Per gentile concessione dell'editore POLARIS
Allora si chiamava Zaire
l’attuale Repubblica Democratica del Congo, un paese sconfinato e quasi del
tutto occupato dal bacino del grande fiume omonimo. Le sue province più orientali
erano, come oggi, troppo lontane dalla capitale Kinshasa, separate dal potere
centrale da migliaia di chilometri di foresta e dalla mancanza di vie di
comunicazione decenti. In compenso si trovavano ai confini di alcuni stati
molto più piccoli ma molto più ricchi o, per meglio dire, meno poveri. In quel remoto angolo dello Zaire tutti
vivevano di traffici e commerci più con il Ruanda e l’Uganda che con le regioni
dell’ovest, troppo lontane e difficili da raggiungere. Tutto arrivava dal
Ruanda e qualsiasi rifornimento, la benzina e anche i pochi viaggiatori che
andavano da quelle parti arrivavano da est. Tutto, perché in Zaire non c’era
letteralmente nulla, foresta a parte.
Quando arrivammo nella piazza del
mercato di Giseny l’assembramento era indescrivibile: venditori, compratori,
mendicanti e tutta la variegata umanità che anima un mercato africano. Alla
periferia della cittadina ruandese passa il confine con lo Zaire che noi
dovevamo attraversare. Fermammo l’auto nel centro della piazza e per qualche
minuto fummo oggetto dell’attenzione generale senza che nessuno si avvicinasse.
Tutti continuarono le loro attività limitandosi a osservarci. Poi alcuni
bambini si incamminarono verso di noi, curiosi e senz’altro decisi a chiederci bon-bon e stilo [1]. Prima ancora che ci
raggiungessero, dalla folla indaffarata nelle incombenze del mercato si staccò
un gruppetto di giovani che iniziarono un lento avvicinamento che si trasformò ben
presto in una corsa affannosa. Sembrava una carica. Non avemmo il tempo di fare
nulla, subito circondati e bloccati all’interno della vettura. La giornata era
calda e i finestrini erano abbassati e ad ogni finestrino apparvero visi eccitati
e bocche sorridenti che ci inondarono con un fiume di parole tra le quali ogni
tanto si distingueva change, cambio.
Poi apparvero mani che si agitavano e ci sventolavano sotto il naso pacchi di
banconote sporche, lacere e quasi irriconoscibili. Qualche braccio, rimasto
escluso dalla prima fila, per battere la concorrenza gettava il denaro
direttamente sulle nostre ginocchia. Era una proposta di cambio nero. Ma, anche
se eravamo ancora in Ruanda, ci offrivano Zaire, la moneta omonima allora in
vigore nel paese vicino. Sorsero in noi dubbi legittimi, ma avevamo bisogno di quel
denaro e pareva inutile chiedere spiegazioni.
Allora in quei paesi i prezzi
seguivano logiche a noi sconosciute ed erano totalmente fuori controllo, tanto
che un uovo poteva costare tre volte il prezzo che si pagava in Italia. L’unica
possibilità era quindi quella di affidarsi al cambio nero che poteva garantire
un tasso cinque volte più basso di quello ufficiale. Per questo eravamo
disponibili all’operazione. Quando a tutti fu chiaro il nostro interesse,
cominciò la fase della trattativa che però, portata avanti contemporaneamente
da dieci giovani in concorrenza tra loro, generava una confusione terribile che
non accennava a placarsi. Il silenzio arrivò all’improvviso quando qualcuno di
noi, che aveva captato nella trattativa la parola francs, chiese ad alta voce: “Come, franchi?” Di fronte alle nostre perplessità i ragazzi ci guardarono come se
fossimo stupidi, mentre i loro sguardi parevano chiedere: certo, franchi, che credevate? Ci stavano offrendo infatti Zaire in
cambio di Franchi ruandesi. Credo che ognuno di noi in quel momento abbia fatto
questo ragionamento: siamo in Ruanda e ci stanno proponendo di cambiare Franchi
ruandesi con Zaire, pur sapendo che abbiamo in tasca Dollari americani; c’è
qualcosa da capire.
In seguito capimmo. I ragazzi
venivano dallo Zaire, dove mancava praticamente tutto, passavano in Ruanda per
acquistare lì quello di cui avevano bisogno, soprattutto benzina, che poi
avrebbero rivenduto nel loro paese. Ma per comprare in Ruanda avevano bisogno
di Franchi ruandesi poiché nessuno accettava i loro Zaire ed erano perciò
costretti a comprarli sul posto al mercato nero, in quel caso da noi.
Quando una moneta non vale nulla,
mille Zaire valgono poco più di nulla e così la gente si arrangiava
scambiandosi mazzetti composti da nove banconote da mille, tenute insieme da
una decima, per un totale di diecimila Zaire. In quel mercato di sopravvivenza
un mazzetto da diecimila era la quantità minima di denaro che permettesse di
comprare qualcosa. Dubbiosi all’inizio sulla completezza dei mazzetti, dovemmo
in seguito constatare la squisita onestà di tutti. Ci si poteva fidare, mai che
sia mancata una banconota. Dovevamo rimanere in Zaire alcuni giorni ed avevamo
bisogno di una discreta quantità di denaro locale e quando una moneta non vale
nulla diventano imbarazzanti i volumi. Non ricordo quanti franchi ruandesi
cambiammo, ma ricordo che la quantità di mazzetti di Zaire che ottenemmo in
cambio avrebbe potuto riempire due scatole da scarpe.
E’ superfluo aggiungere che non
solo era proibito il cambio nero, ma non si poteva neppure trasferire valuta da
un paese all’altro. Nacque quindi il problema di nascondere il pacco di banconote
nel passaggio della frontiera, soprattutto alla dogana dello Zaire. Un volume
simile di banconote non poteva essere nascosto in tasca, anche dividendolo
equamente tra tutti noi, né potevamo infilarlo negli zaini, posto troppo ovvio
di fronte al più semplice dei controlli. Decidemmo allora per il vano motore
dell’auto. Anche questa non era una soluzione originale ma qualche rischio
andava corso.
La frontiera era costituita da
due casematte malmesse e due sbarre bianche e rosse, una casamatta e una sbarra
per ciascuno dei due paesi. In mezzo qualche centinaio di metri di terra di nessuno e decine di persone che
percorrevano a piedi quel tratto di pista spostandosi tra i due paesi. Nessun problema
in uscita dal Ruanda, ma quando ci presentammo alla dogana zairese cominciarono
i controlli sui documenti, molto meticolosi e approfonditi e poi ci fu
richiesto di portare i bagagli e di aprirli. Le lungaggini nei controlli del
primo bagaglio ci convinse che l’insolita scrupolosità nei nostri confronti era
un chiaro messaggio, soprattutto se paragonata al totale disinteresse che i
doganieri mostravano nei confronti della fila ininterrotta di locali che andavano
in entrambe le direzioni. Si prospettavano controlli lunghissimi e poi si
sarebbe passati al controllo dell’auto. Alla fine capimmo… e con alcuni mazzetti
di banconote da mille acquistammo un paio di birre che offrimmo ai doganieri. Senza
ulteriori accertamenti si conclusero le verifiche.
Nei giorni che trascorremmo in
Zaire pagammo prezzi irragionevoli per qualsiasi acquisto, fino ad avere la necessità
di un altro cambio per pagare l’ingresso ad un parco nazionale. Ci servivano
ancora Zaire e potevamo comprarli di nuovo con dei Franchi ruandesi, ancora al
cambio nero. Questa volta però non eravamo in Ruanda e sembrava non ci fosse
nessuno a proporci il cambio. Ma alla fine scoprimmo che qualcuno poteva farlo
all’ingresso del parco e quando arrivammo là un addetto ci disse di andare alla
biglietteria e di attendere. Sarebbe arrivato qualcuno per cambiare il denaro.
Dopo pochi minuti la porta si
aprì per fare entrare l’addetto di prima che andò a mettersi dietro il banco
della reception e fece cenno di
avvicinarci. Avrebbe effettuato lui il cambio nero. Non aveva l’atteggiamento
circospetto che un’azione illegale richiederebbe. Noi da una parte del banco e
lui dall’altra contrattammo il tasso e la quantità di Zaire necessaria per
pagare l’ingresso al parco. Quando una moneta non vale nulla anche una spesa ragionevole
richiede una grande quantità di denaro. Per il solo ingresso al parco di cinque
persone il nostro agente di cambio appoggiò
sul banco di fronte a noi una pila di mazzetti da diecimila Zaire alta un
palmo. Ma eravamo sereni, questa volta non avremmo dovuto nascondere il denaro.
Alla fine delle operazioni gli
chiedemmo dove si potevano acquistare i biglietti di ingresso. “No problem!”, fu
la sua risposta. Quindi in silenzio si spostò verso destra lungo il banco, si
fermò dopo due metri, si chinò ed emerse con una giacca ed un berretto dello
stesso colore, verde. Indossò la giacca e si aggiustò il berretto in testa, poi
si arrestò quasi sull’attenti con lo sguardo puntato in avanti verso il vuoto e
aggiunse: “Please”.
Sorpresi, dopo averlo seguito con
lo sguardo in quelle operazioni, anche noi ci spostammo di due metri verso la
nostra sinistra, trascinando sul banco la pila delle banconote, fino a quando
non fummo di fronte al suo sguardo. Allora, sullo stemma che portava sul
taschino della giacca e sul berretto, potemmo leggere la scritta: PARC NATIONAL DES VIRUNGA. Ora il nostro amico guardaparco e
cambiavalute, rientrato nel suo ruolo di ranger
e pubblico ufficiale, era più serio e composto di prima. Non ammiccava più ed
aveva abbandonato il fare truffaldino tenuto durante il cambio. Sarà stata la
divisa o lo sguardo consapevole, ma sembrava un’altra persona. Con serietà e
rigore si riprese la pila degli Zaire che ci aveva consegnato due minuti prima
e ci diede in cambio i biglietti di ingresso.
Confine tra Ruanda e Zaire, Agosto 1983
[1]
Caramelle e biro sono i tipici regali che i bambini dei paesi africani di
lingua francese chiedono agli stranieri
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