venerdì 15 gennaio 2016

Viaggio in INDOCINA (Tailandia, Laos, Cambogia)

Wat Mahathat a Phitsanaloke (Tailandia)
Paesi attraversati: Tailandia, Laos, Cambogia
Itinerario: 
in Tailandia: Bangkok, Ayutthaia, Phitsanaluk, Sukhothai, Chiang Mai, Tha Thon, Triangolo d’oro;
in Laos: Luang Namtha, Muang Sing, Muang Khua, Muang Ngoi, Louang Prabang, Vang Vieng, Vientiane,
in Cambogia: Phnom Penh, Kampong Thom, 
Sambor Prei Kuk, templi di Angkor, Koh Kher, Preah Viear, lago Tonle, Battambang
Periodo: novembre-dicembre 2015
Durata: 1 mese 
Ne parlo nel libro: Ci sono posti così

Un viaggio attraverso tre paesi simili tra loro e simili anche ai confinanti Birmania e Vietnam. Li separano infatti solo linee di confine che nei secoli sono stati spostati e modificati molte volte. Stessa religione, costumi simili e storia comune per secoli. 

L’impero Khmer ad esempio per alcune centinaia d’anni controllò quasi tutta l’attuale Indocina. Il Vietnam non lo conosco, ma in Birmania sono stato nel 2010, solo 5 anni fa. E allora facendo il confronto (complice anche una chiusura al mondo che il potere militare ha portato avanti fino a poco fa) la Birmania mi si mostrò più genuina e legata alle sue tradizioni, meno sconvolta da cinesi e globalizzazione selvaggia. In questo viaggio invece mi è risultato chiaro che sono arrivato con almeno 10 anni di ritardo.
Tuttavia, nonostante questo ritardo, ho potuto vedere che, oltre ad un balzo tecnologico impressionante (non c’è villaggio che non sia coperto dalla rete cellulare e non c’è locale o albergo appena decente che non abbia il wifi libero) questi paesi possono ancora mostrare al visitatore abitudini, cultura e religione tradizionale. Soprattutto nei villaggi “tribali” del nord della Tailandia e del Laos.

Antichi imperi: concentrato sui templi khmer della Cambogia non mi aspettavo un’archeologia di così alto livello in Tailandia, dove alcuni templi possono tranquillamente confrontarsi con quelli di Ankor. L’Indocina conobbe regni e splendori che si avvicendarono a distanza di poche decine di anni o di alcuni secoli, lasciandoci un arcipelago di capitali oggi trasformati in siti archeologici (si chiamano parchi storici) di altissimo livello. 


Le antiche capitali erano spesso isolate e protette da un sistema di canali e questo isolamento ha permesso di mantenere i siti (quasi tutti dichiarati patrimonio dell’UNESCO) protetti dal caotico espandersi delle città moderne. Cito solo i più importanti:
Ayuttaya, capitale del regno del Siam (XIV-XVIII secolo), dove dai campi sorgono grandiose rovine di palazzi e templi (molti ancora aperti al culto) in mattoni rossi, a testimonianza di un’antica grandezza.
Phitsanulok: vanta anch’essa una storia reale che vide il suo massimo splendore nel XIV-XV secolo. Ricordo questa città, oltre che per la sua archeologia, anche per due matrimoni (era domenica) ai quali fummo invitati con magnifico senso di ospitalità, uno di alto livello sociale (organizzato nel nostro albergo) l’altro più dimesso tenutosi in una casa privata. Colpiva in entrambi i casi la quantità di doni che gli inviatati offrivano agli sposi tra i quali spiccavano composizioni di fiori, foglie e frutta di clamorosa fattura, veri capolavori di origami.
Emozionante vedere, in una fonderia di statue, prendere a mazzate la camicia di argilla di una fusione in bronzo per vedere emergere a poco a poco il volto sorridente del Buddha.
Sukhothai: forse il centro più importate e certo il più bello. Fu capitale della Tailandia per un breve ma splendido periodo (1238-1376) sede della spettacolare loy krathong (vedi oltre)
Si Satchanalai: fondata nel XIII secolo dalla vicina Sukhothay, presenta rovine più tranquille e dimesse rispetto a quelle della città fondatrice, che tuttavia meritano una visita.

Loy Krathong, la festa delle luci: Una festa mancata. Rimarrà uno dei maggiori rammarichi della mia vita. Non conoscendone l’esistenza, non l’abbiamo prevista nella pianificazione del viaggio e siamo arrivati a Sukhothai (sede più importante della manifestazione) una settimana prima del dovuto, subendo anche la beffa di assistere ai preparativi senza poi goderci la festa. E’ una festa che si celebra ogni anno in tutta la Tailandia e oltre, durante al luna piena del dodicesimo mese del calendario lunare thai; nel nostro calendario significa generalmente novembre. La tradizione ebbe inizio a Sukhothai, ma a livello minore si può osservare anche altrove, anche in Laos. La Loy Kratong è l’occasione per lanciare in cielo lanterne sostenute da piccole mongolfiere di carta ad aria calda. Una delle feste più gioiose della tradizione thai e, secondo me, da non mancare in caso di un viaggio da quelle parti verso la fine dell’anno.
Date un'occhiata alle immagini. Da mangiarsi la mani.

Le popolazioni del nord e il triangolo d’oro: come detto, sono consapevole di essere arrivato tardi per poter apprezzare appieno la cultura e i costumi delle etnie che abitano nel nord della Tailandia e del Laos. La globalizzazione e la vicinanza della Cina stanno spazzando via tutto. Tuttavia dedicando tempo (noi siamo rimasti sette giorni) e attenzione se ne possono ancora trovare dei tratti significativi. Chiaro che gli abitanti di questa regione ormai vestono di massima all’occidentale, hanno i cellulari, tuttavia è ancora possibile incontrare donne e bambine che indossano i costumi tradizionali, l’artigianato rimane di ottima fattura e i villaggi continuano ad essere costituiti da case di legno su palafitte.
Si tratta di popoli giunti agli attuali insediamenti dopo secoli di peregrinazioni tra Cina, Birmania, Laos, Vietnam e Cambogia. Gente tollerata dai paesi che li ospitano prevalentemente con funzione di barriera contro i cinesi che premono ai confini. Sono poveri ma non miserabili, gli uomini passano la giornata nella foresta a caccia e per la legna. Al villaggio rimangono le donne ad occuparsi dei bambini e della attività artigianali, tra le quali, molto importante, la tessitura. Dopo la messa la bando della coltivazione del papavero destinato alla produzione dell’oppio, hanno dovuto, con grande difficoltà, riconvertirsi ad attività e coltivazioni legali, ma meno remunerative. Anche il controllo del taglio del legname pregiato (soprattutto tek) che ha devastato le foreste di queste montagne, ha limitato le loro attività.


Sgradevole l’idea tailandese di concentrare in un villaggio donne di alcune delle principali etnie della regione, una specie di villaggio di rappresentanza a beneficio dei turisti. A parte questo episodio spiacevole, abbiamo visitato parecchi villaggi abitati da: Karen, Hmong, Palong, Akha, Lisu, Mien, Thai, Khamu, Lanten, Mon. Vedere le foto. Come sempre scuole e scolari erano il nostro principale interesse.
Eravamo nel triangolo d’oro e, a ricordo delle storie sul traffico illegale dell’oppio, che ha procurato guerre (guerre dell’oppio) e devastazioni, oggi rimane il museo dell’oppio a Mae Sing (Tailandia), assolutamente da non perdere. La ricostruzione della storia di questa droga, lunga 5.000 anni e partita (sorpresa!!!) dall’Europa, è ben documentata.


Navigare: due giornate di navigazione sul fiume Ou e sul Mekong mi hanno fatto scoprire l’importanza per un paese (nel nostro caso il Laos) delle vie d’acqua. Esse significano comunicazione, commerci, storia. I due fiumi, soprattutto l’Ou, attraversano al nord zone montagnose e impervie, offrendo scorci panoramici spettacolari. Sulle sue rive sorgono alcuni dei villaggi isolati difficili da raggiungere via terra.

Cibi estremi: berreste un liquore al cobra? O alla tarantola? O alla scolopendra? E allo scorpione? Eppure bevete la grappa alla ruta o al pino. Vedete differenze? Io sono astemio e non bevo liquori e mi sono sentito autorizzato a rifiutare un assaggio di whiskey al cobra, atteggiamento che avrebbe tenuto, credo, anche un etilista incallito, se occidentale. La specializzazione di un villaggio che si chiama Xang Hai (Laos), ma è conosciuto come Lao Whiskey Village, è quella di produrre e vendere liquore di riso confezionato in bottiglie che contengono, ben disposti, gli animali sopra elencati. Quale sapore daranno al liquore?

Mangereste tarantole, cavallette, scarafaggioni lunghi 10 cm, coleotteri impressionanti per forma e dimensione? E altri insetti sconosciuti e di discrete dimensioni? No? Eppure mangiate i gamberetti e le lumache.
Insomma in Indocina ho fatto conoscenza con quello che chiamo ‘cibo estremo’ basato su insetti e coleotteri e che dovrebbe essere alla base dell’alimentazione dell’umanità del futuro, quando per fortuna spero di non esserci più.
Non pensate a cibo-spazzatura. Questi insetti si trovano sui banchi dei mercati più forniti (forse non in città, ma non ci giurerei), composti alla perfezione (come solo gli asiatici sanno fare) in confezioni da 6, 12 o 20 esemplari a seconda delle dimensioni. Il prezzo può essere elevato, perché sono considerate leccornie. In Tailandia, una specie di cicala costava 20 bhat, suppongo al kg, e 20 bhat erano più di mezzo €.

Monaci buddhisti: non siamo in Birmania e la religione in questi paesi mi è apparsa meno sentita o, quanto meno, meno praticata rispetto al paese confinante. Ho incontrato meno fedeli nei templi e nei monasteri. Anche i monaci sono meno numerosi e, all’apparenza, meno venerati dalla gente. I monasteri sono più poveri e modesti, alcuni anche abbastanza sporchi. Tuttavia il fascino delle cerimonie che si tengono giornalmente (verso il tramonto) in tutti i templi e alle quali tutti possono partecipare mantengono il fascino di sempre. E’ difficile non essere emotivamente coinvolti dall’atmosfera che si crea in questi momenti, con i canti e i mantra che sembrano scaturire dal nulla nella penombra della sera davanti alle statue del Buddha sorridente. Ci sarebbero alcune regole comportamentali da seguire durante le preghiere che gli occidentali di solito non conoscono o ignorano: non sopravanzare i monaci in direzione del Buddha (rimanere cioè dietro di loro), non sovrastarli (e quindi sedere a terra come loro), non tenere i piedi più avanti del corpo puntandola in direzione del Buddha e quindi tenerli sotto di sé (posizione faticosa e difficile se non si è abituati).
La processione di centinaia di monaci che all’alba di ogni giorno sfilano a Luang Prabang (Laos) è stato uno dei momenti culminanti del viaggio. I monaci vanno in giro per la questua e procedono in fila indiana lungo la strada principale della città, sfilando lentamente di fronte ad una fila di fedeli che offrono loro il cibo per la giornata (soprattutto riso). Purtroppo questa abitudine è diventata un’attrazione turistica e la troviamo propagandata su tutti i depliants. Quindi sono troppi i curiosi con il cellulare che disturbano, tuttavia i monaci e i fedeli che offrono loro cibo non sono turisti e la cerimonia non è una rappresentazione a loro beneficio. E’ vera. Se poi si ha la fortuna che piova (come è capitato a noi), siano le 6 del mattino ed sia ancora buio, allora può anche essere che i cellulari siano pochi.
Siamo stati partecipi di un’altra manifestazione eccezionale al Wat (tempio) Ongten di Vientiane (Laos): la cerimonia funebre in onore del decano dei monaci laotiani. Il corpo del monaco era esposto in una teca di vetro refrigerata (faceva un caldo notevole) di fronte alla quale si sono alternati molti gruppi di persone per la foto ricordo di gruppo.


Neanche questi erano turisti, ma locali che volevano evidentemente immortalare il momento. Perché l’aspetto esteriore del Buddhismo è questo: sorrisi, calma, la morte come parte della vita e possibile porta per il Nirvana. 
Era un funerale e in presenza del defunto c’era compostezza e rispetto da parte di quelli che facevano offerte ai monaci, ma fuori dal tempio il funerale era una festa con musica e cibo in abbondanza. Il refrigeratore faceva il suo dovere: quando ce ne siamo andati il vetro della teca del defunto era ormai appannato dalla condensa e le spoglie mortali del vecchio monaco ormai celate alla vista.
Durante le funzioni serali nei templi era possibile vedere un gatto o un cane entrare e gironzolare tra i monaci salmodianti ed essere accolti dai loro sorrisi: nessuna profanazione o mancanza di rispetto al sacro, ma sintonia con la natura.

S-21: quando si parla di genocidio di solito si specifica di quale genocidio si parla: troppi se ne annoverano nella storia del mondo (degli Armeni, dei nativi americani, del Ruanda, dei popoli dell’Amazzonia… ). In Cambogia invece è chiaro a cosa ci si riferisce: ci si riferisce allo sterminio di circa 2 milioni di persone, su una popolazione di 8, perpetrato dal regime comunista dei Khmer Rossi dalla loro ascesa al potere nel 1975 alla loro caduta nel 1979.  Un tempo questo edificio era sede di una Scuola Superiore poi ribattezzata Ufficio di Sicurezza 21 (da cui S-21). Nei suoi padiglioni vennero incarcerati, torturati e infine uccisi almeno 15.000 prigionieri politici (uomini, donne e bambini).
Provate a leggere le dieci regole di comportamento che dovevano tenere i prigionieri. Sembrano un macabro scherzo, ma sono l'atroce realtà:


Un’intera generazione di insegnanti, commercianti, intellettuali, impiegati venne spazzata via dal paese, al punto che oggi l’80% della popolazione cambogiana ha meno di 40 anni e attraversando le città del paese è raro incontrare una persona di oltre 60 anni. Nel 1979 all’arrivo dei vietnamiti che cacciarono i Khmer Rossi da Phnom Penh, dalle viscere dell’edificio uscirono vivi solo 7 prigionieri. Uno di questi era Bou Meng che si salvò solo perché, in quanto pittore, era incaricato di dipingere ritratti di Pol Pot. Bou ancora oggi, ormai vecchio, accoglie i visitatori al museo e vende il suo libro delle sue memorie.


L’S-21 è poi diventato il Tuol Sleng Genocide Museum e nel 2009 l'UNESCO lo ha inserito nell'Elenco delle memorie del mondo.
Non è mio compito raccontare questa storia atroce, esistono pagine e pagine disponibili. Io posso descrivere le sensazioni provate nel guardare celle di 2 metri per 1, prive di finestre, ricavate con tramezzi di legno o di pietre negli stanzoni dell’edificio. Oppure nel vedere gli strumenti di tortura, i letti di ferro nella lugubre penombra dei corridoi. O osservando migliaia di ritratti in bianco e nero (sono più di 4.000) che mostrano tutti i sentimenti che una persona può provare di fronte ai suoi aguzzini in quelle condizioni disumane: paura, disperazione, odio, sorpresa, coraggio anche e, a volte, disprezzo per loro. Ho eletto uno di quei ritratti, quello di una bambina di 8-10 anni, a emblema del luogo e me lo porterò dentro per sempre. E il numero 408 che lei portava appuntato sul petto avrà per sempre un significato particolare.



L’orrore dei Khmer Rossi non si fermò all’S-21. A 12 km da Phnom Penh sorge Choeung Ek, dove venivano condotti prigionieri di Tuol Sleng per essere trucidati. 86 fosse comuni aperte e 43 accertate che non verranno scavate, quasi 9.000 corpi riesumati dei 17.000 certificati che vennero uccisi qui. Al centro un piccolo tempio dalle pareti di vetro contiene i resti dei morti: vestiti e oggetti personali, ossa e migliaia di teschi allineati su macabri scaffali. Il sole al tramonto inondava di luce rossa e soffice quei teschi (più di 8.000) senza riuscire ad allontanare da me l’angoscia. Ricordo anche che l’S-21 e Choeung Ek non furono che due dei tanti luoghi dell’orrore scoperti in Cambogia.
Nonostante i crimini commessi i responsabili del genocidio hanno avuto e hanno ancora un certo seguito tra la popolazione. A cominciare da Pol Pot (condannato a morte, ma poi alla fine probabilmente morto di morte naturale) il cui luogo di cremazione è diventato un luogo di culto e la casa di Ta Mok (uno tra i più importanti leader Khmer soprannominato “il macellaio”) ad Anlog Veng un’attrazione turistica. Per anni si è cercato di processarlo, ma come altri assassini del periodo, Ta Mok morì qui di morte naturale nel 2006 benvoluto dalla popolazione del luogo, in attesa che la Cambogia prendesse su di lui una decisione che forse non voleva prendere.

Archeologia Khmer: cosa si può dire dei templi Khmer della Cambogia? Che non sia già stato detto, intendo. Niente, credo. Quindi sullo splendore del Ta Prohm, dell’Ankhor Thom, del Baphun, del Bayon e dell’Ankhor Wat non ho nulla da aggiungere che già non si sappia.
Voglio solo nominare un tempio scomodo da raggiungere, perché fuori dai circuiti più battuti, ma spettacolare: il Preah Vihear (IX-XII secolo), arroccato su una collina al confine nord con Tailandia. E’ da sempre fonte di contrasto con il paese vicino (bombardato ancora pochi anni fa) per dispute di confine. Presenta una struttura unica in tutto il paese: quattro recinti sacri successivi anziché concentrici. Nonostante la presenza fastidiosa dei militari rimane una vista indimenticabile.

Bike for Dad: l'attuale monarca della Tailandia si chiama Bhumibol Adulyadej, noto anche con il nome reale di Rama IX, salito al trono il 9 giugno 1946. E’ molto vecchio e molto malato. Ogni anno per il suo compleanno viene organizzata una grande festa nazionale. Nel 2015 la manifestazione consisteva in una immensa biciclettata per le vie del centro di Bangkok, chiamata Bike for Dad (“pedala per papà”). Fin dal mattino si vedevano in giro solo ciclisti con la maglietta gialla (gialla perché il re è nato di lunedì, giorno della settimana che ha come colore il giallo) sulla quale spiccava il logo della manifestazione. Grande caldo e umidità soffocante, al punto che la città era pena di cataste di bottigliette d’acqua (anch’esse marcate con il logo) che venivano distribuite gratuitamente a tutti, insieme con altri generi di conforto.
La partenza era per le 15,30 davanti al palazzo reale. Quando siamo arrivati sul posto le strade erano orami chiuse e una folla di spettatori si assiepava ai lati dell’enorme viale, chi seduto a terra chi in piedi. I servizi di sicurezza erano all’opera. Mi è stato perquisito le zaino, l’ho dovuto indossare (prima ce l’avevo tra le gambe incrociate), non ho potuto tendere gli occhiali da sole e sono stato informato di altre amenità sul modo di stare in piedi o seduto sul marciapiedi.
Tutto il centro era invaso da centinaia di migliaia spettatori (Bangkok conta 12 milioni di abitanti) in attesa (tutti dotati di maglia gialla) e c’era uno spettrale silenzio. Nessuno fiatava. Un perfetto impianto diffondeva suoni e immagini su centinaia di schermi giganti ciò che accadeva sulla linea di partenza. Arrivavano anche le immagini sulle identiche manifestazioni che le comunità tailandesi di tutto il mondo svolgevano. Buffe le immagini della Bike for Dad di Parigi, dove i ciclisti indossavano la maglietta gialla sopra le giacche a vento. Picchetti d’onore e presentat arm in ogni dove, lancio di palloncini gialli. Fiumi di generali e mostrine.
Quando discorsi e presentazioni sono terminati, il Principe ereditario (il figlio del re) si è presentato sulla linea di partenza vestito da ciclista ed è partito seguito da un gruppo di dignitari e alti papaveri del regime (inframmezzati da molti agenti di sicurezza ciclisti). A quel punto è scattato il boato della folla (impressionante!) che al passaggio dei ciclisti non ha saputo trattenere l’entusiasmo. Partito il gruppo del principe è partita sua figlia, anche lei accompagnata da un gruppo di vip e un altro boato è salito al cielo. Poi sono partiti gli altri, a migliaia e migliaia mentre sugli schermi continuavano i servizi sulla biciclettata dalle altre capitali (Roma non l’ho vista).





























Il corteo dei ciclisti ha continuato a sfilare tutto il pomeriggio. Alle otto di sera c’erano ancora ciclisti sul circuito ed era ormai buio.
La mia impressione alla fine dell’incredibile giornata? I volti dei ciclisti e degli spettatoti erano sorridenti. Tutti erano allegri. Bike for Dad era una festa di compleanno, ma a me sembrava più una preghiera collettiva per la salute del re Rama IX.

Phare, il circo cambogiano: chi ama il Cirque di Soleil e si trovasse a Siem Reap o a Battambang (Cambogia) non può mancare di assistere ad uno spettacolo del circo Phare. Hanno fondato una scuola circense e i più preparati entrano nello spettacolo messo in scena sotto un tendone piccolo, ma ben attrezzato. Sono giovani artisti cambogiani che con bravura e passione cercano un’alternativa alla povertà e al disagio sociale da cui provengono. Bravi, simpatici, preparati. Presentano uno spettacolo incalzante, emozionante e commovente che spinge a riflettere sulle nostre paure e i fantasmi che ci affliggono. Assistere allo spettacolo di questa compagine di giovani artisti (davvero un Cirque du Soleil in miniatura) è stata una sorpresa emozionante.
Per avere un'idea guardate il video:

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