lunedì 28 gennaio 2019

Viaggio in FLORIDA

Art Deco a Miami Beach, Florida, USA
Stato attraversato: Florida (USA)
Itinerario: Miami Beach, Miami, S. Agustine, S. Petersburg, Everglades City,
Everglades Nat. Park, Key West, Miami)
Periodo: dicembre 2005-gennaio 2006
Durata: 2 settimane
Ne parlo nel libro: Ci sono posti così

Dicono che la Florida sia lo stato USA dell’estate perenne, del sole e del mare, dove tutti quelli che possono vanno a svernare o vivere quando vanno in pensione. Ed è vero. E’ anche lo stato del divertimento, tipico americano, di Orlando e Disney World e i loro demenziali intrattenimenti che noi abbiamo accuratamente evitato. E’ anche lo Stato dei brividi astronautici, perché ospita Cape Canaveral che a noi non interessava, anche perché al momento non c’erano lanci in programma. Quindi, mi si potrebbe chiedere, perché la Florida? Perché è uno stato che offre molto, oltre al sole e alle spiagge: il deco di Miami Beach, il bellissimo parco degli Everglades e infine le meravigliose Key (la serie di isole che si buttano verso sud nel golfo del Messico e che un unico ponte lega alla terraferma come un guinzaglio) e la commovente Key West.


Un museo deco all’aria aperta. Si scrive Miami, che non è un granché, ma si  pronuncia Miami Beach, una striscia di sabbia che il mare separa dalla terraferma di fronte alla metropoli. E’ un miracolo di salvaguardia di storia e architettura in un paese (gli USA) non interessati al passato e alla memoria. Nel 1926 un uragano rase al suolo Miami Beach che venne ricostruita con lo stile allora in auge: l’Art deco. Sopravvissuta all’uragano la città corse il rischio di sparire negli anni cinquanta, quando si rese necessario ristrutturare molti palazzi. I “palazzinari”, intuendo la strategica importanza commerciale e turistica del luogo, pensavano di buttar giù tutto per ricostruire da zero. Iniziò così la battaglia culturale e legale per la sua salvaguardia e alla lunga vinse l’idea di risparmiare e valorizzare la spettacolare e unica bellezza di quello che oggi si chiama “Distretto dell'Art Déco di Miami”.

Art Deco a Miami Beach, Florida, USA
Trovammo la maggior parte degli edifici (datati fra la metà degli anni ‘20 e il 1950) rinnovati e ristrutturati. Questi edifici in stile Art déco si caratterizzano soprattutto per le loro tipiche forme geometriche (con o senza angoli arrotondati); colpiscono soprattutto gli ornamenti, con uno scopo più decorativa che funzionale. Mostrano grande attenzione ai dettagli: pavimenti in porcellana o terracotta, colori tropicali e toni pastello, linee parallele, bassorilievi e insegne con luci al neon. Perfino le cabine dei bagnini sulla spiaggia sono dell'epoca, tutte anch'esse ristrutturate. Uno spettacolo da godere con calma e attenzione.







Everglades Nat. Park. C’è un grande lago nel centro della Florida: il lago Okeechobee. Quando nella stagione delle piogge (novembre – marzo) il lago esonda, le acque fluiscono lentamente verso sud e vanno a alimentare un'ampia area umida. Qui prospera una fauna molto varia nella quale primeggiano gli alligatori: l’Everglades National Park.

Alligatore del Mississipi, Everglades Nat. Park,
Florida, USA








In ragione della tipicità dell’ambiente naturale il parco ospita soprattutto un’incredibile varietà di uccelli.

Cormorano, Everglades Nat. Park, Florida, USA
Un mondo spettacolare la cui esistenza risulta quasi inspiegabile se consideriamo la sua vastità e la vicinanza (poche decine di chilometri) dalla megalopoli di Miami. E infatti la necessità, in aumento, di acqua della città mette in pericolo la sopravvivenza stessa del parco che vive in un delicatissimo equilibrio tra terra e acqua. Un equilibrio fragilissimo, perché l’acqua copre grandi estensioni ma con poca profondità. Basta poco. Durante la nostra visita, infatti, anche se il periodo secco in parte poteva giustificare, vaste aree mostravano un’aridità sospetta che forse non dipendeva dalla stagione ma dai prelievi sempre più consistenti. Già allora comunque erano in corso progetti per la salvaguardia e il mantenimento del parco. Speriamo bene.   

L’uragano Katrina (agosto 2005). La Lousiana fu lo stato più colpito dall'uragano catalogato come il più grave della storia degli Stati Uniti. La città più colpita da Katrina, fu New Orleans, una delle principali città della costa: fra la fine di agosto e l’inizio di settembre l’80 per cento della città finì sott’acqua.
La copertina di ZEITUNG,
di Dave Eggers
Ma anche la Florida non se la passò molto meglio. A distanza di qualche mese, i danni erano ancora evidenti a Everglades City. Facevano impressione. In fondo al corridoio del primo piano dell’albergo dove alloggiavamo nei giorni delle visite al parco degli Everglades, l’unico del paese, di fianco alla porta della nostra camera, era appesa una pesante tenda di plastica. Curioso la spostai, volevo vedere cosa c’era dietro. Dietro c’era il vuoto, un altro passo e sarei precipitato in giardino. Katrina si era portata via non solo la parete, ma l’intera ala sud dell’albergo. Per questo avevamo faticato a trovare una camera libera.

Mentre sistemavo le foto e i testi del viaggio per il Blog, mi sono imbattuto in un libro che non conoscevo: "Zeitoun" di Dave Eggers, autore a me già noto per aver letto il suo splendido "Il cerchio", che consiglio. Narra la storia di una famiglia di New Orleans che subisce la tragedia, e gli abusi delle stato, difendendo la sua vita dall'uragano. Una storia vera. Consiglio anche questo.
“E’ un gran bel localino, Bob!” (Capodanno country). Ricordate la celebre battuta di Jake (The Blue’s Brothers) quando si complimenta con il padrone del Bob’s Country Bunker? Conosco questi tipici, fantastici locali americani, ma ogni volta che vi metto piede vengo sempre colto da stupore, curiosità e, in fondo, interesse.

Orchestrina country, capodanno a Everglades City, Florida, USA

Eravamo ad Everlades City, l’ultimo dell’anno. Per aspettare il 2006 non c’erano alternative a quel locale che mi ricordava il localino di Bob. Stessa musica (country), qualcuno con il cappello da cowboy e cravattino di cuoio alla John Wayne, camice con vistosi ricami. Non c’erano più di quindici persone, orchestra compresa. Sorpresi dalla nostra presenza, i pochi presenti furono gentilissimi con noi. Festeggiammo tutti insieme. Passai almeno mezz’ora per tentare di capire il funzionamento di una macchina elettromeccanica che serviva per votare, mi dissero, senza riuscirci nonostante le spiegazioni che mi fornirono. Sembrava un juke box. Serata indimenticabile.

Quanto sei vicina Cuba! A Key West c’è una specie di boa di cemento alta due metri bianca e rossa in riva la mare. È un monumento di quelli che gli americani, che amano le statistiche e i primati (il più alto, il più lungo, il più…), adorano. Questo insignificante piolo piantato sul marciapiedi indica il punto più a sud degli Stati Uniti continentali.
La definirei un’informazione alquanto inutile, se non fosse che il monumento, per la potente comunità dei fuoriusciti cubani di Miami, ha mutato nel tempo in politico il suo significato geografico. Quello non era solo il punto più a sud degli Stati Uniti continentali, ma anche il più vicino a Cuba, solo novanta miglia. E da là sognavano un improbabile rientro in patria e la rivincita sull’odiato Fidel Castro. Oggi che Fidel se n’è andato, chissà cosa provano per quel luogo carico di significato.

Le galline di Key West. Non avrei mai immaginato di incontrare tante galline per le strade di una città, fuori da un pollaio. Protette dalla legge e rispettate da tutti, andavano in giro razzolando su Duval Street, la via più elegante della città, entravano ed uscivano con disinvoltura dai negozi del centro. Cercavo di immaginarmele a Bologna in un negozio di galleria Cavour (Luis Vitton, ad esempio), a Milano in via Montenapoleone, a Roma in via Condotti: la reazione dei clienti, lo stupore dei commessi.


Galli e galline a passeggio in Duval Street, Key West, Florida, USA

Perché questo è più o meno il livello. Le auto si fermavano per lasciarle attraversare la strada. Sembra che siano liberi discendenti dai galli da combattimento portati dai cubani. Era una presenza simpatica ed ero contento per loro, forse le uniche galline al mondo non destinate alla pentola.

Le invasioni barbariche. L’avevo visto a Tallin (Estonia), a Loreto (Bassa California) e l’ho rivisto a Key West. Capita ogni giorno anche a Venezia, ma in una città intossicata da milioni di turisti, cosa volete che faccia qualche migliaio in più o in meno di persone? Invece in cittadine di poche decina di migliaia di abitanti e pochi turisti, cinquemila arrivi improvvisi, vomitati da una supernave da crociera, hanno un impatto devastante. Si aggirano in gruppi di 10 o venti alla volta, frettolosi. Per fortuna rimangono concentrati in zone circoscritte, come se un filo invisibile li obbligasse a non allontanarsi troppo della nave. Hanno poco tempo, hanno fretta, invadono ristoranti e bar, negozi e marciapiedi. Sconvolgono la vita della città come uno tsunami. Bisogna solo aspettare qualche ora: torneranno presto a bordo e se ne andranno ad aggredire un altro luogo, bello e incolpevole.
Passato il tornado, finalmente potemmo tornare a goderci Key West… fino all’arrivo della crociera successiva.

Key West AIDS Memorial.
La guida dedicava al luogo poche righe, queste: “Al termine di White Street in direzione dell’oceano c’è un sobrio monumento commemorativo ai malati di AIDS composto da lastre di granito sulle quali sono stati incisi i nomi di coloro che sono scomparsi a Key West”. L’indicazione, secondo me un po’ scarna, raccontava una terribile storia che merita altri dettagli. Le lastre erano installate a terra, al livello del piano stradale, gravate dal peso dei nomi più che del granito. Alla fine di White Street era là che il monumento accoglieva il visitatore, là si presentava: KEY WEST AIDS MEMORIAL. Davvero il monumento era sobrio, come annunciava la guida: nessuna scultura, nulla di roboante, altari o cippi, solo le lastre di granito e i nomi. Nulla, nessun cimelio impediva allo sguardo di spaziare oltre il monumento, nessuna curiosità imponeva una sosta, anche breve, al visitatore che, anzi, sembrava esortato a transitare sui nomi, perfino senza scendere dalla bicicletta, volendo, e a proseguire. Sullo sfondo una fila di palme mosse dalla brezza, al di là delle palme il blu dell’oceano.
Il monumento ricordava, per chi l’avesse dimenticata, la storia drammatica dell’AIDS in modo delicato, garbato e senza eccessi. Testimoniava di una città ancora ferita, quasi esausta, che faticava ad uscire dal dramma o forse non desiderava farlo per non dimenticare.  
Quando fu inaugurato il memoriale riportava 730 nomi, al momento del nostro viaggio i nomi erano arrivati a mille. Un memoriale alla vittime dell’AIDS esiste in molte città, il morbo colpì duro ovunque, ma a Key West le circostanze furono molto diverse. Perché più dei numeri occorre considerare le proporzioni: il conto delle vittime, per quanto inaccettabile, può sembrare contenuto in confronto ad altre tragedie - guerre, terremoti… - che hanno segnato la nostra storia, ma un migliaio di vittime su una popolazione di circa venticinquemila abitanti, equivale a quindicimila persone in una città come Bologna! Numeri sconvolgenti, da peste manzoniana.

Nessun commento:

Posta un commento