sabato 8 dicembre 2018

RACCONTO: Quello che vuoi!

(Tratto dal libro: IL CONFINE IMMAGINARIO)

(per concessione dell'editore POLARIS)

La festa era al culmine e la gente sciamava allegra nelle strade. Vedevo capifamiglia con mogli e figli al seguito, giovani che si pavoneggiavano appoggiati alle auto o seduti sui motorini, ostentando la loro giovinezza e la sicurezza di chi pensa di avere il futuro nelle mani. Gruppi di ragazze spensierate passeggiavano ridendo e parlandosi all’orecchio, felici per una libertà forse consentita solo per quei pochi giorni di festa. I bambini correvano da ogni parte e urlavano come indemoniati.  Qualche cane li accompagnava abbaiando.


C’era la festa delle rose a El Kelàa M’Gouna, tra le montagne dell’Atlante marocchino. La organizza ogni anno questa cittadina per festeggiare il raccolto della rosa damascena che la tradizione vuole arrivata fin lì dalla Mecca. Una festa che dura 3 giorni, un’occasione per festeggiare e celebrare la raccolta dell'anno. Sotto una pioggia di petali le ragazze attraversano la città per ballare e sfilare nei cortei. Le strade diventano un unico grande mercato di mazzi profumati e di ogni sorta di prodotto derivato dalle rose. Al suono degli strumenti musicali più diversi una sfilata di carri si snoda lungo le strade. A sera si tiene inoltre un festival di musica popolare che richiama nel teatro all’aperto della cittadina la gente delle vallate circostanti.

In quel frastuono polveroso tornavo con la mente alle feste del mio paese dove da bambino andavo accompagnato dai genitori. La stessa confusione e quasi gli stessi suoni, la medesima allegria e libertà d’azione, mia e dei miei amici, fuori dal controllo degli adulti. Erano poche ore di felicità pura e intensa, prima di venire tutti richiamati e riportati a casa.

Anch’io ero lì per la festa, quasi soffocato dal via vai delle persone, seduto ad uno dei  tavolini che un barista intraprendente aveva disposto nel giardinetto di fronte al suo bar.

Mentre il mio sguardo cercava di distinguere i particolari di quella baraonda, mi sentii toccare una gamba. Abbassai lo sguardo e chinato ai miei piedi, quasi in ginocchio, vidi un ragazzo che mi proponeva a gesti di lucidarmi le scarpe. Conoscevo la circostanza, provavo imbarazzo e la prima reazione fu quella di rifiutare, gentilmente ma con decisione. La stessa reazione che avevo nei miei primi viaggi, quando mi sentivo l’uomo bianco che non ha vergogna ad accettare, se non a richiedere, per due soldi il più umiliante dei servizi. Farsi pulire le scarpe! Ma, viaggio dopo viaggio, ho capito che le mie responsabilità di occidentale verso i paesi poveri sono di altro tipo e che è meglio spendere il mio imbarazzo per altre colpe, mie o degli europei, verso quella gente. Così con un cenno del capo dissi di sì e il ragazzo cominciò il suo lavoro, mentre io mi lasciai assorbire di nuovo dalla baldoria.

Quando ebbe terminato abbassai gli occhi per guardare le scarpe. Perfette! Chiesi quanto gli dovevo, ma il suo francese era incerto e faticavamo ad intenderci. I gesti delle mani, soprattutto le mie, provavano a facilitare la comprensione ma davano la sensazione a chi guardasse da lontano che stessimo discutendo, forse litigando. Ed ecco infatti che i miei occhi inquadrarono il padrone del bar che accorreva. Un pezzente disturbava il cliente europeo! Lo fermai con un cenno deciso della mano a un tavolo di distanza e continuai a chiedere il conto al ragazzo. E continuavo a non capire … poi finalmente: “Ce que tu veux!”. Quello che vuoi. Quello che vuoi!

Osservai il ragazzo con attenzione, a quel punto con molta attenzione. Non era un bambino. Di solito sono loro ad occuparsi di questi servizi e con i bambini la pulizia delle scarpe diventa quasi un gioco, crudele, ma pur sempre un gioco, che alla fine si porta via i miei sensi di colpa. Chi avevo davanti invece non era un bambino, poteva avere venti anni o forse di più. I vestiti laceri e sporchi, le mani nere di lucido fin sotto le unghie. Portava sul viso le tracce di tutte le creme che usava per il suo lavoro e aveva due occhi scurissimi che mi guardavano con l’umiltà e il distacco di chi è abituato da sempre ai soprusi.

Ce que tu veux! Coglievo con sgomento l’Ingiustizia, con la “I” maiuscola, per quel ragazzo che nella festa più importante dell’anno, circondato dal divertimento degli altri, era costretto a lucidare le scarpe a me e in più era tanto povero e reietto da non propormi nemmeno una tariffa per il suo lavoro, un prezzo iniziale dal quale partire nella miserabile trattativa al ribasso che nei paesi poveri diverte tanto i turisti. Potevo dargli quello che volevo, anche nulla. Anzi, ad un mio cenno il padrone del bar non avrebbe esitato ad allontanarlo a calci. E non era un bambino! Per lui l’età del gioco, se mai c’era stata, era finita da un pezzo. Ce que tu veux! Parole che continuavano a risuonarmi nella mente, implacabili.

Tuttavia... se potevo dargli quello che volevo, potevo anche esagerare, giusto? Ed infatti nel pagarlo esagerai. Osservando il denaro insperato nel palmo della mano i suoi occhi non si meravigliarono e non cercarono di capire, mantenendo lo stesso distacco che avevano avuto fin dall’inizio. Poi se ne andarono. Dopo avermi pulito le scarpe, il ragazzo mi usò anche la cortesia di non sorridermi e di non ringraziarmi. Per questo gli sarò per sempre grato. In cambio spero che la tariffa del tutto fuori mercato che gli elargii gli abbia permesso, almeno per quel giorno, di smetterla di lucidare scarpe e di cercare di divertirsi. Anche lui, magari in compagnia di una ragazza.

El-Kelàa M'Gouna, maggio 2003


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