Wat Mahathat a Phitsanaloke (Tailandia) |
Itinerario:
in Tailandia: Bangkok, Ayutthaia, Phitsanaluk, Sukhothai, Chiang Mai, Tha Thon, Triangolo d’oro;
in Laos: Luang Namtha, Muang Sing, Muang Khua, Muang Ngoi, Louang Prabang, Vang Vieng, Vientiane,
in Cambogia: Phnom Penh, Kampong Thom,
Sambor Prei Kuk, templi di Angkor, Koh Kher, Preah Viear, lago Tonle, Battambang
Periodo: novembre-dicembre 2015
Durata: 1 mese Sambor Prei Kuk, templi di Angkor, Koh Kher, Preah Viear, lago Tonle, Battambang
Periodo: novembre-dicembre 2015
Ne parlo nel libro: Ci sono posti così
Un viaggio attraverso tre paesi simili tra loro e simili
anche ai confinanti Birmania e Vietnam. Li separano infatti solo linee di
confine che nei secoli sono stati spostati e modificati molte volte. Stessa
religione, costumi simili e storia comune per secoli.
L’impero Khmer ad esempio
per alcune centinaia d’anni controllò quasi tutta l’attuale Indocina. Il
Vietnam non lo conosco, ma in Birmania sono stato nel 2010, solo 5 anni fa. E
allora facendo il confronto (complice anche una chiusura al mondo che il potere
militare ha portato avanti fino a poco fa) la Birmania mi si mostrò più genuina
e legata alle sue tradizioni, meno sconvolta da cinesi e globalizzazione
selvaggia. In questo viaggio invece mi è risultato chiaro che sono arrivato con
almeno 10 anni di ritardo.
Tuttavia, nonostante questo ritardo, ho potuto vedere
che, oltre ad un balzo tecnologico impressionante (non c’è villaggio che non
sia coperto dalla rete cellulare e non c’è locale o albergo appena decente che
non abbia il wifi libero) questi
paesi possono ancora mostrare al visitatore abitudini, cultura e religione
tradizionale. Soprattutto nei villaggi “tribali” del nord della Tailandia e del
Laos.
Antichi imperi: concentrato sui templi khmer della
Cambogia non mi aspettavo un’archeologia di così alto livello in Tailandia,
dove alcuni templi possono tranquillamente confrontarsi con quelli di Ankor.
L’Indocina conobbe regni e splendori che si avvicendarono a distanza di poche
decine di anni o di alcuni secoli, lasciandoci un arcipelago di capitali oggi
trasformati in siti archeologici (si chiamano parchi storici) di altissimo livello.
Le antiche capitali erano spesso isolate e protette da un sistema di canali e questo
isolamento ha permesso di mantenere i siti (quasi tutti dichiarati patrimonio
dell’UNESCO) protetti dal caotico espandersi delle città moderne. Cito solo i
più importanti:
Ayuttaya, capitale del regno del Siam (XIV-XVIII
secolo), dove dai campi sorgono grandiose rovine di palazzi e templi (molti
ancora aperti al culto) in mattoni rossi, a testimonianza di un’antica
grandezza.
Phitsanulok: vanta anch’essa una storia reale che
vide il suo massimo splendore nel XIV-XV secolo. Ricordo questa città, oltre
che per la sua archeologia, anche per due matrimoni (era domenica) ai quali
fummo invitati con magnifico senso di ospitalità, uno di alto livello sociale
(organizzato nel nostro albergo) l’altro più dimesso tenutosi in una casa
privata. Colpiva in entrambi i casi la quantità di doni che gli inviatati
offrivano agli sposi tra i quali spiccavano composizioni di fiori, foglie e frutta
di clamorosa fattura, veri capolavori di origami.
Emozionante
vedere, in una fonderia di statue, prendere a mazzate la camicia di argilla di
una fusione in bronzo per vedere emergere a poco a poco il volto sorridente del
Buddha.
Sukhothai: forse il centro più importate e certo il
più bello. Fu capitale della Tailandia per un breve ma splendido periodo
(1238-1376) sede della spettacolare loy
krathong (vedi oltre)
Si
Satchanalai: fondata nel
XIII secolo dalla vicina Sukhothay, presenta rovine più tranquille e dimesse
rispetto a quelle della città fondatrice, che tuttavia meritano una visita.
Loy Krathong, la festa delle luci: Una festa mancata. Rimarrà uno dei
maggiori rammarichi della mia vita. Non conoscendone l’esistenza, non l’abbiamo
prevista nella pianificazione del viaggio e siamo arrivati a Sukhothai (sede
più importante della manifestazione) una settimana prima del dovuto, subendo
anche la beffa di assistere ai preparativi senza poi goderci la festa. E’ una
festa che si celebra ogni anno in tutta la Tailandia e oltre, durante al luna
piena del dodicesimo mese del calendario lunare thai; nel nostro calendario significa generalmente novembre. La
tradizione ebbe inizio a Sukhothai, ma a livello minore si può osservare anche
altrove, anche in Laos. La Loy Kratong è l’occasione per lanciare in cielo
lanterne sostenute da piccole mongolfiere di carta ad aria calda. Una delle
feste più gioiose della tradizione thai
e, secondo me, da non mancare in caso di un viaggio da quelle parti verso la
fine dell’anno.
Date un'occhiata alle immagini. Da mangiarsi la mani.
Date un'occhiata alle immagini. Da mangiarsi la mani.
Le popolazioni del nord e il triangolo
d’oro: come detto, sono consapevole di essere arrivato tardi
per poter apprezzare appieno la cultura e i costumi delle etnie che abitano nel
nord della Tailandia e del Laos. La globalizzazione e la vicinanza della Cina
stanno spazzando via tutto. Tuttavia dedicando tempo (noi siamo rimasti sette
giorni) e attenzione se ne possono ancora trovare dei tratti significativi. Chiaro
che gli abitanti di questa regione ormai vestono di massima all’occidentale,
hanno i cellulari, tuttavia è ancora possibile incontrare donne e bambine che
indossano i costumi tradizionali, l’artigianato rimane di ottima fattura e i
villaggi continuano ad essere costituiti da case di legno su palafitte.
Si tratta di
popoli giunti agli attuali insediamenti dopo secoli di peregrinazioni tra Cina,
Birmania, Laos, Vietnam e Cambogia. Gente tollerata dai paesi che li ospitano
prevalentemente con funzione di barriera contro i cinesi che premono ai confini.
Sono poveri ma non miserabili, gli uomini passano la giornata nella foresta a
caccia e per la legna. Al villaggio rimangono le donne ad occuparsi dei bambini
e della attività artigianali, tra le quali, molto importante, la tessitura. Dopo
la messa la bando della coltivazione del papavero destinato alla produzione
dell’oppio, hanno dovuto, con grande difficoltà, riconvertirsi ad attività e
coltivazioni legali, ma meno remunerative. Anche il controllo del taglio del
legname pregiato (soprattutto tek) che ha devastato le foreste di queste
montagne, ha limitato le loro attività.
Sgradevole
l’idea tailandese di concentrare in un villaggio donne di alcune delle
principali etnie della regione, una specie di villaggio di rappresentanza a
beneficio dei turisti. A parte questo episodio spiacevole, abbiamo visitato
parecchi villaggi abitati da: Karen, Hmong, Palong, Akha, Lisu, Mien, Thai,
Khamu, Lanten, Mon. Vedere le foto. Come sempre scuole e scolari erano il nostro principale interesse.
Eravamo nel
triangolo d’oro e, a ricordo delle storie sul traffico illegale dell’oppio, che
ha procurato guerre (guerre dell’oppio) e devastazioni, oggi rimane il museo
dell’oppio a Mae Sing (Tailandia), assolutamente da non perdere. La ricostruzione
della storia di questa droga, lunga 5.000 anni e partita (sorpresa!!!)
dall’Europa, è ben documentata.
Navigare: due giornate di navigazione sul fiume Ou
e sul Mekong mi hanno fatto scoprire l’importanza per un paese (nel nostro caso il
Laos) delle vie d’acqua. Esse significano comunicazione, commerci, storia. I due
fiumi, soprattutto l’Ou, attraversano al nord zone montagnose e impervie,
offrendo scorci panoramici spettacolari. Sulle sue rive sorgono alcuni dei villaggi
isolati difficili da raggiungere via terra.
Cibi estremi: berreste un liquore al cobra? O alla
tarantola? O alla scolopendra? E allo scorpione? Eppure bevete la grappa alla
ruta o al pino. Vedete differenze? Io sono astemio e non bevo liquori e mi sono
sentito autorizzato a rifiutare un assaggio di whiskey al cobra, atteggiamento
che avrebbe tenuto, credo, anche un etilista incallito, se occidentale. La
specializzazione di un villaggio che si chiama Xang Hai (Laos), ma è conosciuto
come Lao Whiskey Village, è quella di produrre e vendere liquore di riso
confezionato in bottiglie che contengono, ben disposti, gli animali sopra
elencati. Quale sapore daranno al liquore?
Mangereste
tarantole, cavallette, scarafaggioni lunghi 10 cm, coleotteri impressionanti
per forma e dimensione? E altri insetti sconosciuti e di discrete dimensioni?
No? Eppure mangiate i gamberetti e le lumache.
Insomma in Indocina ho fatto conoscenza con quello che chiamo ‘cibo estremo’ basato su insetti e coleotteri e che dovrebbe essere alla base dell’alimentazione dell’umanità del futuro, quando per fortuna spero di non esserci più.
Insomma in Indocina ho fatto conoscenza con quello che chiamo ‘cibo estremo’ basato su insetti e coleotteri e che dovrebbe essere alla base dell’alimentazione dell’umanità del futuro, quando per fortuna spero di non esserci più.
Non pensate a
cibo-spazzatura. Questi insetti si trovano sui banchi dei mercati più forniti
(forse non in città, ma non ci giurerei), composti alla perfezione (come solo
gli asiatici sanno fare) in confezioni da 6, 12 o 20 esemplari a seconda delle
dimensioni. Il prezzo può essere elevato, perché sono considerate leccornie. In
Tailandia, una specie di cicala costava 20 bhat,
suppongo al kg, e 20 bhat erano più
di mezzo €.
Monaci buddhisti: non siamo in Birmania e la religione in
questi paesi mi è apparsa meno sentita o, quanto meno, meno praticata rispetto
al paese confinante. Ho incontrato meno fedeli nei templi e nei monasteri.
Anche i monaci sono meno numerosi e, all’apparenza, meno venerati dalla gente. I
monasteri sono più poveri e modesti, alcuni anche abbastanza sporchi. Tuttavia
il fascino delle cerimonie che si tengono giornalmente (verso il tramonto) in
tutti i templi e alle quali tutti possono partecipare mantengono il fascino di
sempre. E’ difficile non essere emotivamente coinvolti dall’atmosfera che si
crea in questi momenti, con i canti e i mantra che sembrano scaturire dal nulla
nella penombra della sera davanti alle statue del Buddha sorridente. Ci
sarebbero alcune regole comportamentali da seguire durante le preghiere che gli
occidentali di solito non conoscono o ignorano: non sopravanzare i monaci in
direzione del Buddha (rimanere cioè dietro di loro), non sovrastarli (e quindi
sedere a terra come loro), non tenere i piedi più avanti del corpo puntandola
in direzione del Buddha e quindi tenerli sotto di sé (posizione faticosa e
difficile se non si è abituati).
La processione
di centinaia di monaci che all’alba di ogni giorno sfilano a Luang Prabang
(Laos) è stato uno dei momenti culminanti del viaggio. I monaci vanno in giro
per la questua e procedono in fila indiana lungo la strada principale della
città, sfilando lentamente di fronte ad una fila di fedeli che offrono loro il
cibo per la giornata (soprattutto riso). Purtroppo questa abitudine è diventata
un’attrazione turistica e la troviamo propagandata su tutti i depliants. Quindi sono troppi i curiosi
con il cellulare che disturbano, tuttavia i monaci e i fedeli che offrono loro
cibo non sono turisti e la cerimonia non è una rappresentazione a loro
beneficio. E’ vera. Se poi si ha la fortuna che piova (come è capitato a noi),
siano le 6 del mattino ed sia ancora buio, allora può anche essere che i
cellulari siano pochi.
Siamo stati
partecipi di un’altra manifestazione eccezionale al Wat (tempio) Ongten di
Vientiane (Laos): la cerimonia funebre in onore del decano dei monaci laotiani.
Il corpo del monaco era esposto in una teca di vetro refrigerata (faceva un
caldo notevole) di fronte alla quale si sono alternati molti gruppi di persone
per la foto ricordo di gruppo.
Era un funerale
e in presenza del defunto c’era compostezza e rispetto da parte di quelli che
facevano offerte ai monaci, ma fuori dal tempio il funerale era una festa con
musica e cibo in abbondanza. Il refrigeratore faceva il suo dovere: quando ce
ne siamo andati il vetro della teca del defunto era ormai appannato dalla
condensa e le spoglie mortali del vecchio monaco ormai celate alla vista.
Durante le funzioni serali nei templi era possibile vedere un gatto o un cane entrare e gironzolare tra i monaci salmodianti ed essere accolti dai loro sorrisi: nessuna profanazione o mancanza di rispetto al sacro, ma sintonia con la natura.
S-21: quando si parla di genocidio di solito si specifica di quale genocidio
si parla: troppi se ne annoverano nella storia del mondo (degli Armeni, dei
nativi americani, del Ruanda, dei popoli dell’Amazzonia… ). In Cambogia invece
è chiaro a cosa ci si riferisce: ci si riferisce allo sterminio di circa 2
milioni di persone, su una popolazione di 8, perpetrato dal regime comunista
dei Khmer Rossi dalla loro ascesa al potere nel 1975 alla loro caduta nel
1979. Un tempo questo edificio era sede
di una Scuola Superiore poi ribattezzata Ufficio di Sicurezza 21 (da cui S-21).
Nei suoi padiglioni vennero incarcerati, torturati e infine uccisi almeno
15.000 prigionieri politici (uomini, donne e bambini).
Provate a leggere le dieci regole di comportamento che dovevano tenere i prigionieri. Sembrano un macabro scherzo, ma sono l'atroce realtà:
Un’intera generazione di insegnanti, commercianti, intellettuali, impiegati venne spazzata via dal paese, al punto che oggi l’80% della popolazione cambogiana ha meno di 40 anni e attraversando le città del paese è raro incontrare una persona di oltre 60 anni. Nel 1979 all’arrivo dei vietnamiti che cacciarono i Khmer Rossi da Phnom Penh, dalle viscere dell’edificio uscirono vivi solo 7 prigionieri. Uno di questi era Bou Meng che si salvò solo perché, in quanto pittore, era incaricato di dipingere ritratti di Pol Pot. Bou ancora oggi, ormai vecchio, accoglie i visitatori al museo e vende il suo libro delle sue memorie.
L’S-21 è poi diventato il Tuol Sleng Genocide Museum e nel 2009 l'UNESCO lo ha inserito nell'Elenco delle memorie del mondo.
Provate a leggere le dieci regole di comportamento che dovevano tenere i prigionieri. Sembrano un macabro scherzo, ma sono l'atroce realtà:
Un’intera generazione di insegnanti, commercianti, intellettuali, impiegati venne spazzata via dal paese, al punto che oggi l’80% della popolazione cambogiana ha meno di 40 anni e attraversando le città del paese è raro incontrare una persona di oltre 60 anni. Nel 1979 all’arrivo dei vietnamiti che cacciarono i Khmer Rossi da Phnom Penh, dalle viscere dell’edificio uscirono vivi solo 7 prigionieri. Uno di questi era Bou Meng che si salvò solo perché, in quanto pittore, era incaricato di dipingere ritratti di Pol Pot. Bou ancora oggi, ormai vecchio, accoglie i visitatori al museo e vende il suo libro delle sue memorie.
L’S-21 è poi diventato il Tuol Sleng Genocide Museum e nel 2009 l'UNESCO lo ha inserito nell'Elenco delle memorie del mondo.
Non è mio
compito raccontare questa storia atroce, esistono pagine e pagine disponibili. Io posso descrivere le sensazioni provate nel guardare celle di 2
metri per 1, prive di finestre, ricavate con tramezzi di legno o di pietre
negli stanzoni dell’edificio. Oppure nel vedere gli strumenti di tortura, i
letti di ferro nella lugubre penombra dei corridoi. O osservando migliaia di
ritratti in bianco e nero (sono più di 4.000) che mostrano tutti i sentimenti
che una persona può provare di fronte ai suoi aguzzini in quelle condizioni disumane:
paura, disperazione, odio, sorpresa, coraggio anche e, a volte, disprezzo per loro. Ho eletto uno di quei ritratti, quello di una bambina di 8-10 anni, a
emblema del luogo e me lo porterò dentro per sempre. E il numero 408 che lei
portava appuntato sul petto avrà per sempre un significato particolare.
L’orrore dei
Khmer Rossi non si fermò all’S-21. A 12 km da Phnom Penh sorge Choeung Ek,
dove venivano condotti prigionieri di Tuol Sleng per essere trucidati. 86 fosse
comuni aperte e 43 accertate che non verranno scavate, quasi 9.000 corpi
riesumati dei 17.000 certificati che vennero uccisi qui. Al centro un piccolo
tempio dalle pareti di vetro contiene i resti dei morti: vestiti e oggetti
personali, ossa e migliaia di teschi allineati su macabri scaffali. Il sole al
tramonto inondava di luce rossa e soffice quei teschi (più di 8.000) senza
riuscire ad allontanare da me l’angoscia. Ricordo anche che l’S-21 e Choeung Ek
non furono che due dei tanti luoghi dell’orrore scoperti in Cambogia.
Nonostante i
crimini commessi i responsabili del genocidio hanno avuto e hanno ancora un
certo seguito tra la popolazione. A cominciare da Pol Pot (condannato a morte,
ma poi alla fine probabilmente morto di morte naturale) il cui luogo di
cremazione è diventato un luogo di culto e la casa di Ta Mok (uno tra i più
importanti leader Khmer soprannominato “il macellaio”) ad Anlog Veng un’attrazione turistica. Per anni si è cercato di processarlo, ma come altri
assassini del periodo, Ta Mok morì qui di morte naturale nel 2006 benvoluto
dalla popolazione del luogo, in attesa che la Cambogia prendesse su di lui una
decisione che forse non voleva prendere.
Archeologia Khmer: cosa si può dire dei templi Khmer della
Cambogia? Che non sia già stato detto, intendo. Niente, credo. Quindi sullo
splendore del Ta Prohm, dell’Ankhor Thom, del Baphun, del Bayon e dell’Ankhor
Wat non ho nulla da aggiungere che già non si sappia.
Voglio solo nominare
un tempio scomodo da raggiungere, perché fuori dai circuiti più battuti, ma
spettacolare: il Preah Vihear (IX-XII secolo), arroccato su una collina al
confine nord con Tailandia. E’ da sempre fonte di contrasto con il paese vicino
(bombardato ancora pochi anni fa) per dispute di confine. Presenta una
struttura unica in tutto il paese: quattro recinti sacri successivi anziché
concentrici. Nonostante la presenza fastidiosa dei militari rimane una vista
indimenticabile.
Bike for Dad: l'attuale monarca della Tailandia si chiama Bhumibol Adulyadej, noto anche con il nome reale di Rama IX, salito al trono il 9 giugno
1946. E’ molto vecchio e molto malato. Ogni anno per il suo compleanno viene
organizzata una grande festa nazionale. Nel 2015 la manifestazione consisteva
in una immensa biciclettata per le vie del centro di Bangkok, chiamata Bike for Dad (“pedala per papà”). Fin
dal mattino si vedevano in giro solo ciclisti con la maglietta gialla (gialla
perché il re è nato di lunedì, giorno della settimana che ha come colore il
giallo) sulla quale spiccava il logo della manifestazione. Grande caldo e
umidità soffocante, al punto che la città era pena di cataste di bottigliette
d’acqua (anch’esse marcate con il logo) che venivano distribuite gratuitamente
a tutti, insieme con altri generi di conforto.
La partenza era
per le 15,30 davanti al palazzo reale. Quando siamo arrivati sul posto le
strade erano orami chiuse e una folla di spettatori si assiepava ai lati
dell’enorme viale, chi seduto a terra chi in piedi. I servizi di sicurezza
erano all’opera. Mi è stato perquisito le zaino, l’ho dovuto indossare (prima
ce l’avevo tra le gambe incrociate), non ho potuto tendere gli occhiali da sole
e sono stato informato di altre amenità sul modo di stare in piedi o seduto sul
marciapiedi.
Tutto il centro
era invaso da centinaia di migliaia spettatori (Bangkok conta 12 milioni di
abitanti) in attesa (tutti dotati di maglia gialla) e c’era uno spettrale
silenzio. Nessuno fiatava. Un perfetto impianto diffondeva suoni e immagini su
centinaia di schermi giganti ciò che accadeva sulla linea di partenza.
Arrivavano anche le immagini sulle identiche manifestazioni che le comunità
tailandesi di tutto il mondo svolgevano. Buffe le immagini della Bike for Dad di Parigi, dove i ciclisti
indossavano la maglietta gialla sopra le giacche a vento. Picchetti d’onore e presentat arm in ogni dove, lancio di
palloncini gialli. Fiumi di generali e mostrine.
Quando discorsi
e presentazioni sono terminati, il Principe ereditario (il figlio del re) si è
presentato sulla linea di partenza vestito da ciclista ed è partito seguito da
un gruppo di dignitari e alti papaveri del regime (inframmezzati da molti
agenti di sicurezza ciclisti). A quel punto è scattato il boato della folla (impressionante!)
che al passaggio dei ciclisti non ha saputo trattenere l’entusiasmo. Partito il
gruppo del principe è partita sua figlia, anche lei accompagnata da un gruppo
di vip e un altro boato è
salito al cielo. Poi sono partiti gli altri, a migliaia e migliaia mentre sugli
schermi continuavano i servizi sulla biciclettata dalle altre capitali (Roma
non l’ho vista).
Il corteo dei ciclisti ha continuato a sfilare tutto il
pomeriggio. Alle otto di sera c’erano ancora ciclisti sul circuito ed era ormai
buio.
La mia impressione alla fine dell’incredibile giornata? I
volti dei ciclisti e degli spettatoti erano sorridenti. Tutti erano allegri. Bike for Dad era una festa di compleanno,
ma a me sembrava più una preghiera collettiva per la salute del re Rama IX.
Phare,
il circo cambogiano: chi
ama il Cirque di Soleil e si trovasse a Siem Reap o a Battambang (Cambogia) non
può mancare di assistere ad uno spettacolo del circo Phare. Hanno fondato una
scuola circense e i più preparati entrano nello spettacolo messo in scena sotto
un tendone piccolo, ma ben attrezzato. Sono giovani artisti cambogiani che con
bravura e passione cercano un’alternativa alla povertà e al disagio sociale da
cui provengono. Bravi, simpatici, preparati. Presentano uno spettacolo
incalzante, emozionante e commovente che spinge a riflettere sulle nostre paure
e i fantasmi che ci affliggono. Assistere allo spettacolo di questa compagine
di giovani artisti (davvero un Cirque du Soleil in miniatura) è stata una sorpresa emozionante.
Per avere un'idea guardate il video:
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