venerdì 3 ottobre 2025

Viaggio nella Grecia del Nord

Il monastero Roussanou,
Meteore, Grecia
Paese: Grecia

Itinerario: Tessalonica, Zagòri (parco Pindo), Ioànnina, monasteri delle Meteore, Verghina (tombe reali di Filippo II macedone), Palatitsia, Tessalonica

Periodo: settembre 2025

Durata: 2 settimane

Attraversai la Grecia del nord cinquant’anni fa e ne approfittai per fare un giro tra i monasteri delle Meteore senza però entrare in nessuno di essi. A quei tempi, dopo cinque secoli di storia (erano stati fondati tra il ‘300 e il ‘500), avevano raggiunto un triste livello di degrado e di abbandono, pochissimi erano attivi. Noi, in aggiunta, non avevamo tempo, eravamo diretti altrove e, appunto, mi sembrarono malmessi, quasi abbandonati, sicuramente bisognosi di pesanti restauri e non suscitarono in me un grande entusiasmo. 

Nel tempo però la situazione è cambiata: i monasteri delle Meteore sono tornati lentamente, almeno in parte, all’antico splendore. Inoltre è stata scoperta (1977) e resa accessibile al pubblico, la stupefacente tomba dei Filippo II il macedone, il padre di Alessandro Magno. Una visita da non perdere, quella della Grecia del nord, e già questi due fatti mio sono sembrati più che sufficienti per partire, ma, come vedremo in seguito, ne ho trovato altri.

L’incredibile chiesa di S. Demetrio a Palatitsia.

La mia guida non la nomina nemmeno, ma un amico mi ha parlato entusiasta della chiesa di San Demetrio di Palatitsia. Il navigatore però sapeva dov’è e seguendo le sue indicazione ho raggiungo il piccolo, insignificante paese che, tra ulivi e vigneti, la ospita. Vedendola da lontano ho capito l’anonimato che la isola: è piccola, bassa e in pietra grigia, sembra un capanno degli attrezzi, solo una abbozzo di abside può suggerire dall’esterno che sia una chiesa. Anche la presenza di una custode che presidiava l’ingresso mi sembrava un’attenzione esagerata. Sono entrato… una frustata. Sono rimasto sbalordito dalla quantità e la ricchezza degli affreschi e delle pitture straordinariamente conservate su ogni parte della chiesa, sulle pareti, sull’abside, sulle travi di legno, sul soffitto. Una emozione profonda per una clamorosa scoperta poco nota e infatti eravamo i soli a visitarla, accompagnati dalla custode, una ragazza competente e disponibile a farci conoscere quel capolavoro.

Ero in una chiesa greca e i soggetti rappresentati dagli affreschi erano un esempio esaltante della iconografia classica della chiesa ortodossa, potrei dire standard: santi, martiri, scene dalla Bibbia e del Vangelo tra le quali il Giudizio Universale, di gran lunga la più frequente qui come nelle chiese dei monasteri delle Meteore e di Monte Athos. Su indicazione della custode e con grande sorpresa ho individuato su una parete anche Alessandro Magno (!) seduto in trono. Inutile stupirsi, ero in Macedonia e qui il grande re macedone, fin dalla su morte, ha subito un processo di santificazione, ingiustificato dal punto di vista canonico, ma molto popolare.

Gli affreschi della chiesa di S. Demetrio, Palatitsia, Grecia

La chiesa di San Demetrio di Palatitsia è del XVI secolo, quando, ad esempio, in Italia il Rinascimento aveva già mostrato i suoi capolavori e la perfezione tecnica e artistica di Piero della Francesca, Botticelli, Raffaello e dei colleghi pittori, mentre gli affreschi di questa chiesa, pur successivi, presentavano ancora la staticità tipica dell’arte bizantina, figure monodimensionali prive di profondità e prospettiva. Perché quindi tanto entusiasmo da parte mia? Credo che il motivo fosse nel riconoscere nelle pitture che avevo di fronte un trasporto emotivo e passionale, un “pathos religioso” che forse non riscontro nelle opere dei suddetti sopra nominati, anche se tecnicamente di bravura incomparabile. La chiesa di San Demetrio di Palatitsia: secondo me una tappa da non perdere.

Il sorprendente Zagòri. Nel nord-ovest della Grecia si estende il parco nazionale del Pindo, all’interno del quale, a oriente poco a nord di Ioànnina, si trova la vasta area di Zagòri. Siamo nella regione più estrema del paese, isolata, ai confini con l’Albania. Poco interessante anche per l’impero turco che la governò per secoli fino alla prima guerra mondiale e le concesse una certa autonomia amministrativa contribuendo, anche in questo modo, al suo isolamento. Commercio, pastorizia e agricoltura le consentirono di sopravvivere. Zagòri è un’area montuosa coperta di foreste dalle quali spunta qualche cima che supera i duemila metri, ma soprattutto vi spuntano le case di 46 piccoli paesi (oggi patrimonio UNESCO) costruiti su 2-3 piani in blocchi di pietra bianca facilmente reperibile sul posto. Stessa identica architettura e stesso materiale di costruzione per tutti i paesi.

Il villaggio di Monodendri, Zagòri (Parco del Pindo), Grecia

Nel ‘900 questi piccoli paesi di montagna, dove la vita è sempre stata molto dura, hanno subito, come è ovvio, l’inesorabile fenomeno dello spopolamento degli abitanti verso le città, come in Italia e in molti altri paesi. Alcuni furono letteralmente abbandonati. E l’oblio li sequestrò… fino a quando dalla fine del secolo scorso, prima che un malinteso senso di “sviluppo”, che noi italiani ben conosciamo, fatto di costruzioni, strade, edilizia potesse impossessarsene, ci si rese conto quale fosse il vero valore di questa regione e gli antichi proprietari delle case cominciarono a tornare per fare della regione un incredibile santuario della natura. Ristrutturarono le case e ne fecero degli accoglienti B&G, guest house, ristoranti, caffe, piccoli negozi per accogliere, in uno scenario unico, un turismo rispettoso in cerca di pace, silenzio, buon cibo e lunghe passeggiate. E hanno vinto la scommessa. Cosa c’è di diverso dal solito, direte voi? Hanno puntato sul turismo, l’hanno fatto in tanti posti, anche in Italia. C’è di diverso che in Zagòri, non c’è una casa (nuova o ristrutturata che sia) fuori dal perimetro di un paese e che sia di architettura e materiale diversi da quelli di tutta la regione. Cioè non è stato effettuato nessun insediamento, nuove case, nuovi alberghi… Qui non è stata costruita nessuna nuova strada o modifica di quelle che già c’erano, non è stato costruito un tunnel, un ponte, una tangenziale per agevolare il traffico, una scorciatoia in più. Non sono stati costruiti supermercati o centri commerciali. E (udite! Udite!) non ho trovato una stazione di servizio in tutta l’area! Ovviamente le autostrade, le statali, i benzinai e i supermercati ci sono, ma sono fuori, per trovarli bisogna uscire, anche di pochi km, dalla regione. È come se lo “sviluppo” fosse stato lasciato fuori. Non ha senso quindi attraversare Zagòri per andare da est a ovest o da nord a sud, migliaia di curve farebbero perdere troppo, a Zagòri si entra per restarci un po’ e poi uscire. Dico “entrare e uscire” a ragion veduta: in effetti sembra di essere in una enclave. E la gente che entra per restare un po’ e poi uscire aumenta ogni anno e, sono sicuro, aumenterà in futuro. Qui hanno trovato la chiave del successo, il futuro del turismo credo sia questo. Non ci sono solo foresta, innumerevoli sentieri e bianchi villaggi a Zagòri, ci sono anche molti fiumi e torrenti che il cambiamento climatico sta mettendo in crisi (io li ho trovati tutti in secca, spero per la stagione). E ci sono anche i ponti che servirebbero ad attraversarli.

Il ponte a tre archi Plakida, Zagòri (Parco del Pindo), Grecia

Come i paesi hanno alcuni secoli sulle spalle, ma svolgono ancora il lor compito. Certo le strade importanti non li attraversano più, ma i sentieri sì. Sono i classici ponti a schiena d’asino, a una, due o tre arcate che ho visto ovunque nel mondo, ma qui, inseriti nel loro ambiente storico quasi non modificato dall’uomo, mi sono apparsi silenziosi e orgogliosi testimoni di un passato che si rifiuta di scomparire.

Sono tutti affascinanti, ma se dovessi scegliere i più belli direi: Papigo, Vikos, Dilofo, Koukouli, Kapesovo e Vradeto.

Fra i ponti sceglierei quallo di Plakida

I monasteri delle Meteore.

Questa volta ho trovato i monasteri ben messi, perfettamente ristrutturati e organizzati, ma ho scoperto che solo sei sono oggi visitabili, ospitano solo una sessantina di monaci e che, per poter sopravvivere, sono stati quasi tutti statalizzati a scopo turistico e, di conseguenza, richiamano inevitabilmente folle di visitatori. Troppi, anche se, ad onor del vero, a volte si trattava di turismo religioso. Comportamenti e abbigliamenti quasi sempre lo negavano, ma nei monasteri (soprattutto in quello di Santo Stefano) si aggiravano parecchi pellegrini di fede ortodossa, soprattutto russi.

I monastero di Roussanou e sullo sfondo quello di Varlaam, Meteore, Grecia

Il luogo è sempre incomparabile, i picchi rocciosi su cui svettano, levigati dal tempo e dalla pioggia, mi hanno stupito questa come la prima volta, ma ho visto anche l’unica strada che li collega tutti intasata di auto e pullman.  Mi sono comunque inerpicato lungo gli infiniti gradini che li raggiungono e ho cercato di godermi le visite. Cercando di tenermi lontano dai gruppi più fastidiosi, ho visitato i musei che in quasi tutti i monasteri sono stati allestiti e che presentano capolavori indiscutibili: paramenti sacri, strumenti liturgici, icone e, soprattutto manoscritti e libri antichi. Provando ad appartarmi (si fa per dire) negli angoli meno frequentati dei monasteri ho potuto godermi i dettagli: una terrazza illuminata dal sole che si apriva sui maestosi picchi che svettavano sui paesi di Kalambata o Kastraki che si scorgevano ai loro piedi, oppure una antica cantina ancora in opera, oppure il funzionamento dell’argano che i monaci azionavano a mano per issare le cose e loro stessi dal basso fino al monastero. Ho cercato di entrare nei monasteri nelle ore meno affollate (all’apertura, all’ora di pranzo quando i gruppi vengono accompagnati al ristorante, poco prima della chiusura) regalandomi visite abbastanza tranquille. Nonostante avessi deciso di non farlo, non riuscivo a scacciare dalla mente e dal cuore il ricordo del pellegrinaggio che feci ai monasteri di Monte Athos (era il 1976), sempre in Grecia, poco tempo dopo essere passato per le Meteore la prima volta. Per descrivere meglio il mio stato d’animo del momento suggerisco di leggere questo racconto che ho scritto dopo l’esperienza sul Monte Santo, anche per un non credente come me: https://www.ilblogdiviocavrini.com/2014/05/monte-athos-grecia.html.

Il monasteri delle Meteore sono molto simili e più o meno contemporanei a quelli di Monte Athos, molti pittori e altre maestranze lavorarono in entrambi i luoghi, eppure le due esperienze sono state talmente diverse e profonde che forse non possano essere giustificate solo dai pur lunghi anni che separano le due visite.

Gli affreschi della chiesa del monastero della Santa Triade, Meteore, Grecia

Nonostante questo, mi sono emozionato davanti agli spettacolari affreschi per i quali potrei ripetere gli stesse osservazioni fatte a proposito della chiesa di Palatitsia (vedi sopra). Anche qui ho ritrovato l’iconografia classica della chiesa ortodossa: teorie di santi e stragi di martiri giustiziati nei modi e con i mezzi più disparati e assurdi, scene del Vangelo e l’immancabile il Giudizio Universale. Mi colpivano soprattutto le scene dei supplizi dei martiri, non tanto per i soggetti che si ripetevano da un monastero all’altro, ma per il replicarsi dei modi, dei volti, delle posture dei personaggi. Mi sorprendeva la serenità dei giustiziati e l’impassibilità dei carnefici: nessuna paura nei primi, nessun senso di colpa nei secondi. Poi mi dicevo: giusto, secondo la dottrina cristiana gli uni e gli altri sono strumenti incolpevoli del progetto di Dio: la salvezza dell’uomo. E per fare un martire, è ovvio, serve un carnefice. Nei tre giorni di visita non son mancati quindi momenti di vera commozione, come quando, entrando al Grande Mateora, abbiamo trovato ad accoglierci, dopo la faticata per salire al monastero, una cesta di pane di benvenuto per tutti i pellegrini, molto buono, fatto in casa, anzi in monastero. L’abbiamo condiviso con due gatti affamati (madre e figlio) che scorrazzavano insieme con altri nel cortile (vedi dopo al capitolo sui gatti e sui cani).

C’è una classifica di bellezza dei monasteri? Direi di no, anche se, dovendo scegliere, tra i sei visitabili (Grande Meteora, Varlaam, Santa Triade, Santo Stefano, San Nicola, e Roussanou) eleggerei quest’ultimo come più bello.

Le tombe reali macedoni (Verghina).

Sembra una piccola, normale collinetta, ma in realtà custodisce una delle più importanti scoperte archeologiche del ‘900: le tombe reali dei re macedoni, tra le quali spicca quella di Filippo II, il padre di Alessandro Magno. La sua strana forma attirò l’attenzione degli archeologhi fin dall’inizio del secolo scorso e gli scavi rivelarono la presenza di tombe che vennero attribuite, appunto ai monarchi macedoni.

La monumentale facciata della tomba di Filippo II, Verghina, Grecia

Depredate fin dall’antichità, queste sepolture hanno dovuto aspettare il 1977 per mostrare il ritrovamento più clamoroso che da allora ha fatto conoscere la loro collocazione (Vergina o Verghina) in tutto il mondo: la tomba di Filippo II, che risultò miracolosamente intatta! Quindi la scoperta di una tomba non depredata del più importate re di un regno del IV secolo a.C., che diede i natali ad Alessandro Magno, assume la medesima importanza della scoperta della tomba, anch’essa intatta, di Tutankhamon da parte di Howard Carter.

In origine le tombe di Verghina non furono scavate sotto terra, ma al livello del terreno e una volta costruite furono coperte di terra nel tentativo, fallito, di nasconderle agli assalti dei profanatori. Da qui nacque la collinetta e oggi sotto terra, nel ventre della collinetta, di fronte alle maestose facciate delle quattro tombe ancora visibili, è stato inaugurato un museo che raccoglie i reperti qui ritrovati, tra i quali primeggiano ovviamente quelli della sepoltura di Filippo II. Come ho detto, il museo è sotto terra, al buio e i reperti sono presentati alla luce artificiale. E questo conferisce al luogo un fascino particolare. In una condizione di generale penombra, che induce alla concentrazione e al riserbo, le luci, sapientemente posizionate, fanno risaltare i dettagli e i particolari di armi, suppellettili, teste di avorio, mobilio, cioè di quanto ha restituito l’inviolata sepoltura di Filippo a cui si aggiungono oggetti in oro, di eccezionale fattura: ossari lavorati a sbalzo, ghirlande e corone di foglie di quercia e medaglioni con la stella a 16 punte, il simbolo della stirpe reale.

La corona d'oro e l'urna che conteneva le ceneri di Filippo II, Verghina, Grecia

La visita alle tombe macedoni erano per noi l’obiettivo principale del viaggio e per questo le mie aspettative erano alte. Devo dire che l’incredibile e inaspettato livello dei reperti del sepolcro di Filippo II, lo strepitoso museo che li ospita, aggiunti alla controllata affluenza turistica (per quel giorno) me le ha fatte decisamente superare.

Tessalonica.

Tessalonica (o Salonicco) mi è sembrata caotica, piena di contrasti. Devo riferirmi alla sua lunga e caotica storia per confortare questa mia impressione. Fondata nel IV secolo a.C., fu macedone, romana, bizantina, saracena, turca, quindi, dopo la caduta dell’impero turco alla fine della prima guerra mondiale, indipendente. Un terribile incendio nel 1917 lasciò senza casa 73.000 persone, un grave terremoto colpì la città nel 1978. Poi il default economico e finanziario del paese, poi il Covid…

L’accavallarsi di questi eventi drammatici hanno lasciato ovviamente un segno pesante che si può costatare visitando, ad esempio, le antiche chiese bizantine, che diventarono moschee per poi tornare ad essere chiese; e ogni trasformazione ha comportato inevitabilmente distruzioni e rifacimenti non sempre parziali. Tuttavia ho avuto l’impressione la città abbia sempre cercato di reagire e lo stia facendo ancora oggi. Ad esempio, in seguito al devastante terremoto del 1917, con mezza città da riedificare, partì negli anni ’20 del secolo scorso, una ricostruzione che portò ad una discreta omogeneità architettonica che oggi possiamo ammirare in centro città, a cominciare dalla bellissima piazza Aristotele, che mostra nelle facciate di tutti i palazzi che la delimitano, un elegante stile liberty. Anche i principali monumenti romani, bizantini, ottomani sono stati sapientemente ristrutturati e gli ultimi restauri sono in corso.

A Tessalonica, città che in generale ha poco da offrire, spiccano alcuni gioielli che meritano senz’altro una visita:

1) Il grande arco dell’imperatore Galerio e la Rotonda (forse il mausoleo di Galerio stesso) provenienti dal periodo romano

2) Le chiese bizantine; alterate dalle trasformazioni subite dai Turchi quando furono trasformate in moschee, videro i loro splendidi mosaici rovinati dall’incendio del 1017 e dal terremoto del ’78. Tuttavia la tipica architettura bizantina spicca ancora oggi osservandone dall’esterno i massicci profili di pietra rossa

La chiesa bizantina di San Demetrio, Tessalinica, Grecia

3) Il bellissimo Museo Archeologico Nazionale, moderno ed efficiente, nel quale spicca la strepitosa sezione “L’oro dei Macedoni”. La visita a questa sezione del museo, come si suol dire, vale veramente il viaggio. Nella mia vita ricordo poche esposizioni di questo livello. Raccoglie una collezione incredibile di reperti, in parte provenienti dalle tombe di Verghina e in parte da altri scavi della Macedonia. Molti i reperti in oro, argento e avorio, tutti di ottima fattura. Da non perdere. 

Cani e gatti. Non ne sapevo nulla, prima di partire non avevo idea che avrei incontrato in Grecia un numero sorprendente di cani e di gatti. Li trovavo in giro ovunque: per le strade, nei negozi, nei siti archeologici e, ovviamente, nei bar e nei ristoranti. Ne ho incontrati anche nei monasteri delle Meteore! Ho letto che sono semi-randagi, alcuni sarebbero invece domestici in libertà. Giustamente si fidano poco dell’uomo, ma se li chiami si avvicinano titubanti sperando in un po’ di cibo. Se sei al ristorante o in un caffè e sbirci sotto i tavoli e le sedie è molto probabile che tu scorga un musetto che ti guarda supplichevole. Non sono malati o malmessi, anzi, sono solo un po’ troppo magri, segno che comunque ci sono associazioni di volontari che si occupano di loro. Tollerati senza problemi dai greci che ogni tanto mettono a loro disposizione per strada ciotole con crocchette o acqua da bere. Non conoscendo l’argomento non mi sono mai azzardato a dare loro cibo se non di nascosto, poi mi sono reso conto che avrei potuto essere più generoso, soprattutto di fronte a un gattino che mi guardava speranzoso accanto ad una ciotola vuota (vedi foto).


Giovane gatta in cerca di cibo, Verghina, Gracia


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