venerdì 6 gennaio 2017

Viaggio in CANADA, ALASKA

Lungo la Icefields Highway (Canada)
Paesi attraversati: Canada, USA (Alaska)
Itinerario: 
in Canada Nord-Ovest: Vancouver, Whitehorse, luoghi della corsa all’oro, Dawson City, Top of the World Highway, Vancouver Island, Banff N.P., Rocky Mountains e Icefields Parkway, Jasper N.P.
in Alaska: Top of the World Highway, Alaska Highway
Periodo: Luglio-Agosto 2008
Durata: 1 mese
Ne parlo nel libro: 
Il gatto buddhista

Un tuffo nella spettacolare natura del grande nord, paragonabile, pur con le ovvie differenze, a quella della mia amata Africa. In questa parte del Canada (Alberta, British Columbia e Yukon), soprattutto nei territori dello grande fiume Yukon, si può ammirare, immaginare la natura che fino a qualche secolo fa potevamo trovare anche in Europa: impatto umano molto ridotto, immense foreste quasi incontaminate, una fauna spettacolare. Ho visto orsi, una lince (se è poco!), orche marine, balene, volpi, coyotes, pecore delle Montagne Rocciose (bighorn), wapiti (sottospecie del cervo nobile), aquile, procioni, scoiattoli a non finire.

Uno sballo percorrere in camper migliaia di km in un simile ambiente. Sono passati pochi anni da questo viaggio, i canadesi sono più intelligenti e più attenti alla natura di noi italiani e quindi credo che non sia cambiato nulla di tutto questo.
Lo sconfinamento in Alaska (dove ero già stato) servì per chiudere un circuito senza ritornare da Dawson City sulla stessa strada dell’andata e poi (lo confesso) per percorrere una famosa strada “estrema”: la Top of the World Highway (vedi più avanti)

Macchinario in uso nelle miniere d'oro,
museo di Keno (Canada)
La corsa all’oro. Si chiama Yukon la regione più a nord-ovest del paese, ai confini con l’Alaska. Yukon è anche il nome del fiume più grande che attraversa i territori che furono teatro della febbre che sconvolse la nazione alla fine dell’ottocento: la corsa all’oro. Ricordate la Febbre dell’oro di C. Chaplin? Ricordate i trascorsi giovanili di zio Paperone e dove cominciò ad accumulare la sua smisurata ricchezza? Proprio qui. Passeggiare nei paesi teatro di quel delirio collettivo (Carmaks, Mayo, Elsa, Keno) era come muoversi sui set dei film di Sergio Leone, con meno polvere sollevata dal vento e senza correre il rischio di beccarsi una pallottola. Set comunque ormai semideserti e raggiungibili solo su vecchie strade sterrate, abitati da poche persone in mezzo a edifici e distributori abbandonati alle erbacce. Finito l’oro, da questo abbandono si sono salvate solo (in parte) Dawson City e Whitehorse, l’antica e nuova capitale della regione, perché più grandi e in grado di garantire più servizi agli abitanti. Gli ultimi residenti dei paesi che ho nominato rimangono aggrappati ai ricordi e alla illusioni dei padri e ai piccoli musei a tema che sono riusciti a installare con strumenti e macchinari utilizzati un tempo per l’estrazione del prezioso metallo.

Il mio Yukon Explorer's Passport
 Intorno a loro, a perdita d’occhio, miglia e miglia di colline spoglie delle foreste originali, abbattute per recuperare il legname necessario al riscaldamento, agli scavi nelle miniere dell’oro e alla costruzione della gallerie. Una devastazione cha la natura sta faticando ancora oggi a riparare. Alla periferia di Dawson City il fiume il mitico fiume Klondike sfocia nello Yukon, sono i fiumi dell’oro, che videro arrivare, alla fine dell’Ottocento, anche Jack London, in quegli anni pure lui cercatore d’oro in attesa di diventare lo scrittore che oggi conosciamo. La sua capanna esiste ancora in città e il paesaggio che si apre intorno è ancora quello del Richiamo della foresta e di Zanna Bianca. Sono andato alla ricerca delle tracce, ancora molto evidenti, di questo mondo ormai perduto, che lo stato cerca di valorizzare a scopi turistici. Mi procurai (e allego) il ‘Passaporto d’oro dell’Esploratore’, sul quale sono riportati i timbri (come su un vero passaporto) che mi applicarono nei luoghi storici sparsi nello Yukon (musei, case storiche, miniere, stazioni ferroviarie…) che ho visitato. Quando consegnai il passaporto quasi completo di timbri (ne avevo 11 su 15) all’ufficio turistico di Whitehorse, rimasero sorpresi nel costatare quanti siti storici un italiano avesse visitato nel loro paese e mi fecero i complimenti. La presentazione del passaporto mi diede diritto a partecipare al sorteggio di una pepita d’oro. Ma non vinsi, se mai il sorteggio ci fu. Peccato, mi sarebbe piaciuto possedere una pepita d’oro.

Orche. Ci sono giornate che non si dimenticano, per un amante della natura come me sono quelle dei grandi incontri con animali che alimentano la nostra fantasia e in condizioni di privilegio. In questo caso il 6 agosto 2008 ebbi l’incontro ravvicinato con le orche che stazionano nelle acque tra il continente e Vancouver Island. Se ne contano circa una novantina ed è facile incontrarle, ma non sicuro. Conosco infatti persone che hanno navigato per ore in questo canale senza vederle. Ma a noi andò bene, anche per merito della pilota della nostra barca (Jo Anne) che conoscendo i loro comportamenti alla perfezione era in grado di seguirle (questo è facile) e di anticiparne le apparizioni in superficie (e questo è difficile) tanto che riuscivamo sempre a giungere al punto giusto con qualche minuto di anticipo sulle altre barche che cercavano le orche come noi. Nuotavano a piccoli gruppi (di solito famiglie: un maschio, una femmina e un piccolo) e si comportavano come tutte le orche tuffandosi e riemergendo, balzando dall’acqua con grandi sbuffi. Il tutto a una decina di metri dalla nostra barca. 

Orche di fronte alla Vancouver Island (Canada)

Uno spettacolo emozionante che si protrasse per un paio d’ore. Ricordo anche con infinito affetto la presenza a bordo di Sidney, un buonissimo terranova che mi tenni vicino durante la navigazione di andata e di ritorno dalla zona degli incontri con le orche e che mi aiutò a controllare l’ansia per il mio grande nemico: il mal di mare.

Orsi neri canadesi. Anche gli orsi non erano difficili da incontrare, facendosi dare una mano, comunque, da un po’ di fortuna. Non era necessario andare per parchi, anzi. Era più facile incontrali lungo le strade nei dintorni dei paesi, perché dove c’è l’uomo c’è cibo di facile accesso. In agosto i boschi si riempiono di bacche e di frutti di bosco di ogni tipo di cui gli orsi sono ghiotti e di cui hanno bisogno per mettere su grasso per il letargo. Facile quindi incontrarli mentre banchettano, soprattutto femmine con i cuccioli. Diciamo relativamente facile: ne incontrammo in tutto, a qualche metro di distanza da noi, una decina (compresi quattro piccoli). Lo considero tuttora una conto molto fortunato, stiamo parlando di orsi, orsi neri canadesi per la precisione, non di gatti. 

Orso nero del Canada sulle Rocky Moutains (Canada)

Non sono gli enormi grizzly dell’Alaska, tuttavia anche questi sono di dimensioni ragguardevoli e un incontro con uno di loro, a piedi, è altamente sconsigliabile. Per questo trovammo i sentieri più isolati, e forse più belli, sulle Rocky Mountains interdetti a causa della loro presenza.

Dawson City e i pionieri. La vecchia capitale delle Yukon fu fondata alla fine dell’Ottocento partendo da un iniziale insediamento di cercatori d’oro, scoperto alcuni anni prima nelle valli circostanti. In pochi anni l’arrivo di un fiume di cercatori fece crescere la popolazione della città fino a trentamila anime, ma quando già alla fine del secolo l’oro era quasi scomparso dai torrenti della regione, i nuovi arrivati dovettero convertirsi ad altri mestieri e diventarono artigiani, commercianti, trasportatori. Poi anche queste attività diminuirono di importanza insieme con la ricerca dell’oro e Dawson City già all’inizio del Novecento aveva meno di cinquemila abitanti. Che erano diventati un migliaio negli anni sessanta, quando un lieve risveglio dell’estrazione del prezioso metallo, il timido inizio di un turismo ancora incerto e soprattutto la costruzione delle strade che la collegarono a est con l’Alaska e a sud con Whitehorse, la nuova capitale dello stato, la risollevarono un po’.
Dawson City mi appariva come la cittadina di frontiera che era sempre stata, il luogo di un far west un po’ più verde e piovoso di quello dell’ovest degli Stati Uniti e mantenuto da una legge che obbliga a ristrutturare e a costruire secondo i canoni architettonici originali della frontiera americana. Le facciate degli edifici, tutte in legno e rivolte alla strada, come di consueto una street o un’avenue, erano ormai quasi tutte ristrutturate, dipinte con colori vivaci e sfolgoranti sotto il sole. Perfettamente rinnovato, il vecchio battello che per decenni aveva trasportato persone e cose tra lì e Whitehorse, faceva mostra di sé in riva al fiume e, nonostante fosse tratto in secco da anni, sembrava pronto a salpare ancora una volta verso sud.

Dawson City (Canada)

Nel momento della sua massima espansione a Dawson City e nella valle dello Yukon non esisteva alcuna legge, né erano ancora giunti sul posto i suoi rappresentati. Così i primi arrivati, i Pionieri, pensarono di creare delle confraternite che servissero agli affiliati per proteggersi e aiutarsi l’un l’altro. La più importante, nata ancor prima della fondazione della città, fu quella dell’Ordine dei Pionieri dello Yukon, il cui motto diceva, e dice ancora, più o meno “comportati con gli altri come vorresti che gli altri si comportassero con te”.
Ormai Dawson City conta pochi abitanti ma molti cimiteri: c’è quello cattolico, quello dei massoni, quello ebraico, quelli delle confraternite, come l’Ordine Fraterno delle Aquile.  E tutti giacciono su una collina sopra la città, uno di fianco all’altro. Poi c’è quello dei Pionieri dello Yukon, anzi quelli dei Pionieri dello Yukon, perché sono due. Qui riposano i morti di oggi accanto ai morti di ieri, i pionieri che arrivarono con la speranza di fare fortuna.
Quando andammo a visitare i cimiteri, trovammo le tombe segnate da croci bianche che risaltavano sul verde dei prati, ma da molte, quelle più vecchie, il bianco se n’era andato da lungo tempo così come i nomi dei morti e con essi la loro memoria. Quando all’inizio del Novecento la maggior parte degli abitanti lasciò la città, rimasero in pochi ad accudire alle tombe e con il passare degli anni le croci rimasero a indicare le sepolture di gente ormai perduta nel tempo. Oggi una delle missioni dell’Ordine dei Pionieri è proprio quella di ricercare la memoria e di riportare un nome sulle croci.

La Spoon River del grande nord. All’inizio degli anni quaranta apparve in Italia l’Antologia di Spoon River (Edgar L. Masters), una raccolta di poesie che danno voce ai pensieri, agli sfoghi, alle confessioni ed alla rabbia degli abitanti di un piccolo villaggio dell’Illinois, che possono finalmente raccontare con sincerità a sé stessi e agli altri le loro storie e quelle di quanti conobbero. Finalmente, perché ora sono morti e per questo ormai liberi dalle convenzioni, i falsi pudori e le ipocrisie che imprigionano i vivi. In questa platea di trapassati ognuno dalla tomba ha verità da raccontare, confessioni da fare e recriminazioni da esporre. La magia dell’opera di Masters nasce dalla descrizione delle complesse relazioni, soprattutto parentali, esistenti tra i diversi personaggi, ma ancor più dal linguaggio poco consono ai defunti che l’autore mette loro in bocca. Sembra che i morti di Spoon River non si siano ancora incamminati nel lungo viaggio fuori dal tempo, destino di tutti i morti, ma siano ancora presenti in paese. Non appaiono ancora nel ruolo di protettori che noi a volte affidiamo a quelli che ci precedono nell’aldilà. Parlano e ragionano come i parenti e gli amici che vivono ancora ai piedi della collina dove loro sono sepolti. La morte li ha costretti ad essere sinceri, è vero, ma si mantengono come furono in vita: generosi, irascibili, teneri, permalosi, vendicativi, ognuno con il carattere di un tempo.

Il cimitero dei pionieri a Dawson City (Canada)

I cimiteri di Dawson mi ricordavano quello di Spoon River dove riposano i personaggi dell’Antologia e se quelli li avevo conosciuti leggendo le poesie di Masters, alcuni di questi potevo conoscerli da un piccolo libro che tenevo in mano, pubblicato dal Dawson City Museum. Solo alcuni purtroppo, perché, nonostante il lavoro di ricerca svolto dall’Ordine dei Pionieri, la maggior parte delle tombe era ancora anonima. Ma i pochi di cui avevo notizie mi riportavano a quelli più famosi di Spoon River. Tra gli uni e gli altri trovavo una simmetria sorprendente, tratti comuni nelle loro vite e nelle loro morti, come se in fondo le vite e le morti delle persone si assomigliassero tutte.
La tomba di Carlo Evangelista
nel cimitero cattolico
di Dawson City
(Canada)

Carlo Evangelista. Incontrare nel cimitero cattolico di Dawson City la tomba di questo italiano, arrivato dall’Italia e morto là il 10 maggio del 1952 all’età di 81 anni, mi colpì molto. Sul mio libretto non era menzionato, forse perché non fu uno dei pionieri o forse perché gli autori del libretto avevano deciso che la sua vita non fosse degna di memoria. Quindi io non avevo e non ho notizie su di lui, anche se conoscere la sua storia mi interesserebbe molto. Potei solo augurargli a tanti anni dalla sua morte: “Riposa in pace”.

I murali di Chemainus. Quando la segheria che dà lavoro a tutto un paese chiude (successe a Chemainus sulla Vancouver Island nel 1983) che si può fare? Si può commissionare un grande dipinto murale che illustri la storia del paese, ad esempio. Che c’entra? si potrebbe dire. Forse ribadire la propria storia aiuta a non deprimersi, a mantenere la speranza, magari induce qualche turista a fermarsi aiutando così l’economia. Sta di fatto che l’idea piacque e al nostro arrivo i murales, molto belli, perfettamente mantenuti e curati erano più di trenta. Di dimensioni gigantesche coprivano i muri della case e degli edifici pubblici.

Un grane murale a Chemainus (Canada). A parte le due donne sulla sinistra
tutto è dipinto sul muro della casa

Di conseguenza da allora i turisti hanno veramente più di trenta motivi per fermarsi a Chemainus (oggi 3.000 anime), perché passeggiare per le sue strade equivale a percorrere i corridoi di una mostra. In seguito la segheria ha riaperto, eliminando il motivo che aveva lanciato l’abitudine di dipingere murales, ma ormai i murales non hanno più bisogno di motivi per esistere. Bastano a se stessi.

Icefields Parkway. Una strada spettacolare, ai confini tra l’Alberta e la British Columbia, tra le più belle al mondo tra quelle che ho percorso. Attraversa da nord a sud le Rocky Mountains canadesi che sono un po’ meno alte di quelle dell’America dell’ovest, ma in compenso sono costellate da ghiacciai permanenti, propaggine orientale dell’immenso Columbia Icefield. Purtroppo già allora si stavano ritirando per effetto del riscaldamento del pianeta. Si potrebbero forse accostare, più in grande, alle Dolomiti. Abbastanza ridotto l’impatto del turismo di massa. Duecentocinquanta km che vanno da Banff a Jasper ad un’altezza media di 2.000 metri, accompagnati da una fantastica stratificazione di colori. In basso, in fondo alle valli, abbiamo il turchese delle acque dei laghi (Peyto e Louise i più belli) e dei fiumi (l’Athabasca il più grande), sopra il verde cupo delle foreste di aceri e abeti, sopra ancora il misto grigio, giallo e rosso delle rocce, quindi il bianco dei ghiacciai e sopra questa tavolozza il blu del cielo (se è sereno, noi beccammo bene).

Il lago Peyto sulla Icefields Highway (Canada)

Non manca un’incredibile numero di cascate tra grandi e piccole (Athabasca e Sunwapta le più imponenti). Relativamente facile anche incontrare animali di grossa taglia: noi vedemmo qualche orso, wapiti, cervi, bighorn. Ci sfuggirono le alci, peccato. Ovviamente tutt’intorno (siamo in diversi parchi nazionali) si snoda un groviglio di sentieri che, in diversi casi, trovammo interdetti per la massiccia presenza di orsi. Bellissimo un piccolo canyon laterale: il Maligne Canyon che termina nell’immancabile lago turchese, il Maligne Lake

Top of the World Highway. Già il nome è tutto un programma: dovrebbe essere la strada più a nord del mondo che da Dawson City conduce in Alaska. Quindi perché non percorrere un mito? Il bello stava proprio in questo, nel mito, perché di fatto si tratta di una strada normale che scorre sulle colline brulle del nord dello Yukon, sterrata, isolata e anche pericolosa se piove. Le antiche foreste che la costeggiavano furono distrutte in gran parte durante la corsa all’oro. Tuttavia in Alaka la natura era ancora rigogliose e, passato il confine con gli USA, ci venne incontro un bellissimo branco di caribù. Sotto la pioggia battente, la Top of the World Highway si mostrò veramente “estrema”, avremo incontrato in tutto il giorno 5 o 6 macchine. Un’esperienza fantastica.

Lungo la Top of the World Highway (Canada)

Una curiosità: dalla parti di Eagle (un paesucolo che sta sulla strada dalla parte americana) fu girato Un tranquillo weekend di paura (ricordate lo splendido film del 1972 diretto da John Boorman, con Jon Voight e Burt Reynolds?). Per dire della bellezza della natura da quelle parti.

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