domenica 21 ottobre 2018

Viaggio in MESSICO DEL SUD

Al mercato di Tlacolula, Messico

Paese attraversato: Messico
Itinerario: Cancun, Tulum, Cichen Itza, Merida, Uxmal, Campece, Ciudad del Carmen, Palenque, Bonampak, Yaxchilàn, San Cristobal de las Casas, Tuxla Gutierrez, Oaxaca, Mitla, Monte Albàn, Puebla, Teotihuacàn, Mexico City
Periodo: aprile-maggio 2005
Durata: 3 settimane
Ne parlo nel libro: Il confine immaginario

Furono molti gli interessi che ci spinsero nel paese, in un lungo viaggio da Tulum a Città del Messico, ma certamente la cultura e l’architettura maya ebbero un ruolo predominante, anche perché mi permise di completare le visite al bacino di influenza di questo popolo (oltre al Messico del sud, il Guatemala e l’Honduras). Ma non solo i Maya, anche gli Olmechi, gli Aztechi e gli altri che ebbero la sfortuna storica di imbattersi negli spagnoli.

Ovviamente anche la storia del paese dopo la conquista, la rivoluzione di Villa, l’architettura coloniale ebbero per me un grande importanza nello scegliere la meta del viaggio, accompagnata dal fascino ispirato dai libri di Pino Cacucci, che consiglio di leggere (La polvere del Messico o Demasiado Corazon, ad esempio) per introdurci allo spiritus loci.
E poi Città del Messico, città sterminata, attraversata da tante vicende storiche che l’hanno resa bellissima anche se molto inquinata e faticosa (siamo a 2.240 metri di altezza). Non è mio compito descriverla, posso solo lanciare qualche spunto (anche ovvio) per andare oltre le visite classiche al centro storico all’Alameda Central:
  • Il museo archeologico è uno dei più belli al mondo (vale il Louvre, per dire); nulla di nuovo, è inserito nel calendario delle visite di ogni visitatore della città, tuttavia non sempre gli vien dedicato il tempo che merita, poiché in un giorno non si riesce a visitarlo degnamente. E’ un’antologia sulla storia precolombiana del paese, ben organizzata e rappresentata solo da capolavori maya, aztechi… ben selezionati.
  • C’erano un tempo luoghi, a 10 o 20 chilometri dal centro, che poi sono rimasti inglobati nell’espansione caotica della capitale. Ora sono quartieri della città, ma hanno conservato l’animo e lo spirito originale. Una visita è sicuramente da consigliare: Coyocan (con gli enormi vivai e la casa-museo di Frida Kahlo), Xochimilco (i giardini galleggianti degli Aztechi), San Angel (oggi uno dei più incantevoli sobborghi di Città del Messico).
  • Diego (Rivera) e Frida (Kahlo); emozionante seguire le tracce della loro storia d’amore attraverso i luoghi che li videro protagonisti e quelli che custodiscono le loro opere: dai musei, allo casa-studio comune di San Angel, alla “casa blu” di Coyocan dove Frida morì nel 1954 augurandosi che la “partenza fosse piena di gioia e di non tornare mai più”.
Mondo maya: Lungi da me l’idea di descrivere Cichen Itza, Uxmal, Palenque o Monte Albàn. Non è questo il compito del blog ed esiste una letteratura sterminata in proposito molto più autorevole di me. Mi limito a riportare una tabellina che compilai sul diario del viaggio, nella quale catalogai i siti maya visitati con la relativa valutazione personale.


Siti maya (Messico, Guatemala, Honduras): la mia valutazione

Nella tabella trovate anche due siti allora poco visitati e meno imponenti di quelli classici, ma, secondo me, portatori di caratteristiche uniche:
-Mitla, a poca distanza da Oaxaca, presenta i bassorilievi decorativi più belli del mondo maya. Non si tratta di figure umane, ma di disegni geometrici che coprono, per metri e metri quadrati, le pareti degli edifici.

Bassorilievi geometrici del sito maya di Mitla , Messico

-Yaxchilàn; richiese un po’ di tempo per arrivarci, allora non bastò un giorno per andata e ritorno da Paleque, ma permetteva un viaggio magnifico attraverso le foreste del Chapas e la visita di Bonampak che si trova sul percorso.
Arrivati a Frontera Corozal si è quasi al confine con il Guatemala. Da qui partimmo in barca verso Yaxchilàn sul fiume Usumacinta e questo tragitto ci diede la possibilità di osservare i tropici: fitta foresta e uccelli e, soprattutto, coccodrilli che sonnecchiano sulle rive. 

Coccodrillo sul tragitto verso Yaxchilàn, Messico

























Il sito è in una posizione rara per un luogo maya: in riva a un fiume. Non è spettacolare come Palenque, ma ha le steli e gli architravi delle porte degli edifici più belli del Messico maya; gli architravi erano ancora sul posto, mentre le steli più spettacolari mancavano. Si potevano comunque osservare al museo archeologico di Città del Messico.
Arrivati a Palenque, considero la deviazione per Yaxchilàn una trasferta imperdibile.

Ragazzo Lacandon, Bonampak, Messico

Lacandones; discendenti dagli antichi Maya, fuggirono di fronte all’invasione spagnola ritirandosi sempre più all’interno delle foreste del Chapas e rimanendo sconosciuti agli occidentali fino a metà del secolo scorso. 
Ridotti ormai a poche centinaia se ne poteva incontrare ancora qualcuno a Palenque o Bonampak impegnati a vendere prodotti artigianali ai visitatori. Facili da riconoscere: bassa statura, capelli lunghi e nerissimi, vestiti di una larga tunica bianca che li copre fino alle caviglie.

Teste Olmeche e non solo: alcune alte più di due metri, altre meno, comunque di dimensioni inusitate. Sono 17 in tutto. Le teste furono rinvenute in un’area molto vasta del Chapas, databili tra il 1.500 e il 500 a.C. Alcune sono finite al museo archeologico Città del Messico, ma altre, insieme con statue di soggetto diverso, sono state radunate nel parco " La Venta" a Villahermosa, un museo all’aperto sparso nella foresta. 

Testa Olmeca gigante, parco "La Venta", Villahermosa, Messico

























Le teste, svariate tonnellate di pietra, sguardi severi e imbronciati, fronte corrugata, che apparivano improvvise tra gli alberi, alcune più alte di me, intimidivano come se non volessero lasciar trapelare i segreti della loro produzione e del trasporto dalla cave di pietra fino ai luoghi di ritrovamento.

Deliri churriguereschi: lo stile barocco può piacere o meno e il motivo per il quale alcuni lo criticano è l’eccessiva elaborazione ornamentale: troppi “fronzoli”, troppi motivi floreali, troppi putti e amorini. A volte succede, anche se molto spesso si può anche ammirare questo stile. Beh, chi nutre dubbi sulle caratteristiche peculiari dello stile barocco, dovrebbe osservare attentamente lo stile churriguerresco: ci riferiamo a una “specializzazione” spagnola del barocco, che prende il nome dall’architetto iberico José Benito de Churriguera (1665–1725). E’ uno stile che esaspera le caratteristiche del barocco arrivando a coprire ogni spazio libero di una parete o della volta di una chiesa di dettagli di ogni tipo, dando anche molta importanza alla tridimensionalità. E allora alle già complicate decorazioni del barocco si aggiungono angioletti, cherubini, santi… Molti esempi si trovano in Spagna, qualcuno anche in Italia (Cerosa di Pavia, ad esempio), ma probabilmente è in Messico che trova la sua massima espressione tra i ‘600 e il ‘700. 

Stile churrigueresco, cappella de Rosario, chiesa di San Cristoforo, Puebla, Messico
E' sorprende che non ci siano solo le cattedrali delle grandi città a sfoggiarlo (per esempio la capilla del Rosario nel tempio di S. Domingo a Puebla), ma anche paesi e anonime cittadine che vantano chiese churrigueresche di elevata qualità. Tra Puebla e città del Messico se ne incontrano diverse: Tonantzintla, San Francisco Acatepec, Tlaxcalancingo.
Capillas Abiertas: potenza della Chiesa e della su incredibile capacità di adattamento che le permette di sopravvivere da duemila anni! In ogni conquista, dopo le armi arrivano le croci, e quindi dopo i soldati spagnoli giunsero i missionari. Sorsero le chiese e furono inventate le “cappelle aperte”. Le più belle si trovano tra Oaxaca e Puebla, trascurate dal turismo e quindi poco manutenute: Teposcolula, Coixtlahuaca. La “cappella aperta” presenta un lato aperto verso l’esterno della chiesa, di solito senza tetto. Il motivo? Anche se si dice che la costruzione delle cappelle aperte fosse una concessione alla paura degli indigeni di entrare negli spazi ristretti delle chiese europee, forse la loro forma si rifà semplicemente ai templi sacri usati per il culto di grandi quantità di fedeli, prima della conquista. Comunque sia, ribadisco quanto espresso prima: potenza della Chiesa!
San Juan Chamula: quando varcai la soglia della chiesa di rimasi incantato. Era giorno di mercato a San Juan Chamula ad una decina di chilometri a nord di San Cristòbal de las Casas e nella luce dei duemila metri di altezza, i costumi della gente scintillavano al sole insieme ai colori che più amo: il giallo dei limoni, l’arancione degli agrumi e dei manghi ed il rosso dei pomodori. A questi si aggiungeva il verde delle papaie e delle angurie. Sul fondo della piazza la chiesa sembrava sorridere con la facciata bianchissima e le rifiniture azzurre.

Nella piazza di San Juan Chamula, Messico

























Il visitatore che entra nella chiesa di Santo Tomàs di Chichicastenango è preparato alla visione. Di certo ha visto in precedenza filmati e foto del mercato e dell'incredibile chiesa. Sa cosa l’aspetta fuori e dentro di essa. Al contrario, la chiesa di San Juan Chamula non è famosa, le guide turistiche le dedicano poche righe e la collocano tra le curiosità da visitare, avendo tempo, nei dintorni di San Cristòbal de las Casas. Nulla di più. Per questa ragione a San Juan Chamula non arrivano i pullman stipati di turisti che raggiungono invece Chichicastenango, impazienti di invadere il paese nei giorni di mercato e di affollare la chiesa di San Tomàs, al punto da trovarci in alcuni momenti più turisti che fedeli. Quando invece entrai nella chiesa di San Juan Chamula i gringo, me compreso, non erano più di cinque.
Nonostante il sole scintillante, la chiesa era quasi buia, oscurata da grandi tende che coprivano le finestre. Alcuni squarci nella stoffa lasciavano entrare fasci di luce che fendevano la penombra. Sembravano raggi di gloria mandati direttamente da Dio nella piccola chiesa messicana. All’apparenza non c’era un altare maggiore, ma addossati alle pareti si susseguivano tanti altari che reggevano santi, addobbati con tuniche e vesti, corone e ghirlande di fiori. Alcuni erano contornati da luci al neon colorate. E poi croci, teche e ancora santi. Una musica sacra aleggiava nell’aria e prometteva di rendere la visita dolce e rilassante. Ma nessuno sarebbe potuto rimanere rilassato se non il visitatore più distratto e indifferente. Bastava osservare i fedeli in quella chiesa per sentire un nodo alla gola ed essere travolti dalla tensione religiosa che si respirava nell’aria.
Il pavimento era coperto di paglia e cosparso di centinaia di candele che rendevano la scena suggestiva e toccante, un presepe vivente, un valzer di fedeli che si muovevano silenziosi nella penombra. Il fumo delle candele e l’incenso salivano con lente volute verso il soffitto dando una trasparenza azzurrina ai fasci di luce cha scendevano dall’alto.
La gente entrava a gruppetti, per lo più famiglie, e coloro che potevano permetterselo arrivavano accompagnati da una capopreghiera, un mazzo di candele, una bottiglietta di liquido, fiori e petali. Si sedevano in circolo, sembravano concordare con il capopreghiera le richieste e le promesse da scambiarsi con un santo o direttamente con Dio. Quindi benedivano le candele, le accendevano da altre già accese e le alzavano sul pavimento con un gesto semplice e sicuro. Poi spandevano i petali intorno e li cospargevano con il liquido che avevano portato con sé, certo acqua benedetta.  Ogni gruppo allestiva il luogo di preghiera dove capitava, dove c’era posto, alcuni in piedi altri in ginocchio, i più seduti a terra. Parlavano e pregavano. I bambini piccoli si distraevano ma i più grandicelli rimanevano seri e attenti accanto agli adulti e partecipavano con impegno alla cerimonia. Tutti si comportavano in modo preciso e sicuro, dandomi l’impressione che la cerimonia seguisse un rituale stabilito da tempo.  I vestiti, i volti e le mani denunciavano la povertà dei fedeli, tuttavia molti trovavano il denaro per le offerte che udivo cadere tintinnando negli offertori posti davanti agli altari. C’erano candele accese ovunque e la cera colava sul pavimento avvicinandosi pericolosamente alla paglia. Ma solerti addetti sorvegliavano che non si appiccassero incendi e raschiavano dal pavimento la cera indurita delle candele consumate, preparando il posto per l’arrivo di altri. C’erano quelli che entravano soli e si dirigevano direttamente di fronte ad un santo e con lui iniziavano un fitto dialogo, sommesso ma non sottomesso, che non mi sembrava una preghiera, ma un colloquio tra pari, tra vecchi amici. In un angolo tre uomini discutevano di affari mentre una donna, seduta in disparte, allattava al seno il suo bambino.
Una famiglia di fedeli accompagnata dal capopreghiera si accostò decisa alla statua di un santo. Recavano offerte più importanti del solito e fra queste spiccava un gallo rosso. E di fronte al santo vidi sacrificare quel gallo, credo soffocato, con semplicità e senza che emettesse un gemito, solo qualche spasimo prima della terribile immobilità della morte. Ero sconvolto. Mi trovavo in una chiesa cattolica, consacrata alla stessa religione della chiesa di Roma e mi sembrava di essere in un tempio pagano. Cristianesimo e riti maya, preti e sciamani, in un miscuglio a me impenetrabile.
Si levavano le preghiere e le suppliche dei fedeli che entravano in chiesa, si spegnevano quelle dei fedeli che uscivano. Aleggiava così nell’aria un equilibrio di suoni, un brusio di lingue a me sconosciute, compendio di tutte le preghiere e di tutte le suppliche, un coro in cui entravano ed uscivano di continuo voci diverse.
Un vecchio attirò la mia attenzione. Con gli occhi al cielo ed i gomiti appoggiati ad un altare, bussava sommessamente al tabernacolo come per chiedere: Dio, ci sei? Mi senti? Mi ricordò Frimme - il protagonista di Contratto con Dio, una storia a fumetti di Will Eisner - mentre, sconvolto dal dolore, scarica la sua rabbia contro Dio, con gli occhi ed i pugni alzati verso il cielo.  Ebreo, per sfuggire al nazismo, Frimme lascia l’Europa diretto a New York in cerca di una vita più degna. E prima di partire stipula con Dio un contratto nel quale si impegna a comportarsi nella vita con giustizia e bontà. In cambio Dio gli deve concedere una vita pacifica e serena. Ma il destino dispone diversamente e quando una malattia gli strappa la figlia ancora bambina, fuori di sé per la disperazione, in una notte di tregenda, accusa Dio di non aver rispettato il contratto e per questo si ritiene in diritto egli pure di non rispettarlo. E da una vita giusta e di benevolenza verso il prossimo, passa ad un’altra dedicata all’arricchimento sfrenato, alla lussuria e al sopruso sugli altri.  Si ravvedrà da vecchio poco prima di morire, quando stipulerà un nuovo contratto con Dio, offrendogli una seconda possibilità, questa volta con la mediazione e la testimonianza dei più saggi fra gli anziani della comunità.
Pensai che il vecchio stesse chiedendo ragione della sua difficile esistenza e che avesse anche lui un contratto disatteso con Dio. La sola differenza che potevo cogliere era che sul volto di Frimme balenavano occhi alterati dal dolore e dalla rabbia, mentre sul viso del vecchio affioravano occhi spenti da secoli di rassegnazione.

I Muralisti: non perderei, s’intende, le visite alle opere dei muralisti messicani, a cominciare dal più bravo e famoso (Diego Rivera), per passare a Josè Clemente Orozco e a Davis Alvaro Siqueiros. 
Se amate i murales, Città del Mexico è il posto per voi. Credo sia inutile la raccomandazione di non perdere il “Sogno di un pomeriggio domenicale sull’Alameda centrale” di Rivera al museo a lui dedicato. Un murale, una storia, anzi un poema messicano di 15x5 metri, una galleria di personaggi storici del paese, famosi e meno famosi. 


Diego Rivera, "Sogno di un pomeriggio domenicale sull’Alameda centrale”, Città del Messico, Messico

Un impatto forte, un messaggio chiaro. In primo piano una carrellata di buoni borghesi passeggiano per l’Alameda sfoggiano abiti eleganti. Al centro un ricco signore tiene sottobraccio una dama raffinata che in realtà è la morte. Di lato la polizia allontana un famiglia di poveri campesinos perché “inadatti” alla scena. Tutto chiaro, direi.

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