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Ghepardo, P.N. Serengeti, Tanzania |
Stato attraversato: Tanzania
Itinerario:
Arusha, Serengeti National Park, Arusha
Periodo: febbraio 2019
Durata: 10 giorni
Già nel 1995 trascorsi più
di un mese nei parchi della Tanzania. Anche il Serengeti Nat. Park era
nell’elenco, ma un grave incidente meccanico al nostro fuoristrada ci impedì di
arrivarci. Mi ripromisi di ritornare ed è quello che ho fatto quest’anno. Ma
con una differenza sostanziale: mentre fino ad oggi i parchi li ho sempre visitati
da “itinerante”, fermandomi in un luogo uno o due giorni, in questo caso si i è
trattato di un viaggio più breve, ma “stanziale”, cioè facendo tappa in un
unico lodge per più di una settimana intera.
E’ stata un’ottima idea e un’esperienza esaltante. Abbiamo potuto battere più
volte, in giorni diversi, le stesse zone, incontrando gli stessi animali più
volte, seguendo i loro spostamenti e le loro vite da un giorno all’altro.
Abbiamo potuto verificare se quei due ghepardi o quei leoni avevano mangiato e,
in questo caso, siamo andati a cercali il giorno successivo quando con ogni
probabilità avrebbero di nuovo cacciato. Abbiamo seguito le evoluzioni
“amorose” di due fratelli ghepardi che avevano catturato una femmina con
l’intenzione di accoppiarsi. In attesa che la femmina raggiungesse l’estro, abbiamo
dovuto aspettare due giorni, noi come i ghepardi maschi.
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La grande migrazione, P.N. Serengeti, Tanzania |
Come è noto, il parco Serengeti
è famoso per la grande migrazione di gnu e zebre che si spostano da nord a su della
Tanzania a milioni seguendo le piogge che rigenerano i pascoli. Abbiamo
incrociato la migrazione nel punto più a sud del circuito e questo significa che
abbiamo potuto ammirare e fotografare migliaia di gnu e zebre con i loro predatori
al seguito (leoni, ghepardi, leopardi, iene), le loro caccie e i loro pasti. E’
stato un viaggio che mi ha permesso di incontrare i “big five” (leone,
leopardo, bufalo, rinoceronte, elefante) e nei miei molti viaggi africani non è
capitato spesso. Cito infine l’ultimo regalo che il Serengeti mi fatto: vedere
per due giorni consecutivi il caracal,
un rarissimo ed elusivo felino che non ero mai riuscito a scorgere in tutta la
vita. Il caracal ci è stato segnalato via radio da un altro equipaggio (che
abitava anch’egli nel nostro lodge) ed era in giro nel parco come noi. Perché
questa è un’altra grande opportunità molto utile che abbiamo sfruttato a fondo:
rimanere collegati con altre macchine e aumentare le possibilità di vedere
animali. Lo stesso è capitato con un pitone e un leopardo, come noi abbiamo
segnalato ad altri la posizione di un gruppo di elefanti. Un’esperienza unica,
da ripetere.
Dall’alba al tramonto. E’ stata un’esperienza
esaltante, come detto, anche se un po’ faticosa. Si usciva dal lodge alle sei
di mattina, quando era ancora buio, e si rientrava alle sette di sera, quando
era di nuovo buio.
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Alba al N.P. Serengeti, Tanzania |
Praticamente ho visto il lodge solo di notte. Colazione e
pranzo al sacco. Ma è un sacrificio che premia, perché ho potuto assistere
assistere ad albe e tramonti che a volte erano maestosi. La luce del mattino
della sera è stupenda e gli animali in queste ore del giorno sono molto attivi.
Le scene più belle capitano di solito in questi momenti, quindi le alzatacce
erano abbondantemente ricompensate
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Zebre nella luce dell'alba, P.N. Serengeti, Tanzania |
Una famiglia numerosa. Fino alla settimana prima del nostro arrivo dalle parti del lodge
stazionavano due leonesse, due sorelle, con quattro cuccioli ciascuna. Erano
tenute sott’occhio da tutti. Durante la nostra permanenza si sono messe insieme
riunendo la prole in un unico gruppo. Quindi insieme badavano ad otto leoncini scalmanati
che sfuggivano da ogni parte.
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Famiglia di leoni, P.N. Serengeti, Tanzania |
Era uno spasso vederle mentre inseguivano uno o
l’altro per riportarlo nel branco: un esercizio sfinente e praticamente inutile.
Due ore di tenere attenzioni, prima di vederli scomparire tutti nell’erba alta.
Ma bastava aspettare un giorno per rivederli tutti insieme: verso le otto di
mattina, infatti, riapparivano uscendo dalla macchia.
Nel sud del parco, nei mesi
invernali, la stagione delle piogge garantisce la presenza degli erbivori che
per i felini significano pasti a portata di fauci. C’è abbondanza di cibo per
tutti e pertanto tutti sono ben nutriti e rilassati. Le nostre leonesse erano
in forma, si vedeva che si alimentavano adeguatamente e avevano molto latte a disposizione; di
conseguenza anche i cuccioli erano in salute e ben pasciuti. Ma non è così
tutto l’anno.
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Famiglia di leoni, P.N. Serengeti, Tanzania |
Verso aprile comincia la
stagione secca, a volte arida, e gli erbivori si trasferiscono al nord. Non
tutti i predatori li seguono e per quelli che rimangono qui ci sono poche prede
e questo significa carestia e fame. I cuccioli, ancora incapaci di cacciare e
dipendenti per la sopravvivenza dalla madre, sono i più esposti ai rischi,
molti non ce la fanno: la mortalità tra i cuccioli del leoni è alta. Ci hanno
raccontato di altri otto leoncini che erano presenti qui in aprile dell’anno
scorso. Di uno si sono perse le tracce, gli altri sette sono sicuramente morti,
probabilmente per denutrizione.
E allora coraggio, piccoli
leoni, la vita è dura. Buona fortuna.
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Inizia la caccia dei ghepardi, P.N. Serengeti, Tanzania |
La perenne lotta tra prede e predatori. Molti prede e molti
predatori significano molte cacce. Ne abbiamo seguite sei, una di una leonessa
che puntava un gruppetto di gnu e cinque consecutive di una coppia di giovani
ghepardi che puntavano alle zebra. Tra gli uni e le altre erano comunque i
piccoli gli obiettivi principali. L’abilità della nostra guida-autista ci ha
permesso di seguirle tutte correndo con la macchina a fianco dei protagonisti a
distanza ravvicinata: un’esperienza mai vissuta. Tutti tentativi sono andati
tutti a vuoto: ero contento per le prede, un po’ meno per i cacciatori.
Dicono che l’istinto
predatorio spinge i grandi felini a cacciare anche se non hanno molta fame.
Potrebbe essere vero e infatti in tutti i casi ho avuto l’impressione che i
predatori non si impegnassero a fondo.
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L'attacco del ghepardo, P.N. Serengeti, Tanzania |
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Inizia la caccia della leonessa, P.N. Serengeti, Tanzania |
Molto interessante rimane
la fase preparatoria dell’attacco. Il cacciatore punta il gruppo delle prede e
comincia ad avvicinarsi con lentezza studiata mantenendosi basso, il branco si
allarma, si irrigidisce e guarda il nemico. Quando questo supera la distanza di
sicurezza, nel branco scoppia il panico e tutti si danno alla fuga in una
nuvola di polvere. Il cacciatore parte all’attacco puntando ad una preda. Ovviamente
il piccoli sono i più a rischio, poiché sono più
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L'attacco della leonessa, P.N. Serengeti, Tanzania |
lenti degli adulti. Ma nella
confusione non è facile per i predatori individuarli e, il più delle volte, se
la cattura non avviene antro i primi 20-30 secondi, la caccia va a vuoto. Passato
il pericolo nel branco delle prede torna la calma. Ho verificato in tutte le
cacce a cui ho assistito che la dinamica è sempre la stessa.
Non racconto nulla di
nuovo, abbiamo visto queste scene decine di volte nei filmati del National
Geographic, ma essere lì è tutta un’altra cosa…
L’importanza delle strisce bianche e nere. Sono un etologo “fai da te”
e quindi le mie considerazioni sono poco scientifiche e non fanno testo, lo
so. Ma ho le mie idee. Ho sempre pensato che la lotta tra predatori e prede si
giochi molto sul mimetismo, cioè la capacità di rendersi poco visibili gli uni alle
altre. Da qui le macchie, le strisce dei mantelli e i colori sfumati che si
confondono con l’ambiente.
Come esempio porto una foto che ho scattato i
Namibia nel 1990 che potete VEDERE QUI. In quella foto appare un leone a pochi
metri di distanza che non avevo assolutamente visto e che non era, nelle mie intenzioni,
il soggetto della fotografa. E tutto ciò che mi scorreva davanti agli occhi
sembrava darmi ragione, con una eccezione: le zebre. Mi chiedevo: se il
mimetismo è così importante, che c’entrano le loro evidentissime strisce
bianco-nere che si scorgono distintamente a chilometri di distanza? Durante la
caccia della leonessa alle zebre ho avuto al risposta.
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La fuga scomposta delle zebre di fronte ad una attacco dei predatori, P.N. Serengeti, Tanzania |
Quando la leonessa ha
attaccato è arrivata in pochi secondi quasi addosso al piccolo che era rimasto leggermente
indietro. Eravamo a una cinquantina di metri e vedevamo bene sia la leonessa
che le zebre. A quel punto gli adulti hanno rallentato la corsa e si sono messi
tra il piccolo e la leonessa cominciando ad incrociare le loro corse. E’
avvenuta come un’esplosione: la loro corsa apparentemente scomposta e disordinata
ha creato una barriera confusa di strisce bianche e nere che si mischiavano e
si confondevano e di polvere che hanno nascosto il piccolo alla nostra vista e a
quella della leonessa che, infatti, non distinguendo più alcunché, ha
desistito. Ero senza parole. Nei momenti decisivi, le strisce bianche e nere,
soprattutto se sono molte, non identificano nulla, anzi, creano solo confusione
che spesso significa salvezza.
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I leoni iniziano il banchetto, P.N. Serengeti, Tanzania |
Molti invitati al banchetto. Se una caccia va a buon fine allora c’è cibo per
molti abitanti delle pianure, soprattutto se la vittima è di grossa taglia.
Abbiamo passato ore di fronte ai banchetti procurati dai predatori. Non avendo
mai assistito a una caccia di successo, non ho potuto presenziare all’inizio
del pranzo.
Siamo sempre arrivati quando la festa era già cominciata. Tuttavia non
è difficile immaginare le dinamiche. Si assisteva al dispiegarsi delle gerarchie
che davano il diritto a sfamarsi; la più ovvia era rappresentata dalla taglia del
commensale: il più forte mangiava per primo.
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Si aggregano le iene, P.N. Serengeti, Tanzania |
Ma non sempre la regola
funzionava, la dinamica cambiava di volta in volta; molto dipendeva dalla
presenza in zona dei competitori. Gli avvoltoi, ad esempio, di solito più
lontani, erano gli ultimi da arrivare in volo. In linea di massima la sequenza
era questa: prima i cacciatori (leoni e ghepardi), poi le iene, poi gli
sciacalli, poi gli avvoltoti e infine, immagino, animali sempre più piccoli fino
agli insetti. A giudicare dagli scheletri perfettamente puliti che si vedevano
in giro funzionava così. Perfino le nobili ed eleganti aquile si degnavano di
litigare con gli avvoltoi per un boccone di gnu.
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Arrivano gli avvoltoi, P.N. Serengeti, Tanzania |
Spesso qualcuno, per liberarsi
della presenza dei concorrenti, scombinava la situazione rubando un pezzo di
carcassa per andare a mangiarsela in pace da qualche parte. Non sempre si
rispettavano le regole, quando la fame preme i comportamenti si fanno meno formali.
Senza aspettare il proprio turno a volte gli avvoltoi cominciavano a mangiare
in anticipo di fianco alle iene, a volte lo stesso facevano gli sciacalli. Le
discussioni o gli accenni di rissa erano continui, senza comunque che abbia mai
visto qualche animale rimanere ferito. In regime di abbondanza tutti riuscivano
a sfamarsi senza feroci competizioni.
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L'assalto finale al banchetto, P.N. Serengeti, Tanzania |
Nascere al volo e via! Nelle pianure del sud del Serengeti in inverno uno degli
avvenimenti più spettacolari e coinvolgenti è il parto degli gnu.
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Una gnu sta per partorire, P.N. Serengeti, Tanzania (FOTO 1) |
Ne abbiamo
seguiti un paio dall’inizio alla fine. Tra i tanti individui che camminano in
fila non è difficile individuare le femmine che stanno per partorire. Basta
guardare attentamente tra le più grosse (incinte) quelle dalle cui pance
spuntano due zampette e a volte una testolina. Si fermano, a volte si sdraiano
in preda alla contrazioni, si rialzano e ripetono questi movimenti fino a
quando (in piedi o sdraiate) il piccolo scivola fuori cadendo a terra. Allora
la madre comincia a leccarlo per liberarlo dalla placenta e quello che stupisce
e affascina è vedere il piccolo cercare immediatamente di alzarsi con grande
sforzo.
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I primi, incerti passi dello gnu appena nato, P.N. Serengeti, Tanzania (FOTO 2) |
Lo si vede puntare le zampette e provarci, ruzzolare goffamente e
riprovarci ancora, fino a quando traballante non riesce a mettersi sulle
quattro zampe, poi barcolla, inciampa, cade di nuovo, si rialza, mentre la madre
accenna a partire per seguire la mandria che ha fretta e incitarlo a seguirla.
Alla fine, pur incerto, si mette in marcia di fianco a lei con brandelli di placenta ancora appiccicati alla schiena.
Un altro piccolo gnu si
incammina sui sentieri che percorrono da sempre i suoi simili affrontando i
rischi della vita. Guardate questa sequenza di tre foto : tra la prima e l’ultima
sono trascorsi quattro minuti esatti. Un vero miracolo.
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OK, pronto a partire, P.N. Serengeti, Tanzania (FOTO 3) |
La pressione antropica. Come tutte le aree naturali del mondo anche il comprensorio del
Serengeti è sottoposto alla pressione degli uomini che aumentano di numero e chiedono
sempre più territorio per le loro attività. In questo caso il riferimento è ai
Maasai che premono sulle pianure del parco per procurare pascolo alle loro
mandrie di mucche e greggi di capre.
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Maasai nel comprensorio del P.N. Serengeti, Tanzania |
Ne abbiamo incontrato un gruppo impegnati in una camminata che sapeva
tanto di perlustrazione.
Ai Maasai dobbiamo aggiungere poi la
pressione turistica: di fronte ad un gruppo di leoni o di ghepardi ho visto
radunati anche 20 o 30 fuoristrada con gente che fotografava con il cellulare!
Pazienza, amici selvatici, sui soldi che procurano al parco questi "visitatori" si basa forse la sola speranza che avete di sopravvivere.
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Pressione turistica, P.N. Serengeti, Tanzania |
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