martedì 9 luglio 2024

Viaggio a Auvers-sur-l’Oise

Il monumento a Vincent Van Gogh
a Auvers-sur-l'Oise
Chi visita i cimiteri storici di Parigi (Père Lachaise, Monmartre, Monparnasse) non si sorprende della monumentalità di molte tombe. Qui sono sepolti infatti personaggi famosi che meritarono un simile omaggio, magari creato da qualche artista altrettanto famoso, e diventato nel tempo esso stesso oggetto di ammirazione, a volte esagerata, da parte dei visitatori. E’ ciò che è capitato alla tomba di Oscar Wilde a Pére Lachaise, ad esempio, che fu riparata alcuni anni fa da una barriera di vetro per difenderla da un pubblico riverente, ma poco rispettoso.
Quello che è successo alla tomba di Oscar, tuttavia, non succederà a queste due semplici sepolture, qui nel piccolo cimitero di Auvers-sur-l’Oise, poco a nord di Parigi. Niente cippi, o statue, o angeli marmorei e piangenti, o croci, o altri simboli di lutto e dolore, sarebbero inutili: sono circondato da tombe, sono in un cimitero, serve altro per ricordarmelo? 

Sono arrivato in mattinata, insieme ad altri che come me desiderano conoscere il paese dove Vincent fu convinto a trasferirsi, poiché era il paese dove viveva e lavorava il dottor Gachet, il suo medico. E perché fu anche il paese dove Vincent decise di porre fine alla sua difficile esistenza.

A spingermi a questa breve trasferta a nord della capitale francese è stata una straordinaria mostra che visitai l’anno prima sugli ultimi 70 giorni di vita dell’artista, quelli che appunto trascorse a Auvers-sur-l’Oise. Vi erano raccolte una settantina di opere tra dipinti e disegni, presenti molte delle sue più straordinarie e famose. E più del loro valore mi sconvolse il numero: circa settanta! E pensavo: pur nella disperazione che senza vergogna Vincent rovesciava nelle tele, come si possono dipingere tanti capolavori (più o meno uno al giorno) in attesa di spararsi un colpo al cuore? Perfino il 29 luglio, il pomeriggio in cui si puntò la pistola al petto, trovò la forza, prima di pranzo, di dipingere Radici e tronchi d’albero, il quadro che chiudeva quella mostra. Quale disperata determinazione lo spinse a stendere ancora una volta colore sulla tela, dopo una vita colma di delusioni e umiliazioni, dedicata a una pittura incompresa se non disprezzata da tutti, esclusi, si spera, il fratello e il dottor Gachet? Circa novecento quadri dipinti, si dice uno solo venduto da vivo. Come può essere? Domande che difficilmente trovano risposte.

Ritratto del dott. Gachet, museo d'Orsay, Parigi, Francia

E così, eccomi qui di fronte alla tomba di Vincent Van Gogh e di suo fratello Theodore, detto Theo, sepolto accanto a lui. Due lapidi di pietra grezza e grigia, come questa giornata piovosa, due parole (ici repose), due nomi e due date. Nient’altro, per il più grande pittore dell’800. Se confronto queste umili sepolture con i monumenti di Père Lachaise, mi assale l’angoscia, ma poi… saranno le sue opere a ricordare a tutti chi era Vincent, non la sua tomba. E più a lungo della durata del marmo di un monumento

Vincent e Theo, saldamente uniti nella vita, lo sono anche nella morte e lo testimonia l’edera che la pioggia rende splendente e copre entrambe le tombe e le unisce, ne fa una sola, sommergendo anche il piccolo spazio che le separa. Lo considero un piccolo omaggio degli addetti alla manutenzione del cimitero che non liberano dall’edera quel piccolo spazio, come forse vorrebbe il regolamento.

Le tombe di Vincent e di Theo van Gogh, nel cimitero di Auvers-sur-l'Oise, Francia

Se alzo gli occhi, vedo al di là del cancello i campi di grano, i famosi campi di grano. Siamo in maggio, il grano è verde, non può essere giallo, i corvi non ci sono, ma sono i suoi campi di grano. Il grano maturerà, allora diventerà giallo, arriveranno anche i corvi, basta aspettare.

I campi di grano (verdi in maggio) dipinti da Van Gogh (gialli in luglio) a Auvers-sur-l'Oise, Francia

Prima, mentre camminavo per il paese alla ricerca dei luoghi che il pittore immortalò nelle sue opere, mi sembrava che la gente che incontravo tenesse un comportamento più sobrio e contenuto del solito, in armonia con l’animo triste di Auvers-sur-l’Oise, che forse è cosciente del ruolo che la storia gli ha assegnato più di cento anni fa. Anche le auto mi sembravano meno rumorose. Le persone, quasi tutti visitatori giunti a Auvers-su-l’Oise per lo stesso mio motivo, camminavano parlando sottovoce, consultando cellulari e carte geografiche. Percepivo intorno a me un grande rispetto, una sobria attenzione.

Sono passato in mattinata a visitare l’Auberge Ravoux, lo stesso dove soggiornò e morì Vincent dopo il colpo di pistola e mi hanno mostrata la sua stanza che da allora la proprietà non ha più toccato o riaffittato. E’ stato inevitabile: il mio pensiero è volato alla Camera di Vincent ad Arles, ma la direzione era sbagliata. La camera di Arles è modesta, ma allegra, mi pare. Sul letto una coperta rossa, alcuni quadri alle pareti, un tavolino, una finestra che si apre sul mondo. All’Auberge Ravoux la stanza di Vincent, se così si può chiamare, è invece un loculo di tre metri per due, a dimostrazione del livello di miseria in cui versava il pittore. Un piccolo lucernario fa filtrare un po’ di luce dal soffitto, appoggiate alla parete alcune cornici e tele (non dipinte) originali. Nient’altro.

L'hotel Ravoux dove da Van Gogh visse i suoi ultimi 70 giorni di vita e morì,
Auvers-sur-l'Oise, Francia

Oggi la mia giornata è trascorsa andando alla ricerca di molti altri luoghi del paese che Vincent dipinse: oltre all’auberge Malroux, l’Hotel de Ville, la Posta, la chiesa, vista non di fronte, ma dall’abside come la riprodusse lui. Poi il castello e la casa del dottor Gachet.

L'Hotel de Ville di Auvers-sur-l'Oise (il Comune) dipinto da Van Gogh, collezione privata, Spagna


L'Hotel de Ville di Auvers-sur-l'Oise (il Comune) oggi, Auvers-sur-l'Oise, Francia

La chiesa di Auvers-sur-l'Oise dipinta da Van Gogh, Auvers-sur-l'Oise,
Museo d'Orsay, Parigi, Francia

La chiesa di Auvers-sur-l'Oise oggi, Auvers-sur-l'Oise, Francia

Noto che qualcuno ha deposto qualche girasole sulle tombe, tra le foglie dell’edera, anche su quella di Theo. Il fiore che dipinse tante volte. Il loro giallo spicca nel verde e sembra testimoniare, ce ne fosse ancora bisogno, dell’amore smisurato di Vincent per la luce.

Lascio il piccolo cimitero di Auvers-su-l’Oise e mi dirigo verso la stazione per rientrare a Parigi. Sulla via del ritorno però mi riservo un’ultima visita. Vado a cercare le radici che mi hanno impressionato alla mostra dell’anno scorso. Esistono ancora ai margini del paese, recintate e protette come reliquie. Sono state riconosciute fortunosamente in una vecchia cartolina di saluti da Auvers. Che siano proprio quelle non saprei, certo la somiglianza con le radici del quadro è impressionante. Facciamo che siano quelle, se anche non lo fossero nulla cambierebbe. Rimane comunque l'emozione nel cercare di guardare con i suoi occhi l’ultima scena di una vita difficile, prima di farla finita.  

Radici e tronchi d'albero dipinti da Van Gogh, Auvers-sur-l'Oise, Francia

Le radici e tronchi d'albero ripresi da Van Gogh, rue Daubigny, Auvers-sur-l'Oise, Francia

Le radici e tronchi d'albero di rue Daubigny, Auvers-sur-l'Oise, Francia,
riconosciuti, attraverso questa cartolina, come quelli dipinti Vincent van Gogh

Vide in quei tronchi e in quelle radici contorte, forse in un giorno opaco come questo, lo specchio della sua vita e ne trasse le conseguenze. Tuttavia volle lasciare la mondo non solo le sue opere, ma anche un’ipotesi per il futuro dell’arte. Guardiamo con attenzione quel quadro: non vi troviamo quasi più traccia dell’Impressionismo che ancora dominava la pittura dei suoi tempi. Quel quadro è la fonte alle quale si accosteranno gli espressionisti che verranno dopo Vincent Van Gogh. Quel colpo di pistola spense una vita, ma aprì una nuova era.




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