quando già alla
fine del secolo l’oro era quasi scomparso dai torrenti della regione, i nuovi
arrivati dovettero convertirsi ad altri mestieri e diventarono artigiani,
commercianti, trasportatori. Poi anche queste attività diminuirono di
importanza insieme con la ricerca dell’oro e Dawson City già all’inizio del
Novecento aveva meno di cinquemila abitanti. Che erano diventati un migliaio
negli anni sessanta, quando un lieve risveglio dell’estrazione del prezioso
metallo, il timido inizio di un turismo ancora incerto e soprattutto la
costruzione delle strade che la collegarono a est con l’Alaska e a sud con
Whitehorse, la nuova capitale dello stato, la risollevarono un po’.
Dawson City mi
appariva come la cittadina di frontiera che era sempre stata, il luogo di un
far west un po’ più verde e piovoso di quello dell’ovest degli Stati Uniti e
mantenuto da una legge che obbliga a ristrutturare e a costruire secondo i
canoni architettonici originali della frontiera americana. Le facciate degli
edifici, tutte in legno e rivolte alla strada, come di consueto una street o un’avenue, erano ormai quasi tutte ristrutturate, dipinte con colori
vivaci e sfolgoranti sotto il sole. Perfettamente rinnovato, il vecchio
battello che per decenni aveva trasportato persone e cose tra lì e Whitehorse,
faceva mostra di sé in riva al fiume e, nonostante fosse tratto in secco da
anni, sembrava pronto a salpare ancora una volta verso sud.
Dawson City (Canada) |
Nel momento della
sua massima espansione a Dawson City e nella valle dello Yukon non esisteva
alcuna legge, né erano ancora giunti sul posto i suoi rappresentati. Così i
primi arrivati, i Pionieri, pensarono di creare delle confraternite che
servissero agli affiliati per proteggersi e aiutarsi l’un l’altro. La più
importante, nata ancor prima della fondazione della città, fu quella
dell’Ordine dei Pionieri dello Yukon, il cui motto diceva, e dice ancora, più o
meno “comportati con gli altri come vorresti che gli altri si comportassero con
te”.
Di conseguenza da allora i turisti
hanno veramente più di trenta motivi per fermarsi a Chemainus (oggi 3.000
anime), perché passeggiare per le sue strade equivale a percorrere i corridoi
di una mostra. In seguito la segheria ha riaperto, eliminando il motivo che
aveva lanciato l’abitudine di dipingere murales,
ma ormai i murales non hanno più
bisogno di motivi per esistere. Bastano a se stessi.
Ormai Dawson City conta pochi abitanti ma
molti cimiteri: c’è quello cattolico, quello dei massoni, quello ebraico,
quelli delle confraternite, come l’Ordine Fraterno delle Aquile. E tutti giacciono su una collina sopra la
città, uno di fianco all’altro. Poi c’è quello dei Pionieri dello Yukon, anzi
quelli dei Pionieri dello Yukon, perché sono due. Qui riposano i morti di oggi
accanto ai morti di ieri, i pionieri che arrivarono con la speranza di fare
fortuna.
Quando andammo a
visitare i cimiteri, trovammo le tombe segnate da croci bianche che risaltavano
sul verde dei prati, ma da molte, quelle più vecchie, il bianco se n’era andato
da lungo tempo così come i nomi dei morti e con essi la loro memoria. Quando
all’inizio del Novecento la maggior parte degli abitanti lasciò la città,
rimasero in pochi ad accudire alle tombe e con il passare degli anni le croci
rimasero a indicare le sepolture di gente ormai perduta nel tempo. Oggi una
delle missioni dell’Ordine dei Pionieri è proprio quella di ricercare la memoria
e di riportare un nome sulle croci.
La Spoon River del grande nord. All’inizio degli
anni quaranta apparve in Italia l’Antologia di Spoon River (Edgar L. Masters),
una raccolta di poesie che danno voce ai pensieri, agli sfoghi, alle
confessioni ed alla rabbia degli abitanti di un piccolo villaggio
dell’Illinois, che possono finalmente raccontare con sincerità a sé stessi e
agli altri le loro storie e quelle di quanti conobbero. Finalmente, perché ora
sono morti e per questo ormai liberi dalle convenzioni, i falsi pudori e le
ipocrisie che imprigionano i vivi. In questa platea di trapassati ognuno dalla
tomba ha verità da raccontare, confessioni da fare e recriminazioni da esporre.
La magia dell’opera di Masters nasce dalla descrizione delle complesse relazioni,
soprattutto parentali, esistenti tra i diversi personaggi, ma ancor più dal
linguaggio poco consono ai defunti che l’autore mette loro in bocca. Sembra che
i morti di Spoon River non si siano ancora incamminati nel lungo viaggio fuori
dal tempo, destino di tutti i morti, ma siano ancora presenti in paese. Non
appaiono ancora nel ruolo di protettori che noi a volte affidiamo a quelli che
ci precedono nell’aldilà. Parlano e ragionano come i parenti e gli amici che
vivono ancora ai piedi della collina dove loro sono sepolti. La morte li ha
costretti ad essere sinceri, è vero, ma si mantengono come furono in vita:
generosi, irascibili, teneri, permalosi, vendicativi, ognuno con il carattere
di un tempo.
Il cimitero dei pionieri a Dawson City (Canada) |
I cimiteri di
Dawson mi ricordavano quello di Spoon River dove riposano i personaggi
dell’Antologia e se quelli li avevo conosciuti leggendo le poesie di Masters,
alcuni di questi potevo conoscerli da un piccolo libro che tenevo in mano,
pubblicato dal Dawson City Museum. Solo alcuni purtroppo, perché, nonostante il
lavoro di ricerca svolto dall’Ordine dei Pionieri, la maggior parte delle tombe
era ancora anonima. Ma i pochi di cui avevo notizie mi riportavano a quelli più
famosi di Spoon River. Tra gli uni e gli altri trovavo una simmetria
sorprendente, tratti comuni nelle loro vite e nelle loro morti, come se in
fondo le vite e le morti delle persone si assomigliassero tutte.
Carlo
Evangelista.
Incontrare nel cimitero cattolico di Dawson City la tomba di questo italiano,
arrivato dall’Italia e morto là il 10 maggio del 1952 all’età di 81 anni, mi colpì molto. Sul mio libretto non era menzionato, forse perché non fu uno dei pionieri o forse perché gli autori del libretto avevano deciso che la sua
vita non fosse degna di memoria. Quindi io non avevo e non ho notizie su di lui,
anche se conoscere la sua storia mi interesserebbe molto. Potei solo augurargli
a tanti anni dalla sua morte: “Riposa in pace”.
I murali di
Chemainus.
Quando la segheria che dà lavoro a tutto un paese chiude (successe a Chemainus
sulla Vancouver Island nel 1983) che si può fare? Si può commissionare un
grande dipinto murale che illustri la storia del paese, ad esempio. Che
c’entra? si potrebbe dire. Forse ribadire la propria storia aiuta a non
deprimersi, a mantenere la speranza, magari induce qualche turista a fermarsi
aiutando così l’economia. Sta di fatto che l’idea piacque e al nostro arrivo i murales, molto belli, perfettamente
mantenuti e curati erano più di trenta. Di dimensioni gigantesche coprivano i
muri della case e degli edifici pubblici.
Un grane murale a Chemainus (Canada). A parte le due donne sulla sinistra tutto è dipinto sul muro della casa |
Icefields Parkway. Una strada
spettacolare, ai confini tra l’Alberta e la British Columbia, tra le più belle
al mondo tra quelle che ho percorso. Attraversa da nord a sud le Rocky
Mountains canadesi che sono un po’ meno alte di quelle dell’America dell’ovest,
ma in compenso sono costellate da ghiacciai permanenti, propaggine orientale
dell’immenso Columbia Icefield. Purtroppo già allora si stavano
ritirando per effetto del riscaldamento del pianeta. Si potrebbero forse accostare,
più in grande, alle Dolomiti. Abbastanza ridotto l’impatto del turismo di
massa. Duecentocinquanta km che vanno da Banff a Jasper ad un’altezza
media di 2.000 metri, accompagnati da una fantastica stratificazione di colori.
In basso, in fondo alle valli, abbiamo il turchese delle acque dei laghi (Peyto
e Louise i più belli) e dei fiumi (l’Athabasca il più grande),
sopra il verde cupo delle foreste di aceri e abeti, sopra ancora il misto
grigio, giallo e rosso delle rocce, quindi il bianco dei ghiacciai e sopra questa
tavolozza il blu del cielo (se è sereno, noi beccammo bene).
Il lago Peyto sulla Icefields Highway (Canada) |
Non manca
un’incredibile numero di cascate tra grandi e piccole (Athabasca e Sunwapta
le più imponenti). Relativamente facile anche incontrare animali di grossa
taglia: noi vedemmo qualche orso, wapiti, cervi, bighorn. Ci sfuggirono le alci,
peccato. Ovviamente tutt’intorno (siamo in diversi parchi nazionali) si snoda
un groviglio di sentieri che, in diversi casi, trovammo interdetti per la
massiccia presenza di orsi. Bellissimo un piccolo canyon laterale: il Maligne
Canyon che termina nell’immancabile lago turchese, il Maligne Lake
Top of the World
Highway. Già
il nome è tutto un programma: dovrebbe essere la strada più a nord del mondo
che da Dawson City conduce in Alaska. Quindi perché non percorrere un mito? Il
bello stava proprio in questo, nel mito, perché di fatto si tratta di una
strada normale che scorre sulle colline brulle del nord dello Yukon, sterrata,
isolata e anche pericolosa se piove. Le antiche foreste che la costeggiavano furono
distrutte in gran parte durante la corsa all’oro. Tuttavia in Alaka la natura
era ancora rigogliose e, passato il confine con gli USA, ci venne incontro un
bellissimo branco di caribù. Sotto la pioggia battente, la Top of the World
Highway si mostrò veramente “estrema”, avremo incontrato in tutto il giorno
5 o 6 macchine. Un’esperienza fantastica.
Lungo la Top of the World Highway (Canada) |
Una curiosità: dalla parti di Eagle
(un paesucolo che sta sulla strada dalla parte americana) fu girato Un tranquillo weekend di paura (ricordate
lo splendido film del 1972 diretto da John Boorman, con Jon Voight e Burt
Reynolds?). Per dire della bellezza della natura da quelle parti.
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