Itinerario: San
Josè de Costa Rica, Vulcano Poas, Playa Guiones, Caño Negro Wildlife Refuge, Vulcano Tenorio,
Vulcano Arenal, Riserva nat. Los Angeles, Parco Naz. Chirripò, Heredia, Sarchì,
Zarcero, Golfito, Parco Naz. Corcovado, San Josè de Costa Rica
Periodo: dicembre 2002-gennaio 2003
Durata: 3 settimane
Ne parlo nel libro: Il confine immaginario
Per
qualificare questo piccolo paese del centro America, che da oltre 50 anni ha
scommesso sulla conservazione dell’ambiente, basta questo: nel 1949 decise
di abolire l’esercito riservando le risorse risparmiate all’educazione e alla
tutela del territorio.
Il National Geographic ha recentemente pubblicato questa notizia: nel primo semestre 2017 il piccolo stato dell'America Centrale ha prodotto il 99,35% della sua elettricità grazie a idroelettrico, geotermia, eolico, biomasse e solare. Alcuni esempi di economia ecosostenibile: la stragrande maggioranza dei tronchetti della felicità venduti nel mondo, ad esempio, sono coltivati in Costa Rica, come pure le farfalle che vengono allevate qui e spedite in larva in ogni parte del mondo (Italia compresa).
Un paese nel quale potrebbe avere senso ritirarsi per una vita più
“leggera” e pulita. Idea non peregrina: basta guardare quante proposte di sistemazione in loco arrivano dalle rete cliccando su Google “Costa Rica”. Qualche ora di
macchina può condurre alla costa atlantica (più umida e piovosa) o a quella
pacifica (più calda o soleggiata), in entrambi i casi verso spiagge infinite
contornate dalle palme e a un mare bellissimo. Al largo non mancano le barriere
coralline. Per fortuna (è la mia personale opinione) tutto questo sembrava allora non bastare per rendere il Costa
Rica una destinazione famosa e richiesta, forse perché al turista medio la
natura interessa solo in cartolina o nei filmati del National Geographic e le
spiagge incontaminate, senza discoteche, bar e ristoranti e giochi per i
bambini, attirano poco. Ma per noi questo fu un motivo in più per andare. Spero
sia ancora così.
PS:
in Costa Rica si va solo se si ama e si è interessati alla natura nelle sue più
belle manifestazioni, in tutti gli altri casi si vada da un’altra parte
El Contacto. Una dura esperienza. Non mi era mai capitato di entrare in una banca convinto di entrare in un museo. Fu quello che mi accadde a San Josè, la capitale, quando andammo a visitare il Museo de Oro Precolombino, installato sotto il Banco Central che ne era il proprietario. Per accedervi si doveva attraversare un ingresso che museo e banca condividevano, quindi scendere nel sottosuolo come se si entrasse in un caveau e infine sottoporsi a controlli tanto minuziosi che ritenni eccessivi anche per una banca.
La spiegazione arrivò quando entrai nella più spettacolare esposizione di manufatti in oro di origine precolombiana che avessi mai visto.
Il museo era moderno, luminoso e faceva della visita un percorso entusiasmante attraverso la cultura e l’arte delle civiltà che precedettero l’arrivo degli Europei nel nuovo mondo. Sbalordivano la quantità e la qualità dei pezzi in oro e altri metalli preziosi esposti: monili, pettorali, bracciali, copricapo, oggetti ornamentali e di uso comune.
Erano stati creati da popoli che vivevano in profonda armonia con la natura e questo spiegava la presenza dei tanti pezzi che rappresentavano animali. Avevo di fronte agli occhi tutta la fauna della regione, dagli uccelli ai mammiferi, dai pesci ai serpenti. Seguendo un percorso storico e temporale l’esposizione partiva dai primi secoli dell’era cristiana fino all’arrivo degli spagnoli, periodo a cui appartenevano gli oggetti più belli.
Giunto alla fine della visita varcai la soglia dell’ultima sala. Subito pensai di avere sbagliato percorso e di essere finito per errore in un magazzino o in una sala destinata ad utilizzi futuri, perché era spoglia e poco illuminata, come se fosse in allestimento. C’era solo una vetrina addossata alla parete accanto all’uscita. Andai ad osservare e vi trovai esposti specchietti, perline colorate e ciondoli, le cianfrusaglie che i conquistatori donavano ai nativi in cambio dei tesori che mi avevano appena incantato. Ancora convinto di avere sbagliato percorso, alzai gli occhi al cartello che riportava il titolo della sala e vi lessi il numero successivo a quello dell’ultima che avevo visitato. Nessun errore quindi, il percorso era giusto. Come gli altri, anche quel cartello, oltre al numero della sala, riportava il tema a cui si riferivano le opere esposte ed il periodo storico. Ed il tema della sala, l’ultima del museo, era agghiacciante: el contacto, il contatto.
Era il modo più nobile e dignitoso per sputare in faccia agli Europei per i loro passati misfatti. Nessuna lacrimevole autocommiserazione sulle infamie subite, solo quella sala squallida e vuota, a parte le perline. Al visitatore il compito di porre a confronto quelle miserie con la sublime bellezza e lo splendore delle sale precedenti. Dopo di ché ci fu il contatto con i conquistatori, il morbo letale.
Me ne andai dal museo in silenzio.
Centro di salvataggio “Las Pumas”: Era triste guardare gli
animali richiusi nei recinti. I recinti quasi non si vedevano, nascosti come erano
dall’esuberanza delle foresta, tuttavia gli animali non erano liberi.
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Giaguaro al centro di salvataggio "las Pumas", Costa Rica |
Ma la tristezza
passava quando consideravamo che i recinti non erano quelli di uno zoo (altrimenti
mica ci saremmo andati!): erano quelli del centro di recupero di animali feriti
o rimasti orfani di “Las Pumas” vicino a Cañas. Un ricovero, quindi, un
ospedale per animali bisognosi che, quando possibile, venivano poi rimessi in
libertà. Un centro che vale la pena visitare. Nel centro ho potuto guardare
negli occhi bellissimi felini che in vita mia non avevo mai visto: giaguari, margay e tigrilli (questi ultimi sono grossi gatti selvatici). Anche gli
uccelli ospitati erano numerosi. Mi ricordo che mentre guardavo un tigrillo accoccolato su un ramo, pensavo
come potesse un animale tanto piccolo e dolce terrorizzare la vita e i sogni di
Antonio Josè, il protagonista del “Vecchio che leggeva romanzi d’amore” di
Sepùlveda. Andandomene augurai lunga vita al Centro di salvataggio “La Pumas”
che, oltre al suo nobile scopo, ci diede la possibilità di vedere animali così
rari ed elusivi che altrove molto difficilmente saremmo riusciti a vedere. Per
entrambi i motivi contribuimmo al mantenimento del centro con una discreta
sommetta.
Ho visto il quetzal! Tanto entusiasmo per l'unità monetaria del
Guatemala, in corso dal 1925? Ma no! L’entusiasmo è per l’omonimo spettacolare
uccello che è il simbolo del Guatemala, il quetzal appunto. Che in Guatemala qualche
anno prima avevamo cercato invano, visto che lo si dava ormai per estinto. Ma
in Costa Rica qualche esemplare era possibile ancora vederlo. Bisognava
arrampicarsi su Cerro de la Muerte
(sic!) a 3.000 metri nel parco nazionale
di Chirripò. Un po’ scomodo, ma ne valse assolutamente la pena: cercare il
quetzal, vederlo conoscendo il carico storico ed emotivo che si porta dietro questo
uccello simbolo fu una grande emozione.
Nell'antica cultura maya le piume della coda del quetzal
erano utilizzate come moneta. Da qui la denominazione della moneta nazionale guatemalteca
quando l’uccello viveva ancora nelle foreste di quel paese. E capisco anche il loro
rammarico per averlo perduto.
Quetzalcoatl era uno degli dei più importanti nel pantheon azteco. Secondo
alcuni significa letteralmente serpente con piume di quetzal (guarda un po’) e
questo rimanda a qualcosa di divino o prezioso. Che sia vero o no, si spiega il
mio entusiasmo per essere riuscito infine a vedere questo meraviglioso uccello.
Ma vederlo e fotografarlo non fu la stessa cosa. Gli alberi della foresta erano
molto alti, il quetzal si nascondeva tra i rami e le foto erano difficili. Per
questo, per la prima volta nella vita di questo blog, carico anche una foto del
quetzal non mia, presa da Internet, che cito e ringrazio. Le mie le trovate
nella sezione delle foto del viaggio in Costa Rica.
Caño Negro Wildlife Refuge. Riserva naturale poco frequentata, al confine
col Nicaragua, ma splendida. Il rio Frio scende dalle montagne, la attraversa e
va a sfociare nel grande Lago de Nicaragua nell’omonimo paese. Navigando sul
fiume eravamo circondati dalla foresta pluviale, con retorica si potrebbe dire
impenetrabile. Sembrava di vivere nelle pagine di Cuore di tenebra di Joseph Conrad e di risalire il fiume Congo.
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Caimano al Wildlife Refuge Caño Negro, Costa Rica |
In
realtà il rio Frio scorreva attraverso grandi tenute coltivate che lasciavano alla
foresta solo pochi chilometri attorno al fiume. Tuttavia questo era sufficiente
a mantenere una fauna straordinaria, tutta a portata di barca. A parte i grandi
felini di cui dubitavo le presenza, ma che dicono esserci: avvoltoi, aironi di
ogni specie, molte varietà di martin pescatori, cormorani, aninghe… e poi bradipi tridattili, caimani, basilischi.
L’albero delle iguane. Dalle parti di Muellen c’era un ponte che scavalcava un piccolo
fiume contornato di alberi altissimi. Le loro chiome arrivano all’altezza del
ponte e sui rami a pochi metri dalle spallette del ponte sonnecchiavano e prendevano
il sole decine di iguane verdi. Sembravano i frutti dell’albero nonostante le
loro dimensioni (più di un metro di lunghezza).
Erano abituate all’uomo al punto che si avventuravano sulla strada e tra i tavoli del bar lì accanto. Erano assolutamente rispettate e quindi loro non temevano l’uomo. Tutti si fermavano per godere dello spettacolo raro e straordinario. Molto divertente
Corcovado Nat. Park. Il parco più bello, il più vasto e remoto del paese. Difficile da
raggiungere. Un’intera penisola protesa nel Pacifico quasi ai confini con Panama.
Un’immensa foresta ancora pressoché integra, allora quasi priva di possibili
sistemazioni che non fossero un paio di campi tendati posti sui confini. Per
poter entrare un po’ all’interno partivamo dal campeggio in barca per sbarcare presso
una stazione dei ranger dopo una mezz’ora di navigazione lungo la costa. Il
caldo non aiutava, qualsiasi sentiero era un’arrampicava, ma per un amante
della natura, un esperienza fantastica. Il Corcovado è il regno del giaguaro e
del puma, ma solo i ranger più fortunati potevano vantare qualche avvistamento sporadico
e, soprattutto, notturno. Noi quindi non avevamo speranze e allora ringraziai gli
“avvistamenti” avuti nel centro di salvataggio di Las Pumas. Ma non mancammo di
vedere i rari ara macao e i tucani, ancora più rari. E poi una
famigliola di agouti, un buffo
roditore, una specie di incrocio maggiorato tra un coniglio, un topo e uno
scoiattolo, diversi cedo cappuccino,
una scimmia con la testa e le spalle completamente bianche. Infine molte specie
di uccelli e le enormi e meravigliose farfalle
morpho (apertura alare: 15/20
centimetri). Insomma un parco indimenticabile tra i più belli che abbia mai
visitato.
La “arribada”
(l’arrivo). L’arrivo
del 1995 sulla spiaggia Ostional viene ricordata come la più numerosa della
storia. Di cosa si tratta? Dello sbarco di decine di migliaia di tartarughe Olive Ridley che (specialmente in estate)
convergono qui (e in pochi altri luoghi al mondo) per deporre le loro uova. Date un
occhiata al filmato per avere un’idea che mi spinge a dire che l’evento da solo
vale il viaggio https://youtu.be/B9Y_R2GvAaI.
Sapevamo
che non era il periodo giusto, ma tentare non nuoce. Levataccia alle 2 del
mattino, camminata faticosa (ma bellissima) di 4 ore sulla spiaggia per
arrivare all’alba, il momento più proficuo. Non ci andò bene, purtroppo, non arrivò
una sola tartaruga. Potemmo però renderci conto delle dimensioni del fenomeno osservando
il tappeto di gusci di uova che copriva la spiaggia per chilometri. Alle uova
infatti (oltre agli abitanti locali che depredano i nidi) si interessano anche
gli avvoltoi urubù e gli sciacalli
che scavano i nidi e consumano le uova sul posto.
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