Itinerario: Luban-Slasky,
Varsavia, Cracovia
Periodo: dicembre
1976 – gennaio 1977
Durata: 2 settimane
In seguito mi sono reso
conto che il viaggio in Polonia è stato molto istruttivo, perché, affiancato ad
altri effettuati nei paesi dell’est prima e dopo il 1989, mi ha mostrato con
chiarezza il livello di vita della gente prima e dopo la caduta del muro di
Berlino. La Polonia, l’Ungheria o la Bulgaria prima, la Romania dopo. Il
confronto è spietato e non lascia adito a dubbi. Un esercizio utile per rendermi
conto di cosa abbia voluto dire nascere dalla parte fortunata del muro.
E la Polonia? Come sarà
adesso? O meglio, come saranno oggi Varsavia e Cracovia, visto che la mia
visita si limitò alle due citta principali del paese? A giudicare dal confronto
tra le mie foto e quelle attuali del palazzo della cultura di Varsavia, ad
esempio, direi che tutto è cambiato. Dove non c’era nulla ora si alzano
grattacieli e centri commerciali.
Ai tempi del mio viaggio,
invece, la Polonia era un paese più o meno simile ai cugini di oltre cortina:
povertà umiliante, arretratezza in ogni campo, depressione e scoramento da
parte della gente. Per dire: nella stazione ferroviaria di Luban Slaski, una
cittadina appena al di là del confine con la Germania dell’Est, dove eravamo
stati invitati per le feste natalizie da un’amica del posto, erano ancora in
funzione delle locomotive a vapore.
L’aspetto più triste era
rendersi conto che lo stato di degrado e di abbandono del paese non veniva dai
secoli passati, ma da tempi molto più recenti, coincideva cioè con la sua
entrata nella sfera di influenza (regime) dell’Unione Sovietica.
La Polonia è da sempre una nazione
profondamente cattolica. La storia lo ha dimostrato negli anni successivi
con le vicende di Solidarnosc e l’elezione di papa Wojtyla. Questo sentimento
religioso sembrava essere (anzi senz‘altro lo era) un collante sociale,
una strenua difesa di una popolazione che non aveva molto altro a cui
aggrapparsi e che il regime ateo che governava il paese non riusciva scalzare.
Appariva chiaro anche a me, visitatore di passaggio, che la fede cattolica dei
polacchi era soprattutto il simbolo dell’identità nazionale nei confronti del
regime sovietico.
Il palazzo della cultura - Varsavia - Polonia |
Fummo tristemente testimoni
diretti delle difficoltà economiche della popolazione. Fummo intercettati per
la strada da qualcuno che offriva alloggio (abusivamente) ai turisti in arrivo.
Ci affittò casa sua, un piccolo appartamentino molto disadorno nel centro di
Varsavia. Ci consegnò le chiavi andandosene in fretta con moglie e figli sotto
i nostri occhi, per trasferirsi momentaneamente da qualche altra parte e lasciandoci
tutto a disposizione, dalla cucina agli armadi pieni della loro roba, fino alle
foto del recente funerale della nonna sul tavolo.
Tuttavia, pur molto
dimessa, la Polonia anche allora poteva vantare alcune meraviglie che l’UNESCO
avrebbe catalogato patrimonio dell’umanità qualche anno dopo: il centro storico
di Varsavia, quello di Cracovia, le miniere di sale di Wielizka e altri (vedere
più avanti).
Attraversare la cortina di ferro.
Ricorderò
l’attraversamento della Cortina di Ferro in auto (https://it.wikipedia.org/wiki/Cortina_di_ferro) per tutta la vita. E quando sento
parlare di muri e barriere per tenere lontano/fuori gli “altri” mi domando se
davvero ci rendiamo conto di cosa significhi. Lungo questa frontiera non
bastava presentare un passaporto, ma anche subire più o meno un interrogatorio
e una perquisizione vera e propria sotto la minaccia delle armi. Letterale. La
cortina di ferro, come ben sappiamo, separava in due la Germania, quindi per
raggiungere la Polonia c’era da attraversare il confine tra l’Europa dell’Ovest
e quella dell’Est, un’esperienza che non dimenticherò, un classico film di
spionaggio, da muro di Berlino, da guerra fredda.
Arrivammo
col buio dopo aver percorso, nella Repubblica Federale, un corridoio delimitato
da un centinaio di allucinanti chilometri di guard-rail che non solo non offrivano il conforto di una stazione
di servizio, ma nemmeno la possibilità di una sosta. Freddo intenso e neve
sporca oltre il guard-rail. Arrivammo
nell’ampio piazzale della frontiera. Cartelli intimidatori avvisavano e
sicuramente minacciavano. Ho studiato il tedesco e, con un po’ di calma, avrei
potuto tradurre molti di quei messaggi, ma in quel momento l’ansia mi
permetteva di comprendere solo “Achtung”.
Il ricordo
dei tragici racconti dei miei vecchi sull’occupazione tedesca durante l’ultima
guerra mi riportavano fatti e situazioni che non faticavo ad assimilare alla
realtà che avevo davanti agli occhi. Qualche camion fermo in attesa di qualche
autorizzazione, luci giallognole e pallide, luci da interrogatorio, altra neve
sporca nel piazzale.
Si
presentarono ai controlli due VoPos[1],
quattro occhi in divisa. Sguardi inespressivi e indagatori, un’aria minacciosa
creata allo scopo per intimorirci, imbarazzo ed ansia in me. Tenevano al
guinzaglio due splendidi pastori tedeschi che ci abbaiavano al finestrino.
Documenti, auto, tutto venne controllato minuziosamente in un silenzio
spettrale.
I VoPos spinsero sotto la nostra auto due grandi specchi che ne riflettevano il
fondo, alla ricerca di qualcosa di sospetto che, per fortuna, non esisteva.
Quest’ultima operazione chiuse finalmente il controllo e fummo lasciati liberi
di proseguire. Saranno stati venti minuti, forse meno, ma per me furono una
vita intera in un campo di concentramento.
Se la
manovra non avesse destato sospetti nei VoPos,
avrei
volentieri girato l’auto all’istante per ritornarmene a casa.
"Non berti la vita", campagna contro l'alcoolismo. Varsavia - Polonia |
Sembrava un
problema noto che le autorità provavano a contrastare. Erano numerosi i
manifesti che dai muri della città incitavano a non bere, a non bruciare la
vita dentro una bottiglia.
Erano
appelli che per lo più cadevano nel vuoto, visti i risultati. Era normale infatti
incontrare gente (soprattutto giovani) che ciondolava per le strade ubriaca già
al mattino.
Varsavia. Ricordo una città triste che il
freddo inverno polacco rendeva ancora più triste, anche se qualche tentativo di
miglioramento nelle città c’era stato e si vedeva. Ad esempio l’ottima
ricostruzione/ristrutturazione della città vecchia distrutta dalla seconda
guerra mondiale o di altre aree che mostravano qualche lieve traccia degli
antichi splendori.
Ma mi sembrava che la città non si fosse ancora ripresa
dalle vicessitudini storiche che l’avevano coinvolta dei secoli passati con
spartizioni, smembramenti e ri-accorpamenti territoriali per mano degli stati
vicini (Prussia, Russia, Austria) o, ancora di più, dalle rovine dell’ultima
guerra e dallo sterminio degli ebrei. Tra perentesi, su quest’ultimo tema
suggerisco la lettura, se non l’avete avete ancora fatta, di un bel libro: il bambino nella neve di Wlodek Goldkorn.
La città vecchia - Varsavia - Polonia |
La città mi
colpì particolarmente per gli effetti palesi del problema dell’alcoolismo.
Cracovia.
Ovviamente anche allora era il gioiello del paese, anche se il
trasferimento della corte reale a Varsavia all’inizio ‘600 l’aveva un po’
spenta.
Ma almeno l’importante e antica università, frequentata da moltissimi
studenti, la ringiovaniva un po’ e la rendeva abbastanza “europea”. Un turismo
ancora agli albori, ma già presente, la dotava di servizi discreti e le donava
un aria internazionale che la distingueva dal resto del paese.
Il mercato dei tessuti - Cracovia - Polonia |
Mi apparve molto bella, europea, anche se fredda sotto la neve, ma illuminata
finalmente da un paio di giornate di sole, marcata profondamente dalla sua
struttura medievale e dai suoi monumenti più prestigiosi. La piazza del mercato
e la gloriosa basilica di Santa Maria, il barbacane e le antiche mura, il
castello di Wawel.
Un presepe - Cracovia - Polonia |
La natività non sembra essere il punto di maggior interesse della costruzione, ma l’architettura fantastica e complicata come quella dei castelli delle fiabe. Sono rivestiti di carta stagnola di tutti i colori dai riflessi d’oro e d’argento. MI affascinarono molto per la loro originalità e perché credo che fossero il simbolo di una fede popolare che resisteva all’ateismo professato dalla classe dirigente di allora.
Le miniera di sale di Wieliczka. Un mondo spettacolare, un luogo imperdibile per il quale rimando al racconto L'ultima città nascosta
Un episodio del Vangelo (Le nozze di Cana) scolpito nel sale nella miniera di sale di Wieliczka - Polonia |
[1]
La Volkspolizei, ossia la Polizia Popolare, era la polizia
nazionale della DDR. I suoi appartenenti erano soprannominati VoPos.
Nessun commento:
Posta un commento