mercoledì 18 settembre 2024

I murales di Reykjavick (Islanda)

“Non è un nostro compito di umani
collezionare grandi momenti”?
murale di Heracut, Reykjavick, Islanda
“Non è un nostro compito di umani collezionare grandi momenti”? Un aforisma potente, che occhieggia da un muro di un palazzo di Reykjavik, ai bordi di uno dei tanti murali/graffiti della capitale islandese. E’ anche il titolo, un po’ lungo, dell’opera del duo tedesco Heracut, secondo me una delle più belle della città.

Sono molte le città che offrono un’importante collezione di murales. Ricordo Chicago, Parigi, S. Francisco, Città del Massico e chissà quante altre ce ne sono. E tra esse colloco Reykjavick e alle grandi città si possono aggiungere moltissimi paesi di piccole dimensioni, italiani compresi. Vedere per credere gli incredibili murales di Chemainus in Canada

Adoro questa forma d’arte, la street art, e, appena giunto nella capitale islandese e venuto a conoscenza della sua esistenza, mi sono messo alla ricerca. La città non è una metropoli, i murali sono per lo più in centro, camminando un po’ se ne possono trovare a decine.

Ne ho visto molti nella mia vita, ma questi mi hanno sorpreso più di altri, perché presentano caratteristiche insolite. Innanzi tutto le dimensioni, che sono spesso enormi: i più coprono interamente muri o facciate di palazzi anche di tre o quattro piani. E poi sorprendono i temi in essi trattati. I murali dei miei ricordi segnalavano temi sociali, politici, ricordavano fatti storici o di cronaca. Questi invece sono diversi, la street art di Reykjavik sorprende per la sua originalità e i suoi contenuti. Se si esclude un enorme frjals Palestina, dagli evidenti connotati politici, i significati sono spesso enigmatici, difficili da interpretare. Se non si è del posto, ci si deve accontentare dei contenuti estetici (non che sia poco!) senza poter capire fino in fondo il messaggio trasmesso. Quello che segue ad esempio, pur intitolato "Il vampiro", non si riferisce al conte Drakula, anche se qualche richiamo c'è, ma ad  una saga medievale islandese nella quale il protagonista "succhia" la volontà, non il sangue, delle sue vittime.

"Il vampiro", murale di FACE e Agent Fresco, Reykjavick, Islanda

Forse negli anni ’90 non era così. Forse, quando sui muri della città cominciarono ad apparire le prime pitture e le prime scritte cubitali, le opere erano improntate ai temi classici della ribellione sociale, della protesta giovanile, forse anche denunciate dall’opinione pubblica come possibili reati. Succede ovunque ancora oggi. Ricordo un caso di Bologna di alcuni anni fa. Per più giorni vidi un gruppo di artisti intenti, servendosi di scale e ponteggi, a dipingere un intero lato di un palazzo del centro storico. Forse non avevano l’autorizzazione della proprietà o forse non piacque l’intervento che in effetti non era esaltante. Rimane il fatto che ci furono denunce, il caso finì sui giornali e dopo alcuni giorni una squadra di manutentori “ripulì” il muro, ridipingendolo con il classico colore rosso bolognese.

A Reykjavick i graffiti sono evoluti verso forme di arte pubblica più complessa e, soprattutto universalmente accettata, diventando nel tempo quasi l’essenza della città, secondo me la sua caratteristica più affascinante.

Perché eventi come l’annuale Reykjavick Arts Festival, hanno giocato negli anni, e giocano tutt’ora, un ruolo determinante nel loro sviluppo, offrendo “piattaforme”, culturali e non solo, agli artisti che volessero mostrare la loro arte. Mentre i privati hanno cominciato da tempo a offrire i muri delle loro case sui quali dipingere. Anche il lavoro musicale dei partecipanti al biennale Iceland Airwaves Festival ha ispirato spesso gli artisti che cercano di armonizzare le loro opere con quelle dei musicisti. Non più protesta sui muri, quindi, o non solo, ma un insieme di motivi tradizionali, saghe e miti nordici, musiche e stili contemporanei mischiati tra loro, a beneficio dei residenti e dei visitatori.

Questo passaggio, come detto, a volte rende meno comprensibile qualche opera a chi non sia del luogo, ma in cambio dona a tutti un’originalità e una varietà che raramente ho trovato altrove.

"Cavali nella notte", murale di John Gent, Reykjavick

La qualità dei lavori è sempre di altissimo livello, anche se gli autori sembrano a volte eccedere in modestia: non sempre infatti i graffiti sono firmati. Non sempre troviamo in calce i nomi di Sara Riel, Selur, Guido van Helten, il duo tedesco Heracut, forse i più famosi, di sicuro tra i più bravi.

Purtroppo le inclementi condizioni atmosferiche dell’Islanda non sono benevoli e alcuni murali mostrano segni di deterioramento, ma in fondo questo è il destino della street art, quello di non durare, anche se gli artisti sperimentano di continuo materiali e finiture protettive che possano assicurare longevità alle opere.

"Aquila", murale di Selur, Reykjavick, Islanda

Laugavegur, l’arteria principale che attraversa il centro di Reykjavick, nota come la vetrina del commercio e degli acquisti, raccoglie la concentrazione più alta di graffiti, mostrando come creatività, business e arte possano convivere in armonia. Tra un caffè, un ristorante di qualità, un negozio di alta moda e uno di souvenir, un luogo di “spaccio” di street food, si può curiosare dietro ogni angolo di strada: probabilmente vi si scopre un graffito, spesso di ampie dimensioni, che invita ad una pausa.

Quando ho tentato di fotografare il primo murale che copriva un muro di un palazzo di tre piani, dal marciapiedi al tetto, mi sono trovato davanti due o tre auto parcheggiate proprio alla base del muro. Coprivano la parte bassa del dipinto. Mi sono arrabbiato, ho maledetto la mancanza di rispetto. Poi mi sono rassegnato, perché i graffiti sono quasi sempre messi così: rispettati e ammirati da tutti, non sembrano meritare e ottenere maggior considerazione di un’auto o di una panchina. Rispettati e ammirati da tutti, certo, ma una volta terminati sembrano lasciati a se stessi, soli a lottare contro il tempo. Poi finalmente mi sono reso conto: è la street art, bellezza! E nelle street ci sono anche le panchine e le auto, in movimento e in sosta, che rivendicano il loro diritto all’esistenza al pari dei graffiti. I graffiti vanno e vengono, i nuovi proprietari degli edifici a volte li ricoprono di vernice, i nuovi sostituiscono quelli vecchi, i progetti edilizi sconvolgono il loro destini, alcuni scompaiono, altri rinascono in altri luoghi. La street art evolve e si aggiorna, tra qualche tempo, di sicuro, quelli che ho visto io forse saranno scomparsi e ne saranno arrivati altri. E’ anche il destino delle opere i Banksy, figuriamoci se lo possono evitare quelle di Guido van Helten o del duo Heracut.

Da parte mia, nelle foto, non ho più cercato di isolare i murali da ciò che li circondava, fossero auto, panchine, alberi o perfino bidoni della spazzatura.

"Ritratto di vecchio", murale di Guido Van Helten, Reykjavick, Islanda

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