Al mercato di Tlacolula, Messico |
Paese attraversato: Messico
Itinerario: Cancun,
Tulum, Cichen Itza, Merida, Uxmal, Campece, Ciudad del Carmen, Palenque,
Bonampak, Yaxchilàn, San Cristobal de las Casas, Tuxla Gutierrez, Oaxaca, Mitla,
Monte Albàn, Puebla, Teotihuacàn, Mexico City
Periodo: aprile-maggio 2005
Durata: 3 settimane
Ne parlo nel libro: Il confine immaginario
Furono molti gli interessi che ci spinsero
nel paese, in un lungo viaggio da Tulum a Città del Messico, ma certamente la cultura e
l’architettura maya ebbero un ruolo predominante, anche perché mi permise di
completare le visite al bacino di influenza di questo popolo (oltre al Messico
del sud, il Guatemala e l’Honduras). Ma non solo i Maya, anche gli Olmechi, gli
Aztechi e gli altri che ebbero la sfortuna storica di imbattersi negli
spagnoli.
E poi Città del Messico, città
sterminata, attraversata da tante vicende storiche che l’hanno resa bellissima
anche se molto inquinata e faticosa (siamo a 2.240 metri di altezza). Non è mio
compito descriverla, posso solo lanciare qualche spunto (anche ovvio) per
andare oltre le visite classiche al centro storico all’Alameda Central:
- Il
museo archeologico è uno dei più belli al mondo (vale il Louvre, per dire); nulla
di nuovo, è inserito nel calendario delle visite di ogni visitatore della
città, tuttavia non sempre gli vien dedicato il tempo che merita, poiché in
un giorno non si riesce a visitarlo degnamente. E’ un’antologia sulla
storia precolombiana del paese, ben organizzata e rappresentata solo da
capolavori maya, aztechi… ben selezionati.
- C’erano
un tempo luoghi, a 10 o 20 chilometri dal centro, che poi sono rimasti
inglobati nell’espansione caotica della capitale. Ora sono quartieri della
città, ma hanno conservato l’animo e lo spirito originale. Una visita è
sicuramente da consigliare: Coyocan (con gli enormi vivai e la casa-museo
di Frida Kahlo), Xochimilco (i giardini galleggianti degli Aztechi), San
Angel (oggi uno dei più incantevoli sobborghi di Città del Messico).
- Diego (Rivera) e Frida (Kahlo); emozionante seguire le tracce della loro storia d’amore attraverso i luoghi che li videro protagonisti e quelli che custodiscono le loro opere: dai musei, allo casa-studio comune di San Angel, alla “casa blu” di Coyocan dove Frida morì nel 1954 augurandosi che la “partenza fosse piena di gioia e di non tornare mai più”.
Mondo maya: Lungi da me l’idea di
descrivere Cichen Itza, Uxmal, Palenque o Monte Albàn. Non è questo il compito
del blog ed esiste una letteratura sterminata in proposito molto più autorevole
di me. Mi limito a riportare una tabellina che compilai sul diario del viaggio,
nella quale catalogai i siti maya visitati con la relativa valutazione personale.
Siti maya (Messico, Guatemala, Honduras): la mia valutazione |
Nella
tabella trovate anche due siti allora poco visitati e meno imponenti di quelli
classici, ma, secondo me, portatori di caratteristiche uniche:
-Mitla, a poca distanza da Oaxaca, presenta i bassorilievi decorativi
più belli del mondo maya. Non si tratta di figure umane, ma di disegni geometrici
che coprono, per metri e metri quadrati, le pareti degli edifici.
-Yaxchilàn;
richiese un po’ di tempo per arrivarci, allora non bastò un giorno per
andata e ritorno da Paleque, ma permetteva un viaggio
magnifico attraverso le foreste del Chapas e la visita di Bonampak che si trova
sul percorso.
Arrivati
a Frontera Corozal si è quasi al confine con il Guatemala. Da qui partimmo in
barca verso Yaxchilàn sul fiume Usumacinta e questo tragitto ci diede la
possibilità di osservare i tropici: fitta foresta e uccelli e, soprattutto,
coccodrilli che sonnecchiano sulle rive.
Coccodrillo sul tragitto verso Yaxchilàn, Messico |
Il sito è in una posizione rara per un
luogo maya: in riva a un fiume. Non è spettacolare come Palenque, ma ha le steli
e gli architravi delle porte degli edifici più belli del Messico maya; gli
architravi erano ancora sul posto, mentre le steli più spettacolari mancavano.
Si potevano comunque osservare al museo archeologico di Città del Messico.
Arrivati
a Palenque, considero la deviazione per Yaxchilàn una trasferta imperdibile.
Ragazzo Lacandon, Bonampak, Messico |
Lacandones; discendenti dagli antichi Maya, fuggirono di fronte all’invasione spagnola ritirandosi sempre più all’interno delle foreste del Chapas e rimanendo sconosciuti agli occidentali fino a metà del secolo scorso.
Ridotti ormai a poche centinaia se ne poteva incontrare ancora qualcuno a Palenque o Bonampak impegnati a vendere prodotti artigianali ai visitatori. Facili da riconoscere: bassa statura, capelli lunghi e nerissimi, vestiti di una larga tunica bianca che li copre fino alle caviglie.
Teste Olmeche e non solo: alcune alte più di due
metri, altre meno, comunque di dimensioni inusitate. Sono 17 in tutto. Le teste
furono rinvenute in un’area molto vasta del Chapas, databili tra il 1.500 e il
500 a.C. Alcune sono finite al museo archeologico Città del Messico, ma altre,
insieme con statue di soggetto diverso, sono state radunate nel parco " La Venta" a Villahermosa, un museo all’aperto sparso nella foresta.
Le teste, svariate tonnellate di pietra, sguardi severi e imbronciati, fronte corrugata, che apparivano improvvise tra gli alberi, alcune più alte di me, intimidivano come se non volessero lasciar trapelare i segreti della loro produzione e del trasporto dalla cave di pietra fino ai luoghi di ritrovamento.
Testa Olmeca gigante, parco "La Venta", Villahermosa, Messico |
Le teste, svariate tonnellate di pietra, sguardi severi e imbronciati, fronte corrugata, che apparivano improvvise tra gli alberi, alcune più alte di me, intimidivano come se non volessero lasciar trapelare i segreti della loro produzione e del trasporto dalla cave di pietra fino ai luoghi di ritrovamento.
Deliri churriguereschi: lo stile barocco può
piacere o meno e il motivo per il quale alcuni lo criticano è l’eccessiva
elaborazione ornamentale: troppi “fronzoli”, troppi motivi floreali, troppi
putti e amorini. A volte succede, anche se molto spesso si può anche ammirare questo
stile. Beh, chi nutre dubbi sulle caratteristiche peculiari dello stile
barocco, dovrebbe osservare attentamente lo stile churriguerresco: ci riferiamo
a una “specializzazione” spagnola del barocco, che prende il nome
dall’architetto iberico José Benito de
Churriguera (1665–1725). E’ uno
stile che esaspera le caratteristiche del barocco arrivando a coprire ogni
spazio libero di una parete o della volta di una chiesa di dettagli di ogni
tipo, dando anche molta importanza alla tridimensionalità. E allora alle già
complicate decorazioni del barocco si aggiungono angioletti, cherubini, santi… Molti
esempi si trovano in Spagna, qualcuno anche in Italia (Cerosa di Pavia, ad
esempio), ma probabilmente è in Messico che trova la sua massima espressione
tra i ‘600 e il ‘700.
E' sorprende che non ci siano solo le cattedrali delle
grandi città a sfoggiarlo (per esempio la capilla
del Rosario nel tempio di S. Domingo a Puebla), ma anche paesi e anonime
cittadine che vantano chiese churrigueresche di elevata qualità. Tra Puebla e
città del Messico se ne incontrano diverse: Tonantzintla, San Francisco
Acatepec, Tlaxcalancingo.
Capillas Abiertas: potenza della Chiesa e della su incredibile capacità di
adattamento che le permette di sopravvivere da duemila anni! In ogni conquista,
dopo le armi arrivano le croci, e quindi dopo i soldati spagnoli giunsero i
missionari. Sorsero le chiese e furono inventate le “cappelle aperte”. Le più
belle si trovano tra Oaxaca e Puebla, trascurate dal turismo e quindi poco
manutenute: Teposcolula, Coixtlahuaca. La “cappella aperta” presenta un lato
aperto verso l’esterno della chiesa, di solito senza tetto. Il motivo? Anche se
si dice che la costruzione delle cappelle aperte fosse una concessione alla paura
degli indigeni di entrare negli spazi ristretti delle chiese europee, forse la
loro forma si rifà semplicemente ai templi sacri usati per il culto di grandi
quantità di fedeli, prima della conquista. Comunque sia, ribadisco quanto
espresso prima: potenza della Chiesa!San Juan Chamula: quando varcai la soglia della chiesa
di rimasi incantato. Era giorno di mercato a San Juan Chamula ad una decina di
chilometri a nord di San Cristòbal de las Casas e nella luce dei duemila metri di
altezza, i costumi della gente scintillavano al sole insieme ai colori che più
amo: il giallo dei limoni, l’arancione degli agrumi e dei manghi ed il rosso
dei pomodori. A questi si aggiungeva il verde delle papaie e delle angurie. Sul
fondo della piazza la chiesa sembrava sorridere con la facciata bianchissima e
le rifiniture azzurre.
Nella piazza di San Juan Chamula, Messico |
Il
visitatore che entra nella chiesa di Santo Tomàs di Chichicastenango è
preparato alla visione. Di certo ha visto in precedenza filmati e foto del
mercato e dell'incredibile chiesa. Sa cosa l’aspetta fuori e dentro di essa. Al
contrario, la chiesa di San Juan Chamula non è famosa, le guide turistiche le
dedicano poche righe e la collocano tra le curiosità da visitare, avendo tempo,
nei dintorni di San Cristòbal de las Casas. Nulla di più. Per questa ragione a
San Juan Chamula non arrivano i pullman stipati di turisti che raggiungono
invece Chichicastenango, impazienti di invadere il paese nei giorni di mercato
e di affollare la chiesa di San Tomàs, al punto da trovarci in alcuni momenti
più turisti che fedeli. Quando invece entrai nella chiesa di San Juan Chamula i
gringo, me compreso, non erano più di cinque.
Nonostante
il sole scintillante, la chiesa era quasi buia, oscurata da grandi tende che
coprivano le finestre. Alcuni squarci nella stoffa lasciavano entrare fasci di
luce che fendevano la penombra. Sembravano raggi di gloria mandati direttamente
da Dio nella piccola chiesa messicana. All’apparenza non c’era un altare
maggiore, ma addossati alle pareti si susseguivano tanti altari che reggevano
santi, addobbati con tuniche e vesti, corone e ghirlande di fiori. Alcuni erano
contornati da luci al neon colorate. E poi croci, teche e ancora santi. Una
musica sacra aleggiava nell’aria e prometteva di rendere la visita dolce e
rilassante. Ma nessuno sarebbe potuto rimanere rilassato se non il visitatore
più distratto e indifferente. Bastava osservare i fedeli in quella chiesa per
sentire un nodo alla gola ed essere travolti dalla tensione religiosa che si
respirava nell’aria.
Il pavimento
era coperto di paglia e cosparso di centinaia di candele che rendevano la scena
suggestiva e toccante, un presepe vivente, un valzer di fedeli che si muovevano
silenziosi nella penombra. Il fumo delle candele e l’incenso salivano con lente
volute verso il soffitto dando una trasparenza azzurrina ai fasci di luce cha
scendevano dall’alto.
La gente
entrava a gruppetti, per lo più famiglie, e coloro che potevano permetterselo
arrivavano accompagnati da una capopreghiera, un mazzo di candele, una
bottiglietta di liquido, fiori e petali. Si sedevano in circolo, sembravano
concordare con il capopreghiera le richieste e le promesse da scambiarsi con un
santo o direttamente con Dio. Quindi benedivano le candele, le accendevano da
altre già accese e le alzavano sul pavimento con un gesto semplice e sicuro.
Poi spandevano i petali intorno e li cospargevano con il liquido che avevano
portato con sé, certo acqua benedetta.
Ogni gruppo allestiva il luogo di preghiera dove capitava, dove c’era
posto, alcuni in piedi altri in ginocchio, i più seduti a terra. Parlavano e
pregavano. I bambini piccoli si distraevano ma i più grandicelli rimanevano
seri e attenti accanto agli adulti e partecipavano con impegno alla cerimonia.
Tutti si comportavano in modo preciso e sicuro, dandomi l’impressione che la
cerimonia seguisse un rituale stabilito da tempo. I vestiti, i volti e le mani denunciavano la
povertà dei fedeli, tuttavia molti trovavano il denaro per le offerte che udivo
cadere tintinnando negli offertori posti davanti agli altari. C’erano candele
accese ovunque e la cera colava sul pavimento avvicinandosi pericolosamente
alla paglia. Ma solerti addetti sorvegliavano che non si appiccassero incendi e
raschiavano dal pavimento la cera indurita delle candele consumate, preparando
il posto per l’arrivo di altri. C’erano quelli che entravano soli e si
dirigevano direttamente di fronte ad un santo e con lui iniziavano un fitto
dialogo, sommesso ma non sottomesso, che non mi sembrava una preghiera, ma un
colloquio tra pari, tra vecchi amici. In un angolo tre uomini discutevano di
affari mentre una donna, seduta in disparte, allattava al seno il suo bambino.
Una
famiglia di fedeli accompagnata dal capopreghiera si accostò decisa alla statua
di un santo. Recavano offerte più importanti del solito e fra queste spiccava
un gallo rosso. E di fronte al santo vidi sacrificare quel gallo, credo
soffocato, con semplicità e senza che emettesse un gemito, solo qualche spasimo
prima della terribile immobilità della morte. Ero sconvolto. Mi trovavo in una
chiesa cattolica, consacrata alla stessa religione della chiesa di Roma e mi
sembrava di essere in un tempio pagano. Cristianesimo e riti maya, preti e
sciamani, in un miscuglio a me impenetrabile.
Si levavano
le preghiere e le suppliche dei fedeli che entravano in chiesa, si spegnevano
quelle dei fedeli che uscivano. Aleggiava così nell’aria un equilibrio di
suoni, un brusio di lingue a me sconosciute, compendio di tutte le preghiere e
di tutte le suppliche, un coro in cui entravano ed uscivano di continuo voci
diverse.
Un vecchio
attirò la mia attenzione. Con gli occhi al cielo ed i gomiti appoggiati ad un
altare, bussava sommessamente al tabernacolo come per chiedere: Dio, ci sei? Mi
senti? Mi ricordò Frimme - il protagonista di Contratto con Dio, una storia a
fumetti di Will Eisner - mentre, sconvolto dal dolore, scarica la sua rabbia
contro Dio, con gli occhi ed i pugni alzati verso il cielo. Ebreo, per sfuggire al nazismo, Frimme lascia
l’Europa diretto a New York in cerca di una vita più degna. E prima di partire
stipula con Dio un contratto nel quale si impegna a comportarsi nella vita con
giustizia e bontà. In cambio Dio gli deve concedere una vita pacifica e serena.
Ma il destino dispone diversamente e quando una malattia gli strappa la figlia
ancora bambina, fuori di sé per la disperazione, in una notte di tregenda,
accusa Dio di non aver rispettato il contratto e per questo si ritiene in
diritto egli pure di non rispettarlo. E da una vita giusta e di benevolenza
verso il prossimo, passa ad un’altra dedicata all’arricchimento sfrenato, alla
lussuria e al sopruso sugli altri. Si
ravvedrà da vecchio poco prima di morire, quando stipulerà un nuovo contratto
con Dio, offrendogli una seconda possibilità, questa volta con la mediazione e
la testimonianza dei più saggi fra gli anziani della comunità.
Pensai che
il vecchio stesse chiedendo ragione della sua difficile esistenza e che avesse
anche lui un contratto disatteso con Dio. La sola differenza che potevo
cogliere era che sul volto di Frimme balenavano occhi alterati dal dolore e
dalla rabbia, mentre sul viso del vecchio affioravano occhi spenti da secoli di
rassegnazione.
I Muralisti: non perderei, s’intende,
le visite alle opere dei muralisti messicani, a cominciare dal più bravo e famoso
(Diego Rivera), per passare a Josè Clemente Orozco e a Davis Alvaro Siqueiros.
Se amate i murales, Città del Mexico è il posto per voi. Credo sia inutile la raccomandazione di non perdere il “Sogno di un pomeriggio domenicale sull’Alameda centrale” di Rivera al museo a lui dedicato. Un murale, una storia, anzi un poema messicano di 15x5 metri, una galleria di personaggi storici del paese, famosi e meno famosi.
Se amate i murales, Città del Mexico è il posto per voi. Credo sia inutile la raccomandazione di non perdere il “Sogno di un pomeriggio domenicale sull’Alameda centrale” di Rivera al museo a lui dedicato. Un murale, una storia, anzi un poema messicano di 15x5 metri, una galleria di personaggi storici del paese, famosi e meno famosi.
Diego Rivera, "Sogno di un pomeriggio domenicale sull’Alameda centrale”, Città del Messico, Messico |
Un impatto forte, un messaggio chiaro. In primo piano una
carrellata di buoni borghesi passeggiano per l’Alameda sfoggiano abiti eleganti.
Al centro un ricco signore tiene sottobraccio una dama raffinata che in realtà
è la morte. Di lato la polizia allontana un famiglia di poveri campesinos perché
“inadatti” alla scena. Tutto chiaro, direi.
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