Danze e colori, L'Avana, Cuba |
Itinerario: Havana, Cienfuegos, Trinidad, Camaguey, Las Tunas, Bayamo,
Santiago de Cuba, Holguin, Yaguajay, Remedios, Santa Clara, Havana
Periodo: dicembre
2003 – gennaio 2004
Durata: 2 settimane
Ne parlo nei libri: Il gatto buddhista e
Il confine immaginario
Ovviamente volevo visitare
Cuba finché Fidel era vivo. Avevo seguito per tutta la vita e con grande
interesse la storia e l’evoluzione dell’esperimento politico e sociale della
piccola isola che tanto preoccupava gli americani. Era alta la simpatia per la piccola
nazione che sfidava l’impero USA a 90 miglia da Miami dopo aver abbattuto il
corrotto regime di Battista che negli ultimi decenni aveva ridotto l’isola a
casino e bordello degli Stati Uniti e ricettacolo della sua malavita. Il nostra
viaggio non prevedeva soste allo splendido mare che pure rimane una delle
attrazione più belle del paese, lo scopo era un altro.
"Resolver", Cuba |
Cuba |
Cuba un paese sul
quale avrei tanto da dire. Mi basta promettere a me stesso di ritornare per
vedere come procede il dopo-Castro.
Fermo
immagine. Immaginiamo
che ad un tratto la storia si fermi o, meglio, cambi bruscamente direzione:
quel giorno cambia il mondo intero. Fu quello che accadde a L’Avana all’alba
della rivoluzione. Due sono gli aspetti che
mi apparvero evidenti a seguito di questo “fermo immagine”: la auto che
circolavano nelle vie e i palazzi.
Le auto, come sapevo da anni, erano tutte
degli anni ’30, ’40 e ’50, molte malmesse, ma altrettante tenute a accudite con
attenzione. Erano un “regalo” che i fuggitivi, cubani e stranieri, che
scappavano di fronte all’arrivo dei rivoluzionari aveva fatto a quelli che
restavano. Sembrava di essere tornati indietro di cinquanta anni. Sembrava di
essere in un film.
I palazzi de l’Avana Centro (’800 e ’900)
mostravano una architettura fantastica (molto liberty), prova dell’antica
ricchezza della città, ma versavano in pessime condizioni per la carenza dei
mezzi necessari per la manutenzione.
Particolarmente dolorosa era la vista del Malecòn (il fastoso lungomare che si
affaccia sull’oceano) che mostrava facciate sontuose di palazzi ormai cadenti e
fatiscenti. Tuttavia la mancanza di mezzi, che aveva impedito la manutenzione
di quella zona della città, non aveva consentito nemmeno di deturparla con la
costruzione di quella architettura squallida prodotta dallo “sviluppo”
capitalistico che negli anni 1960-1990 ha devastato le città di tutto il mondo.
L’Italia ne è un ottimo esempio. L’Avana Centro era ancora là, è ancora là, in
originale, in attesa della ristrutturazione quando ci saranno i soldi
necessari, ma salva, perché ormai credo che la cultura attuale non consenta più
simili devastazioni. Già allora si capiva cosa potrà essere l’Avana quando
questo avverrà: bastava camminare per l’Avana Vecchia, quella del ’500-’600:
solo palazzi, chiese e piazze originali di quei secoli senza costruzioni
successive. Sembrava un set cinematografico.
Il Malecòn, L'Avana, Cuba |
Case de la trova e musica cubana. Nelle strade di ogni città si spandevano le note allegre della musica
cubana suonata da una delle tante orchestre eistenti. Non so quanto possa
rendere il mestiere di orchestrale a Cuba, ma di sicuro, come all’Avana o a
Santiago, le orchestre erano tante e si potevano ascoltare ovunque.
Nel XIX secolo nasceva nella
parte orientale di Cuba, specialmente a Santiago, il movimento della Trova. Un gruppo di musicisti
itineranti, chiamati trovadores, cominciò a spostarsi all'interno dell'isola,
passando la vita a cantare e suonare la chitarra. Ovviamente ricordavano i trovatori
europei che abbiamo studiato a scuola e che durante i secoli centrali dell'alto
medioevo (1100–1230) componevano ed eseguivano testi poetici e lirici in lingua
d’oc, parlata, in differenti varietà regionali, in quasi tutta la Francia a sud
della Loira. Arrivarono anche in Italia (in
Toscana e in Sicilia soprattutto) e furono i primi artisti ad abbandonare il
latino per passare al volgare, l’antenato dell’italiano.
Orchestra di musica cubana, Trinidad, Cuba |
A Cuba i luoghi deputati ad
accogliere questi musicisti erano, e sono ancora, le Case de la Trova ("case della poesia musicale"). Ce ne
sono in ogni città: si entra, si beve qualcosa. Si mangia anche, e si ascolta
la musica che è sempre di alto livello. Qui si organizzano concerti (gratuiti) di musica tradizionale, soprattutto per i cubani, ma tutti sono benvenuti. Guantanamera è la più conosciuta canzone tipica della Trova.
Buena
Vista Social Club. Ricordiamo
il bellissimo film omonimo di Wim Wenders del 1999: è la storia di un gruppo di
musica cubana fondato all'Avana nel
1996. Il nome è lo stesso dell'omonimo locale che si trovava nel
quartiere Buenavista dell'Avana dove era in voga la
musica popolare cubana negli anni ’40. Per riprodurre gli stili musicali
dell'epoca furono reclutati una dozzina di musicisti dell'epoca, di cui molti
si erano ritirati dalle scene da tempo. Fra essi Compay Segundo, Pino Leyva,
Ibraym Ferrer e altri vecchi musicisti. Il gruppo così formato viaggiò in
lungo e in largo negli Stati Uniti per esibirsi di fronte a un pubblico
entusiasta.
Ovviamente l’occasione di assistere
a uno concerto dell’orchestra, ormai ridiventata famosa, non potevamo perderla.
Tra l’altro si teneva nel bellissimo e storico Hotel National de Cuba a
l’Avana. I musicisti ovviamente erano tutti vecchissimi, Compay Segundo era
morto da pochi mesi quasi novantenne, Pino Leyva invece era sul palco, ancora in
gamba nonostante i suoi 86. Erano bravi, bravi, bravi e fu una serata
indimenticabile.
Musica nelle Case de la Trova, Cuba |
Guerrillero Heroico. La storia
di questa foto è incredibile. La scattò casualmente Alberto Díaz Gutiérrez (L'Avana, 14 settembre 1928 - Parigi, 25 maggio 2001) meglio conosciuto come Alberto
Korda, fotografo cubano,
divenuto famoso proprio per questa foto del “Che” che intitolò Guerillero Heroico, una
delle immagini più riprodotte di Ernesto
Che Guevara e
una delle foto più diffuse in assoluto. La racconta uno scrittore e giornalista
cubano suo amico.
Il "Guerrilero Heroico", la foto più diffusa della storia di Albeto Korda |
Korda non si aspettava certo un
simile destino per la sua foto quando la scattò, il 15 marzo del 1960, ai
funerali per caduti di un attentato nel porto dell’Avana. La scattò
all’insaputa del “Che” che era sul palco della commemorazione accanto a Fidel,
Sartre e Simone de Beauvoir e altre autorità. Alberto Korda realizzò della
famosa immagine due scatti (uno orizzontale e uno verticale). Come si vede dall'originale l'immagine fu "ritagliata" dal fotogramma orizzontale.
Nel 1967 Giangiacomo Feltrinelli,
interessato a Guevara, impegnato nella guerriglia in Bolivia, chiese a
Korda la foto. Il fotografo gliela regalò.
Qualche mese dopo il "Che" fu
assassinato nella foresta boliviana e Feltrinelli fece subito pubblicare la
foto su un manifesto e sulla copertina del libro Diario in Bolivia nel 1968.
Il seguito lo conosciamo: magliette, manifesti, copertine di libri, bandiere, murales, gadgets di ogni tipo... Povero “Che”.
Anche a Cuba le animitas. Nel luogo dove capita una morte
crudele o ingiusta - una mala muerte
- nasce in America Latina un'animita.
Sorta per misericordia e pietà della gente, un'animita è un cenotafio popolare che serve ad onorare l’anima di un
defunto. Dove il morto terminò incolpevole la vita terrena, là sorge una
piccola casa o un tempietto, costruiti dai congiunti ad immagine delle case e
delle chiese dei vivi. A volte sorgono veri e propri mausolei. Vi abbondano
bandiere, croci e candele che mani pietose cercano di mettere al riparo dal
vento e dalla pioggia.
Nelle
animitas messaggi e scritte
trasmettono le suppliche e le richieste di aiuto all’anima del defunto che la mala muerte ha elevato al cielo e al
privilegio di poter intercedere presso Dio in favore dei devoti che lo onorano.
Ex voto di ogni forma e dimensione,
piccoli doni, rosari, corone e targhe di legno, marmo, metallo e plastica si
moltiplicano nel tempo attorno ai luoghi venerati,
per ringraziare il defunto delle grazie ricevute. Tanti sono i fiori che
adornano le animitas, rinnovati di
continuo da fedeli, parenti e amici.
La
gente di fronte alle animitas parla
con il defunto, lo prega, piange, sistema i fiori e le candele. Le animitas si possono trovare in ogni luogo:
in un cimitero, ai lati della strada, nella pianura assolata o su una collina.
Ovunque.
Senza
ancora conoscere il fenomeno, che avrei approfondito in Argentina, rimasi
sconcertato di fronte alla tomba della signora Amelia Goyri, nel cimitero
Cristòbal Colòn di L’Avana, per i fiori, le targhe di ringraziamento e la
piccola folla di persone raccolte di fronte ad essa, come fosse il giorno del
suo funerale. Invece la signora morì di parto nel 1901 e quando un po’ di tempo
dopo venne riesumata, narra la leggenda che il suo corpo fu rinvenuto
incorrotto ed il figlioletto, che era stato sepolto ai suoi piedi, venne
ritrovato tra le sue braccia. Era avvenuto il miracolo e la signora Goyri entrò
per sempre nel culto popolare. Una morte ingiusta l’aveva elevata di rango e
non era più una dei tanti morti che riposano insieme a lei nell’immenso
cimitero. Oggi, secondo la tradizione, ogni anno migliaia di pellegrini bussano
sulla tomba per chiedere grazie e camminano a ritroso quando se ne vanno, come
faceva il marito, disperato per la sua morte, che usciva in questo modo dal
cimitero, non potendo staccare gli occhi dalla tomba dell’amata. Le animitas, un fenomeno toccante e tipico
della religiosità molto profonda e un po’ superstiziosa del sudamerica.
¡Correcto,
compañero! Pochi conoscono la storia di Gerardo, Ramon,
Antonio, Fernando e René, i cinque cubani condannati negli Stati Uniti a pene
sconcertanti - da quindici anni per René a due ergastoli e quindici anni per
Gerardo - e noi non eravamo tra quei pochi quando sbarcammo all'Avana. Los cinco heroes. La
loro vicenda iniziò nel 1998 con l’arresto in Florida. Per l’accusa, cioè per
la Casa Bianca e la potente lobby cubano-americana di Miami, erano e
sono infiltrati inviati da Cuba negli Stati Uniti per scopi terroristici.
Spionaggio e associazione a delinquere i reati di cui sono accusati.
Quando
arrivammo a Cuba la tensione per la loro liberazione era alta e sembrava
crescere ogni giorno di più. “Volveràn!”
promettevano manifesti affissi da ogni parte, “Volveràn!” urlavano enormi scritte dai muri della città, “Volveràn!” si auguravano ai bordi delle
strade teneri mosaici di sassetti multicolori. “Torneranno.” Ma allora non
erano ancora tornati.[1]
Nella Plaza de
la Catedral dell’Avana discutevamo tra noi della sorte dei cinque di fronte
a un manifesto che ne reclamava la liberazione e anch’io esprimevo la mia
opinione.
“Correcto, compañero!” mormorò una voce alle mie spalle. Era la voce di un
vecchio venditore di sigari che evidentemente era d’accordo con me. Il basco
verde, con la stella rossa stampata davanti, lasciava scendere sulle spalle una
cascata di capelli grigi. La barba incolta e bianca gli copriva il viso
bruciato dal sole e segnato da mille rughe. Indossava una giacca militare verde
e fumava un sigaro avana di
dimensioni esagerate. Sembrava emergere da una delle vecchie foto in bianco e
nero dei Barbudos[2]
esposte al Museo de la Revoluciòn della
capitale. Un po’ ingiallite, ma ancora capaci di trasmettere l’allegria e la
determinazione dei giovani rivoluzionari cubani armati di machete e fucili, coscienti della loro forza e sicuri di avere la
Ragione e la Storia dalla loro parte. Beh, si sa, ‘gli eroi son tutti giovani e
belli’. Vendeva sigari il vecchio
rivoluzionario cubano, forse uno di quelli che erano arrivati dalla Florida con
Castro, avevano combattuto le truppe di Batista sulle sierras ed erano entrati vittoriosi all’Avana nel 1959. Oppure
avevano accompagnato Che Guevara in
Africa per suscitare anche là la scintilla della rivolta. Il venditore di
sigari era di sicuro un eroe di una tappa della Rivoluzione, ma un eroe un po’
sgualcito e dall’aspetto dimesso, con un tono di voce che sembrava volerci
comunicare che la pensava come noi, ma sommessamente e senza farlo sapere in
giro.
Avevamo
incontrato altri vecchi compañeros
per le strade della capitale, facili da riconoscere dall’abbigliamento, e
tutti, come il venditore di sigari, ci erano apparsi un po’ soli, con gli occhi
tristi, persi in un passato che forse non ritrovavano nel mondo che avevano
intorno. Un mondo imprevisto, sconcertante, chissà, certo diverso da quello che
avevano sognato in gioventù sulle montagne. Mi apparivano nella stessa
condizione materiale e psicologica dei reduci del Vietnam: isolati, quasi
invisibili a un’America che prima li aveva mandati in guerra e poi li aveva
dimenticati. Anche se questo non giustifica un simile destino, va detto che i
veterani del Vietnam la guerra l’avevano perduta, ma i compañeros l’avevano vinta. Erano occhi spenti, rassegnati che mi
colpivano profondamente, soprattutto quando li confrontavo con gli occhi di
Camilo che sorridevano smaglianti da ogni foto, ogni manifesto e ogni mural. Ed erano tante le sue icone
sparse nell’isola, forse addirittura più numerose di quelle di Fidel o del Che.
I vecchi rivoluzionari mi sembravano tristi. Alcuni
vendevano sigari, altri lasciavano scorrere il tempo seduti sulle panchine
delle piazze, uno vendeva cimeli della Rivoluzione tra i quali scovammo un
commovente album di figurine che ne ripercorreva la storia dagli albori fino
alla vittoria finale. Alcuni mostravano di aver perso la guerra con l’alcool,
altri sembravano prendere la vita con leggerezza, con la bandana a fiori in
testa, l’orecchino al lobo e l’immancabile, incolta barba bianca. Rispettati
dalla gente, ma ormai superati testimoni di una stagione passata e
irripetibile, figure inadeguate al presente e antitetiche a quelle degli eroi
vittoriosi. Sembravano sentirsi colpevoli per il fallimento di molti ideali rivoluzionari.
Come dare loro torto? Ricordavo che qualche giorno prima, in un ristorante, uno dei tanti disperati della capitale
aveva compiuto una velocissima sortita verso il nostro tavolo, fuggendo dopo
aver rubato i resti del pranzo dal piatto di Laura. Appena in tempo per
sfuggire all’arrivo del cameriere. Ricordavo che davanti ai pochi fornai
popolari esistenti c’erano tristi code di persone che andavano alla caccia di
una pagnotta di pane. Ricordavo che all’uscita da ogni città vedevo decine di
persone in attesa di un passaggio da parte delle uniche auto in circolazione,
quelle dei turisti.
Vecchio rivoluzionario, Cuba |
“E’ per questo che abbiamo fatto la rivoluzione?”
sembravano chiedersi gli occhi tristi del venditore di sigari… che dopo un
ultimo sorriso si allontanò a passi lenti ripetendo a se stesso, persuaso: “¡Volveràn!”
Revolucion, presente! Nella vita dei cubani la
rivoluzione era sempre, immagino sia ancora, presente. Cartelli, manifesti e
grandi murales scandivano le loro giornate
ricordando frasi, motti, incitamenti e inni alla vittoria della
rivoluzione, le date, i luoghi e le tappe della lotta vittoriosa.
Non mancavano
ovviamente i ritratti degli eroi: Fidel Castro, “Che” Guevara e Camilo
Cienfuegos soprattutto. Ogni via, quasi ogni muro delle città erano presidiati da un
ritratto sorridente. Si chiama propaganda, lo so, a volte sono l’espressione classica
dei regimi autoritari, ma lasciavano un segno dentro di me, soprattutto per la
lingua (lo spagnolo) che mi sembra inventata apposta per accompagnare i
movimenti rivoluzionari.
Ritratto del "Che" a misura di palazzo, L'Avana, Cuba |
Hemingway, il bevitore. I
gruppi di turisti in visita a l’Avana non mancano mai il giro dei bar
frequentati da personaggi famosi del passato, Hemingway in testa. Si fa la fila
per entrare alla Bodeguita del Medio
o al Floridita dove addirittura c’è
una sua statua a dimensione naturale che lo immortala appoggiato al banco, un po’
alticcio. Trappole per turisti gonzi.
Ritratto di Camilo Cienfuegos, Cuba |
E ogni anno il 28 ottobre i Cubani lanciano un fiore in mare, una flor para Camilo. Lo ricordano così, non hanno bisogno di visitare il suo monumento a Yaguaiay, eretto nel luogo della sua battaglia più aspra che lo consegnò alla gloria eterna. E infatti eravamo soli nella visita del mausoleo, nessun cubano ci accompagnava, proprio perché solo gli stranieri non conoscono Camilo. La nostra presenza commosse il vecchio custode che ci ringraziò con le lacrime agli occhi dopo aver scoperto il nostro interesse per il suo eroe.
Lo
stesso giorno passammo anche da Santa Clara, dove invece il monumento e il
mausoleo del Che erano affollati di
visitatori, schiere di turisti e vacanzieri che la sera avrebbero ballato a
piedi nudi sulle spiagge di Varadero[4].
[1] ¡Volvieron! , ‘sono tornati!’, titolava “Granma”, l’organo
ufficiale del Partito Comunista di Cuba nell’edizione unica del 18 dicembre
2014, un grido di sollievo dopo i tanti ¡Volveràn!
René González fu liberato il 7 di ottobre del 2011, dopo aver
scontato la sua condanna a tredici anni
più altri tre anni di libertà condizionata negli Stati Uniti. Fernando González fu liberato il 27 febbraio del 2014. I restanti tre membri del gruppo furono liberati il 17 dicembre 2014, in uno
scambio di prigionieri con Cuba con un ufficiale dello spionaggio statunitense;
la liberazione coincise con la liberazione “umanitaria” da parte di Cuba
dell’americano Alan Gross,
nonostante i governi abbiano sostenuto che detta liberazione non era in
relazione con quella dei prigionieri cubani. (Wikipedia)
[2] Barbudos erano chiamati i
rivoluzionari cubani a causa della lunga barba che portavano.
[3] Camilo Cienfuegos Gorriarán è stato uno dei capi e degli artefici, insieme con
Fidel, Raul Castro ed Ernesto Guevara della rivoluzione cubana.
[4] Varadero è una delle più rinomate località turistiche di Cuba.
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